Italia-Svezia di oggi a Bologna è diversa da tutti gli altri confronti fra le due nazioni, che hanno caratterizzato per anni la coppa Davis, con gli azzurri che si sono imposti 12 volte su 21, a partire dal 4-1 del 1953 a Torino, per finire col 2-1 dell’anno scorso a Bologna, dove si replicherà oggi la sfida. Con Berrettini che imbavagliò Elias Ymer per 6-4 6-4, Jannik Sinner che perse col fratello Mikael per 6-4 3-6 6-3 e il doppio Bolelli-Fognini che s’impose su Goransson Madaras per 7-6 6-2.
Era un’Italia scatenata che, interrompendo il tabù sulle superfici veloci contro gli scandinavi, si aggiudicava il terzo match su tre delle qualificazioni di Coppa ed irrompeva nei quarti contro gli Usa. Un’Italia, diversa da quella di oggi - senza Berrettini e Sinner -, ma ancora favorita in un altro scontro molto importante. Per arricchire la storia con la Svezia dopo le due indimenticabili pagine del 1980 e del 1998. Una bellissima e un’altra amarissima.
MIRACOLO CANE’ IN COPPA DAVIS
Oggi come oggi, appassionati e curiosi dibattono sul livello fisico da maratoneta sui 5 set e negli Slam dei fenomeni azzurri che stanno riscrivendo il tennis italiano a livello più alto. Nel post-Panatta e azzurri del magico trionfo di Davis 1976, il tema era già un po’ quello a cospetto di un tennis che proprio uno svedese, Bjorn Borg, stava spingendo sempre più verso testa e fisico.
E i talenti di tocco, come Paolino Canè, che non avevano completato gli studi atletici, pagavano tristemente dazio calando alla distanza e reagendo in modo scomposto in preda alla frustrazione. Ma, fuori dalla morsa dei tornei, dei match quotidiani, senza respiro, una volta curati e preparati a puntino, coccolati e amati dalla squadra e dell’atmosfera di Davis, tifosi di casa inclusi, quando potevano sparare tutte le cartucce in una-due partite, magari sulla prediletta terra rossa - anche un po’ più lenta -, si esaltavano e rendevano al meglio.
Anche contro pronostico, come accadde nel febbraio 1990, nel primo turno di Coppa, contro la corazzata Svezia guidata dall’ex numero 1 e pluri-campione Slam, Mats Wilander, forte del secondo singolarista, il solido Jonas Svensson, e del doppio con lo specialista Anders Jarryd. "Paolino la peste” per i buonisti, “Isterix” per gli iper-critici, dal servizio con movimento brevissimo, rovescio magico e repentine soluzioni a rete, al rientro in nazionale dopo un anno per il solito braccio di ferro di amore-odio con capitan Adriano Panatta, giocò una settimana da favola. Il venerdì, rimontò Svensson al quinto set riemergendo dal baratro di due set a zero sotto.
Il sabato, accanto a Diego Nargiso, si esaltò contro Jarryd e Gunnarsson, portando l’insperato 2-1. E la domenica, si caricò come non mai. L’amico bolognese, il compagno di singolare, Omar Camporese, non aveva più le gambe per sovrastare il regolarista Svensson e crollo alla distanza. Ma, sul 2-2, quando nessuno avrebbe scommesso su di lui, Paolino approfittò della stanchezza di Wilander, fortemente provato dalle 4 ore di gioco diluite in due giorni per domare in 5 set proprio il braccio d’oro di Omar.
CIAO CIAO WILANDER
La partita fu epica: Canè, forte del successo di 3 anni prima su Wilander, sempre in Davis, vinse il primo set, perse il secondo, prese una paurosa imbarcata fino allo 0-3 del terzo, che perse ancora. Ma, quando riemerse dagli spogliatoi dalla mezz’oretta di riposo che era prevista all’epoca, più ancora di Djokovic dei giorni nostri, rientrò in campo come rinato. Coi suoi famosi e continui scatti - qualcuno li chiamerebbe sconvolgenti alti e bassi - , come uno scalatore sullo Stelvio, passò dal 5-2 al 5-5 al 7-5, sconcertando l’avversario e mandando in estasi il pubblico. Lo stop per oscurità, col rinvio al lunedì, sul 6-4 3-6 4-6 7-5, fu provvidenziale. Così come fu da infarto, alla ripresa, il 3-0, con occasioni del 4-0 e 4-1 del funambolico Canè che però appassì in un deludente 3-3 e si stabilizzò in un sofferto 5-5 nel tritacarne Wilander che sembrava ormai irrefrenabile. Ma nessuno più avrebbe potuto dimenticare l’improvvisa, miracolosa, trasformazione di Canè. Che inscenò un mirabolante Paolino show con una serie di soluzioni disperate e vincenti, compreso un tuffo salvifico e uno smash a tre quarti di velocità che è entrato nella cineteca del tennis italiano, come il 7-5 decisivo e l’apoteosi del campione incompleto ma dall’umanità irraggiungibile.
LA TRISTEZZA PER LA FI
Paolo Bertolucci, oggi commentatore tv, già campione, da giocatore, della Davis del ’76, da capitano di Coppa, riportò nel 1998 l’Italia in finale gestendo anche i difficilissimi rapporti fra giocatori e FIT, non ancora gestione-Binaghi e non ancora FITP, pre bum finanziario ed organizzativo e pace coi gruppi privati.
Alla prima finale in Italia dopo 6 trasferte, contro la Svezia dei due Magnus, Norman e Gustafsson, sulla terra rossa del Forum di Assago, gli azzurri Andrea Gaudenzi e Davide Sanguinetti, esaltati dal colpaccio contro gli Staòi Uniti a Milwaukee, sentivano di potersi giocare la storica occasione, addirittura 18 anni dopo la sfortunata finale di Praga. Forti anche di un buon doppio, Gaudenzi-Nargiso.
Per essere presente allo storico appuntamento al quale aveva largamente contribuito, Andrea, oggi presidente dell’ATP, aveva rimandato l’operazione ai tendini sfilacciati della spalla destra. Che, però, ahilui e ahinoi, sforzati ulteriormente dal batti e ribatti da fondo contro Norman (futuro re di Roma e finalista al Roland Garros 2000), sul 7-6 6-7 6-4 3-6 6-5, sulla soglia del tie-break decisivo, dopo lamenti e sofferenze, pillole e smorfie del guerriero azzurro, si spezzò.
Lasciando penzoloni, senza forza, il braccio del faentino e simbolicamente anche le speranze italiche. Andrea, in lacrime, si ritirò clamorosamente alzando bandiera bianca anche a nome della squadra. Che si liquefece in un amen.