Tennis, “Wimbledon mia cara…”. Memorabilia dal Centre Court di Church road
La top ten delle dieci cose per cui questi Slam sull’erba sono stati indimenticabili, dalla favola di Tatiana Maria a quella di Ons Jabuer, dai cento anni del Campo centrale ai sorrisi di Jannik. E poi Nole e Rybakyna, la “russa” che alla fine ha vinto

Il Club ha chiuso i cancelli al pubblico ieri sera. I campi possono “finalmente riposare” come dicono in Church road sede dello slam sull’erba. Il torneo più bello e affascinante nonostante Soprattutto far ricrescere l’erba che quest’anno è stata - ahimè - meno verde del solito. Con grande rammarico di Neil Stabley, gran capo dei giardinieri del Club, un esercito di 28 persone che ascolta il rumore dell’erba che cresce e ogni giorno controllo che nei 18 campi dove si giovano gli Chiampionship non superino mai i 9 millimetri. Nole Djokovic ha vinto il ventunesimo slam, superando Federer (20) ma ancora no Rafael Nadal (22). Nel femminile ha vinto la kazaka Rybakina. Ma l’eccezione è stata la tunisina Ons Jabeur. Ecco qualche assaggio di undercovered Wimbledon, le dieci cose che gli appassionati non potranno mai dimenticare. Che finiranno nei libri di memorabili di questa edizione, quella dei Cento anni del Centre court. E che confermano, una volta di più e nonostante tutto, che Wimbledon era e resta il torneo più amato. Anche da chi col tennis c’entra poco o nulla.
“Yalla Ons”
Si chiama Ons Jabeur, è tunisina, ha 27 anni, è sposata da quando ne aveva 21, non è una watussa ed è anche robustella. Ma ha un sorriso coinvolgente, molto ironica ed è la prima giocatrice araba e africana ad arrivare in finale a Wimbledon. Se avesse vinto contro la russo-kazaka Rybakina, diciamo che il suo volto e la storia avrebbe potuto avere un effetto considerevole nel tormentato quadro geopolitico di questi mesi dove tutto sta cambiando e anche il ruolo dell’Africa rispetto all’Europa. Che esagerazione, si dirà, “in fondo è solo una partita di tennis”. Ma la storia ci racconta cosa può fare un successo sportivo di questo livello in termini di orgoglio nazionale e soddisfazione sociale: può sedare rivolte, dare speranza, dimostrare che è possibile. Ons incanta da qualche anno col suo tennis antico ma estremamente efficace. Intelligente. Fatto smorzate, lob e repentine accelerazioni e angoli micidiali. E’ simpatica Ons, adora il calcio, ed è un’eroina nazionale. Non aveva abbastanza soldi, prima del Covid per poter tentare la scalata della classifica. E i suoi ricami incantavano il pubblico ma non bastavano a tessere vittorie in numeroso sufficiente per arrivare lassù. E’ stato allora che i Quattro slam hanno deciso di consorziarsi e di offrire wild car ai “migliori giocatori e alle migliori giocatrici di paesi in via di sviluppo” per ciascuna tappa dei quattro tornei major dell’anno. Ed è stato così che Ons è riuscita ad entrare nei tabelloni, fare punti e scalare le classifiche. Fino alla finale di ieri. “Yalla Ons, yalla Ons” correva il grido ieri lungo le tribune del Centre court. Dopo “came on” e “vamos”, “forza, dai”, c’è un nuovo modo per incitarsi durante un match. E’ arabo e suona così: Yalla Ons, yalla. “E’ incredibile e motivo di grande orgoglio per me vedere qui a Wimbledon così tanti tifosi arabo-africani” ha detto Ons dopo il match. Consapevole di cosa e quanto potrà fare questa tennista per le donne, per i suo paese, per il tennis. Yalla Ons. Appunto.
