Nibali: "Io tra i più grandi del ciclismo? Non posso lamentarmi della mia carriera"
Lo "Squalo": "Credo che spesso si idealizzino i tempi lontani, ma ovviamente mi concentro su quello che ho visto ed amato. A me Marco Pantani ha dato molte emozioni"
Un giorno, un gruppo di giornalisti al seguito del Giro d’Italia in attesa dell’arrivo della tappa su Radiorai, stimolato dalle domande degli ascoltatori, si è messo a giocare sull’individuazione dei cinque più grandi ciclisti della storia. E sono usciti vari nomi, da Eddy Merckx, ovviamente, a Gino Bartali e Fausto Coppi, a Marco Pantani, Bernard Hinault, Miguel Indurain, Alberto Contador, passato anche lui dal Giro d’Italia e da Genova in questi giorni. E i nomi sono arrivati persino a Francesco Moser, che ho molto amato, ma che, insomma, in questa compagnia c’entra davvero poco. Curiosamente, nessuno degli interpellati quel giorno dalla Rai ha citato Vincenzo Nibali, che pure è il ciclista che ha vinto di più ultimamente in Italia, una straordinaria carriera spalmata in sedici anni, praticamente un record assoluto.
Insomma, insieme a Hinault e Contador, che hanno vinto i tre grandi giri (Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta de Espana), Nibali è uno dei sette corridori ad aver trionfato in Italia, in Francia e Spagna – gli altri, oltre ai citati, sono Anquetil, Merckx, Gimondi, e Froome – ma la lista cala drasticamente se si considera chi, insieme alle corse a tappe di tre settimane ha vinto anche una classicissima, quelle che vengono chiamate le “classiche monumento”, impresa riuscita solo a quattro ciclisti nella storia per il Giro di Lombardia, che chiude la stagione ogni anno, che Nibali ha messo nel palmarès due volte, e addirittura nel suo caso anche una Milano-Sanremo, che invece è la classica di inizio stagione.
Insomma, nell’alto dell’alto dei cieli del ciclismo, Vincenzo Nibali, c’è. E allora nella lista lo mettiamo noi. Perché lo Squalo è a tutti gli effetti fra gli immortali del ciclismo. Di più, il ciclista di Messina probabilmente direbbe la sua anche oggi: stesso fisico perfetto, stessa simpatia contagiosa siciliana che ha dimostrato anche a Telenord, a “Scignoria!”,trasmissione di culto in dialetto genovese con la firma del direttore Giampiero Timossi, che una ne fa e cento ne pensa, del padrone di casa Gilberto Volpara e dell’editore Massimiliano Monti. Insomma, il racconto di “come si vince la Sanremo” in siciliano è diventato viralissimo e la stessa Raisport l’ha proposto durante la diretta della classicissima di Primavera. Ed è proprio a Genova, alla cena ufficiale della tappa organizzata da Daniel Guerrera e dal comitato, che Vincenzo ci racconta la sua, di classifica.
Vincenzo Nibali, lei si sente a ridosso dei nomi indicati in questa lista?
“Non devo essere io a dirlo, ma certo non posso lamentarmi della mia carriera”.
E lei come farebbe la classifica?
“Credo che spesso si idealizzino i tempi lontani, ma ovviamente mi concentro su quello che ho visto ed amato. A me, personalmente, Marco Pantani ha dato molte emozioni, perché in quegli anni iniziavo a seguire con grande passione il ciclismo”.
In attesa di vedere lo sviluppo della carriera di Tadej Pogacar, che si candida ad essere il nuovo cannibale, possiamo tranquillamente dire che il più grande è stato Eddy Merckx?
“Certo, se la stessa domanda verrà fatta fra qualche anno è praticamente certo che il nome di Pogacar ci sarà, in una posizione di assoluto rilievo. Ma per ora parliamo di quelli che hanno concluso già la propria carriera”.
Il vecchio cannibale?
“Certamente, credo che per Merckx parlino la carriera e le vittorie, non mi pare che dobbiamo stare a discutere. Ma…”.
Ma?
“Ma proprio la grandezza assoluta di Eddy Merckx, rende grande anche un ciclista italiano, bergamasco, di cui si parla troppo poco: Felice Gimondi. Quando si ha davanti il più grande di tutti, è chiaro che anche i propri risultati sembrano minori, perché magari si è vinta qualche corsa in meno, cogliendo secondi posti alle spalle di un invincibile, ma credo che Gimondi meriti davvero di stare in questa galleria”.