Nole si è guadagnato un posto alle Finals
Novak Djokovic, che aveva vinto i Championships nel 2018, 2019 e 2021 (nel 2020 Wimbledon aveva tenuto i battenti chiusi causa Covid), in primavera si era posto un obiettivo: dimostrare che, quando lo lasciano giocare, è ancora il più forte, soprattutto sull’erba. Visto che il mese scorso non ci era riuscito a Parigi nel torneo per lui da sempre più ostico, “doveva” compiere la missione a Londra. Anche perché, per le stesse ragioni extrasportive che l’avevano costretto in gennaio a disertare lo slam degli antipodi, non avrà a lungo altri major nei quali dimostrare la propria superiorità. Né Stati Uniti né Australia gli daranno infatti i visti d’ingresso. Se ne riparla per il Roland Garros 2023. Escluso anche dai tornei americani e precedenti gli Us Open, l’ultimo slam di stagione, causa assenza punti (ritorsione Atp contro la decisione dell’Aeltc di escludere giocatrici e giocatrice russe), il serbo numero 1 del mondo precipiterà dopo la decima posizione in classifica. Unica chance per lui di partecipare al Master finale (a Torino a novembre) era proprio vincere The Championships. Una regola Atp consente infatti di iscrivere al “torneo dei maestri” - i primi otto in classifica - anche chi è nei primi venti ma ha vinto nel corso dell’anno almeno uno Slam.
Attenzione: la posizione di Djokovic sui vaccini va condannata perché un personaggio pubblico globale è tenuto a dare esempi positivi. Tuttavia, come anche l’ottusa vicenda del rifiuto delle iscrizioni dei russi a Wimbledon ha dimostrato, si dovrebbe sempre tutelare lo sport e gli sportivi, mettendoli al riparo dagli effetti delle tensioni geopolitiche. Battendo nettamente in quattro set Nick Kyrgios (4-6 6-3 6-4 7-6) il serbo ha dunque ottenuto quanto voleva. Le altre conseguenze del suo successo sono, per una volta, solo marginali per l’interessato in queste ore: il quale, però, tra qualche tempo rivaluterà in termini statistici la vittoria sull’erba nel 2022, la sua settima su questa superficie e la ventunesima in assoluto negli slam. Il contesto socio-politico sarà presto dimenticato.
Ha vinto la più russa di tutte
Tutta colpa di Kate - si diceva nei vialetti di Church road - se gli organizzatori del torneo hanno bannato i giocatori e le giocatrice russe. Cioè il numero 1 e 5 del mondo - Medvedev e Rublev - e due o tre tra le prima quindici del mondo come Vera Zvonareva, Daria Kasatkina, Anastasia Paliunshenkova ed Elena Vesnina. Non sarebbe stato possibile sopportare l’idea di andare in diretta o differita su oltre cento tv del mondo mentre la duchessa di Cornovaglia premiava un giocatore o una giocatrice russa. Inimmaginabile concedere uno spot del genere al regime di Vladimir Putin. Così mentre gli Championships hanno raccolto fondi per l’Ucraina e l’Inghilterra è uno dei paesi che ha inviato più carri armati del resto d’Europa, i tennisti russi sono rimasti a casa. Che per molti di loro vuol dire Montecarlo, Barcellona, altre località in Francia o negli Stati Uniti dove negli anni hanno via via preso la residenza e anche la cittadinanza. Elena Ribakina l’ha presa in Kazakistan che negli ultimi anni ha seguito una politica molto aggressiva di “acquisto” di giocatori. Elena Ribakina ha vinto Wimbledon. Il governo kazako ha finalmente ottenuto quello che voleva: iscrivere il suo nome nel pantheon del tennis. Ma Elena non ha trionfato alla fine, non ha alzato le braccia, non ha fatto dediche particolari e ha tenuto gli occhi fissi, quasi tristi, di sempre. Non è solo concentrazione. E’forse più russa lei di tante altre sue colleghe che non hanno potuto giocatore gli Championships. C’era poco da esultare.