Il giorno della morte di Felice Gimondi, i giornalisti vennero da lei per chiedere un ricordo proprio del ciclista bergamasco. E lei raccontò di un legame che si era consolidato negli anni…
“Per me è difficile dire qualcosa su quello che ha fatto come sportivo, perché non ho vissuto il suo tempo, non ho visto le sue vittorie. Però le sue parole erano sempre giuste. Mi ricordo il suo disappunto quando ho vinto il Tour e gli organizzatori non l’hanno invitato. Ha avuto sempre grandi parole per me, è stato un grande personaggio, un grande uomo. Aver vinto quello che ha vinto, nell’era di Merckx… Ricorderò sempre la sua saggezza”.
Ovviamente anche Coppi e Bartali non mancano nella galleria di Vincenzo Nibali, ma senza giudizio ciclistico - semplicemente per non aver visto quel ciclismo - e quindi per tutto quello che ce li ha fatti amare in modo postumo: l’uomo solo al comando, la maglia biancoceleste, il suo nome Fausto Coppi. E poi la Dama Bianca, la malaria, il chinino, il passaggio della borraccia e tutta l’epica di quello straordinario ciclismo. Ma c’è anche il modo per rivivere anche l’epica di Gino Bartali, il rischio di rivolta popolare disinnescata soltanto dalla sua vittoria al Tour de France, la sua vita straordinaria che gli è valsa un posto fra i giusti dell’umanità, salvando la vita a moltissimi ebrei.
“Nella sua ricostruzione c’è tutto, questi sono personaggi della storia, con un ruolo importantissimo anche al di là delle imprese sportive. Anche in questo caso, non avendo vissuto in diretta le loro vittorie, non posso esprimere un giudizio compiuto dal punto di vista sportivo, ma nell’epopea di Coppi e Bartali, la rivalità fra i loro tifosi e ciò che ha accompagnato le loro carriere c’è la grande storia”.
Insomma, in attesa di Tadej Pogacar, a Nibali piacerebbe il giro d’Italia di quest’anno?
(Vincenzo, prima di rispondere guarda ridendo Mauro Vegni, che come sempre ha disegnato la corsa rosa, partendo da un inizio durissimo, con subito la tappa di Oropa, che normalmente arrivava nell’ultima settimana). “Diciamo la verità, le scelte di Mauro quest’anno sono state fatte anche per rendere emozionante il Giro anche per il pubblico televisivo fin dalle prime tappe. Io ero abituato alla tripletta di tappe finali, qui la prima tripletta è arrivata fin dall’inizio. Ma questo Giro mi sarebbe piaciuto molto anche correrlo”.
L’ultimo ricordo è per Michele Scarponi, il compagno di squadra, ma soprattutto amico di Vincenzo che nel 2016, fu decisivo per ribaltare e far vincere il Giro a Nibali. E oggi Vincenzo è con Marco Scarponi - fratello di Michele, nel frattempo scomparso in un incidente stradale in bicicletta, mentre si allenava a casa sua nelle Marche - per intitolargli la pista ciclabile in riva al mare in corso Italia a Genova. Racconta l’atto di intitolazione che “in quel Giro d’Italia Michele Scarponi nella diciannovesima tappa Pinerolo-Risoul, mise il “piede a terra” per attendere il suo capitano e trascinarlo al successo finale, rinunciando così a una sicura vittoria di tappa: un gesto che, a distanza di otto anni, è ancora scolpito nel cuore di tanti appassionati, simbolo di valori universali quali amicizia, sacrificio e altruismo”.
«Sono felice di essere stato coinvolto in questa giornata speciale, dedicata al ricordo e al tema delle infrastrutture ciclabili da coniugare con la sicurezza delle persone. Grazie di cuore alla famiglia Scarponi e in particolare a Marco per mantenere viva la memoria di Michele, un grandissimo amico con il quale abbiamo condiviso molte vittorie. Il lavoro portato avanti dalla Fondazione Michele Scarponi è molto importante sotto vari profili: l’educazione stradale, l’attivazione sportiva e la promozione del territorio. Un caro abbraccio anche alla famiglia Rinaldi, un altro ciclista morto per strada a cui è intitolata la pista ciclabile: quanto successo a Michele e Rocco ci fa comprendere quanto sia importante coniugare al ciclismo, e alla pratica sportiva in generale, l’aspetto fondamentale dell’educazione stradale, a partire dai più giovani».