Sorridi, finalmente, Jannik
Non tutti i quarti di finale degli Slam hanno lo stesso valore. E sapore. Jannik Sinner in febbraio viene sconfitto in tre set da Stefanos Tsitsipas a fallisce l’ingresso alla semifinale degli Australian Open. Vive male l’evento, addirittura pare decida quel giorno il divorzio dal coach storico Riccardo Piatti. Sei mesi dopo, a Wimbledon, il ragazzo con i capelli carota (“da piccolo mangiava carote al cambio campo” narra una deliziosa leggenda) si trova avanti di due set a zero nel quarto di finale contro Novak Djokovic (giocati in maniera stellare) ma si fa rimontare e esce dal tabellone. Perché stavolta la sconfitta dà morale anziché demoralizzare? È presto detto: Sinner non aveva alcun precedente positivo sull’erba e le quattro vittorie consecutive su Stan Wawrinka, Michael Ymer, John Isner e soprattutto Carlos Alcaraz confermano il suo valore e rivelano il suo “senso” per la superficie di Wimbledon. Essere fermato dal campione in carica ci sta, in questo contesto. E poi la partita-chiave è quella precedente, negli ottavi di finale, contro il giovane fenomeno spagnolo e numero 5 del mondo, che tutti davano per super-favorito. Non solo il sudtirolese, ora numero 1 d’Italia scalzando Matteo Berrettini, passa il turno, ma dimostra nei quattro set (6-1 6-4 6-7 6-3) di essere maturato nel fisico (pare non cresca più in altezza e aver messo su 3-4 kg di massa muscolare) e mentalmente nelle ultime settimane. In più, i suoi margini di crescita sono molto ampli, mentre il diciannovenne di Murcia appare già oggi un tennista di prima fascia fatto e finito. D’ora in poi, sarà opportuno valutare match dopo match i progressi di Jannik: il combinato composto del coach a tempo pieno, Simone Vagnozzi, e di quello che interviene per le rifiniture, Darren Cahill, potrebbe dare risultati importanti e in tempi brevi.
100 anni di Centre court
Quante grandezza nella semplicità. E quante ne ha viste questo campo in cento anni. Cento anni di storia, di famiglie reali, di campioni, di stile, di società inglese che è la vera protagonista degli Championships, di ogni età, sesso e fascia sociale. Nato come lo sport dei nobili, esploso nell’età vittoriana, esportato nel mondo, il tennis è tuttora in Gran Bretagna lo sport praticato da tutti. E agli Championships c’è posto per tutti. Se si è appassionati. Festeggiare i cento anni del campo Centrale è una cerimonia che avrebbe mandato in tilt qualunque organizzazione. Non quella dell’Aeltc che ha seguito la regola aurea delle grandi sfide, anche nel tennis: fare cose semplici. La scelta del giorno, ad esempio. Per la prima volta quest’anno il torneo non ha seguito lo stop della domenica di mezzo, sacro riposo per l’esercito di addetti e volontari. La domenica di mezzo è diventato il giorno numero 7 del torneo. E, soprattutto, il giorno delle celebrazioni. Tenute coperte e riservate fino alla mattina - anche i giornalisti non conoscevano i dettagli della cerimonia che “molto probabilmente” si sarebbe tenuta - finche nei vialetti di Church road è cominciato a girare la voce che Roger Federer era lì, e anche Pat Cash, Stefan Edberg, Bjorn Borg, Billie Jean King, Chris Evert. Maestri di cerimonia due leggende, John McEnroe (tre volte vincitore e ora commentatore per Espn negli Usa e Bbc in Gran Bretagna) che ha fatto da spalla alla storica presentatrice della Bbc Sue Barker, campionessa del Roland Garros nel 1976. Poi sono sfilati tutti, gli “one time champion”, dai mitici Margaret Court, Jhon Newcombe e Stan Smith, fino a Simona Halep, Angelique Kerber, Pat Cash, Lleyton Hewitt, Marion Bartoli, Goran Ivanisevic, Martina Hingis…Poi, tocca a coloro che hanno vinto più volte, come Petra Kvitova (2), Rafa Nadal (2), Stefan Edberg (2) Chris Evert (3), Rod Laver (4), Venus Williams (5), Bjorn Borg (5) e Andy Murray (2). Seguono i campioni ad aver conquistato sei sigilli sull’erba, come Billie Jean King e Novak Djokovic. Alla fine, “the eight tume champion… Rogeeeer king Federer”. E il Centre Court ha tremato, pianto, gioito, impazzito in una interminabile standing ovation. Il quale Roger, emozionato di essere su quel campo in perfetto completo nero da cerimonia, ha detto: “Spero di poter giocare ancora una volta qui”. Intanto grazie di esserci tornato per una celebrazione. Tra Nole e Rafa ancora in tuta. Non tutti l’avrebbero fatto.
Il mancino olandese
Dell’olandese Tim van Rijthoven gli organizzatori di Wimbledon leggono qualcosa all’inizio di giugno: sull’erba di s-Hertogenbosch, a due passi da casa sua, lo sconosciuto numero 205 ATP (che al massimo è stato 175 del ranking mondiale) elimina l’australiano Matthew Ebden. Due giorni dopo si ripete con l’americano Taylor Fritz, testa di serie numero 3, poi prosegue nei quarti di finale con il francese Hugo Gaston, travolto in due set. In semifinale la vittima è la testa di serie numero 2, il canadese Felix Auger-Aliassime. Approdato alla finale, Tim lascia le briciole al numero 1 al mondo Daniil Medvedev: 6-4 6-1. È così che l’AELTC decide di farlo entrare direttamente nel tabellone dei Championships assegnandogli una wild card. Al suo primo slam a 25 anni compiuti, il ragazzo capisce che è la sua occasione. All’esordio elimina lunedì 27 giugno l’argentino Federico Delbonis, mercoledì l’americano Reilly Opelka, venerdí il georgiano Nikoloz Basilashvili. Prima di volare a Londra aveva dichiarato “Mi piacerebbe sfidare Djokovic sul Centrale”. Detto fatto, eccolo accontentato: domenica 3 luglio affronta il campione uscente, poi confermato, e gli sottrae perfino un set: 6-2 4-6 6-1 6-2 . É nata una stella.
Vamos Rafa, ancora un po’
Gli ultimi giorni dei Championships maschili, quelli dopo i quarti di finale, hanno avuto tre protagonisti giocanti, Novak Djokovic, Nick Kyrgios e Cameron Norrie, e uno non giocante ma altrettanto presente, se non di più, in cronache, commenti e analisi tecniche: Rafael Nadal. Nell’immediato, ha creato sconcerto e illazioni il ritiro dello spagnolo, reduce dai trionfi nei due primi slam della stagione, poche ore dopo dopo aver sconfitto Taylor Fritz. Poi è arrivata la conferma che la decisione era (ben) motivata dalla lesione ai muscoli addominali che aveva costretto il maiorchino a ricorrere agli antidolorifici durante il match con in californiano. In ogni caso, Nadal ha fatto bene i conti, a prescindere dal guaio fisico. Ritirandosi ha evitato alcuni eventi spiacevoli e costruito il terreno per altri potenzialmente positivi. Anzitutto non si è messo nelle condizioni di patire danni più gravi, recuperabili soltanto dopo mesi di terapie (per un analogo problema, Matteo Berrettini ha saltato l’intera stagione sulla terra rossa); non ha corso il rischio di una umiliante sconfitta in finale per mano di Djokovic, che per le note ragioni di contrarietà ai vaccini non parteciperà agli slam americano di settembre e australiano di gennaio, entrambi sul veloce; avrà dunque la possibilità, in assenza dell’arcinemico che lo tallona nella collezione di slam (22 contro 21), di incrementare il proprio vantaggio fino a renderlo difficilmente recuperabile. Perché, non dimentichiamolo, i due hanno rispettivamente, 36 e 35 anni compiuti: per ora, non hanno il dono dell’eternità, anche se qualche loro fan ne sembra convinto.
Ospiti di un solo padrone di casa, l’Aeltc
Tra i memorabilia di questa edizione, una particolare sensazione probabilmente già avvertita negli anni passati ma quest’anno sentita in modo più definito. Anche i grandi del tennis sono ospiti dell’Aeltc. Nel senso he si muovono come tali, si comportano come tali. Mi spiego meglio. Negli altri tornei, anche di rango inferiore come i Master 1000, giocatori e giocatrici non hanno praticamente mai contatto col pubblico. Viaggiano nei sotterranei dei vari circoli e strutture. Nella migliore delle ipotesi sulla macchinette e scortati da poderosi men in black. A Wimbledon no: camminano lungo i vialetti che conducono ai vari campi, scortati da ordinarie giade del corpo che concedono, dopo il match, lunghe sedute di autografi e momenti ravvicinati. I diciotto campi dell’Aeltc sono accessibili ai biglietti ground (tranne Centre, 1 e 2) e nei primi giorni capita di vedere il match ad un metro dal campo. Queste le regole del Club: lo show è per tutti, a portata di mano, di autografo e selfie, ovviamente. E nessuno le può cambiare. W Wimbledon…
Le due sorelle: “Giochiamo ancora un po’”
Serena e Venus sono tornate sui campi in erba del Club. Quarantuno anni Serena, quarantadue Venus, sono due signore molto ricche, di più super ricche, che non riescono a stare lontane dai campi da tennis. Per questo sono, a mio avviso, insuperabili ed emozionanti. Certo, sono l’ombra di quello che sono state e non pochi guardandole dicevano: “Quando è l’ora di dire stop bisogna aver la forza di farlo”. Anche perchè il rischio di sciupare quello che si è state è molto alto. Può darsi. E però il pubblico si è anche emozionato in massa per Serena, tornata in campo dopo un anno esatto dalla sua ultima apparizione. E ha fatto la hola per Venus in doppio misto con Jamie Murray. Serena ha perso al primo turno contro una ordinaria giocatrice francese, Harmany Tan che non era nelle prime cento prima di questo torneo. Tre ore di lotta, poi la più piccola delle due sorelle è stata sconfitta dalle smorzate. Era il suo primo singolare dopo un anno. Ha ruggito ancora però. E non siamo ancora all’addio. Venus non ruggisce più da tempo ma sa ancora regalare emozioni. La cinque volte Champion di Chirch road si è anche presentata in campo per la cerimonia del 100 anni con una mise mozzafiato, gonna corta e capelli al vento. Una criniera. Grazie sorelle.
Marià, la bismamma semifinalista
Infine Tatjana Marià, la tedesca di 34 anni due volte mamma, figli di 9 e un anno anno in prima fila (davanti alla tv) a farle il tifo. Ha perso in semifinale contro Ons Jabuer, ma solo al terzo set. Ons e Tatijana, le due favole del torneo femminile. La tedesca a 34 anni sta vivendo una nuova giovinezza: ai quarti si è imposta contro Jule Niemeier, nel derby tedesco, in tre set, in rimonta con il punteggio di 4-6 6-2 7-5. La numero 103 del mondo, posizione che rimarrà invariata visto che Wimbledon non assegna punti, è stata la favola bella di Church road. Dopo ogni match vinto contro ogni previsione - Sorana Cirstea all’esordio, poi Maria Sakkari, Jelena Ostapenko - le prime parole erano per i suoi figli, per “Charlotte che sarà la futura campionessa” e per l’ultima arrivata, Cecilia, un anno e mezzo fa. La tedesca, negli ultimi 9 Slam giocati non aveva mai superato il primo turno o le qualificazioni. Tedesca del Baden-Württemberg, ha sempre amato l’erba grazie al suo gioco non potente ma ricco di variazioni. Sposata dal 2013 con Charles-Edouard Maria, allenatore e coah, Tatjana ha dedicato a lui le parole più belle dopo ogni match: “Senza di te, non sarei qui”. Una favola, appunto.