Talento, agonismo, squadra e competenza, le parole chiave per capire i ragazzi che fecero l’impresa
Momento magico per il tennis italiano. Ma dietro le vittorie c’è il lungo lavoro di costruzione di un movimento in grado di guardare avanti e fare investimenti. Il segreto della “squadra”

Il sorriso di Sinner mentre al terzo match ball, che era anche la Davis ball, il rovescio di De Minaur plana nel corridoio, 63-60 in meno di novanta minuti. Lo sguardo da killer dell’esordiente Matteo Arnaldi che, memore dei tre match ball sprecati giovedì contro l’Olanda, contro Popisyn fa quello che deve e al momento giusto per chiudere la partita in tre difficili set (75-26-64). La passione di Lorenzo Sonego che già salvò l’Italia nel girone di settembre e che ora ha saputo guidare un doppio con Sinner gioioso e vittorioso che ha fatto la differenza contro la Serbia e ha aperto la strada alla finale. E poi Lorenzo Musetti, il pittore con la racchetta ancora poco solido ma con tanta strada davanti, e il più “anziano” di tutti, Simone Bolelli, per lui un cammino lungo quindici anni pieno di ricadute - molte - e risalite - poche - prima di arrivare ad alzare l’Insalatiera.
Cinque ragazzi, un Capitano e un Presidente
Questa volta l’impresa l’hanno fatta loro, cinque ragazzi e un Capitano, Filippo Volandri che ha patito di più questi due anni in panchina che in tutta la carriera agonistica. Sarebbe ingiusto non coinvolgere nell’impresa un movimento che conta oggi più di seicentomila tesserati a cui un ingegnere ha saputo applicare la formula giusta, dura, spesso controversa e incompresa che però ha portato tutti fin qua. Si chiama Angelo Binaghi, è forse il miglior dirigente sportivo attivo in Italia, e ieri nella serata azzurra di Malaga, ha voluto che anche Nicola Pietrangeli, 90 anni compiuti a settembre, scendesse in campo per alzare di nuovo la coppa già conquistata nel 1976. Tra tanti modi di passare un testimone questo è stato il più dolce ed emozionante. Cile 1976 e quella squadra altrettanto speciale - Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli - può finalmente riposare nei libri della storia del tennis. Grati per averci regalato per 47 anni la magia di quella vittoria, da oggi abbiamo un’altra data - 26 novembre 2023 - un altro luogo - Malaga - e un’altra squadra. “Meno male, mi sono tolto un pensiero, adesso chiameranno loro” ha commentato Panatta con la solita ironia. Nel mezzo ci sono state sei finali sempre perse: tre contro l’Australia (1960-1961-1977), una contro gli Stati Uniti (1979), una contro la Cecoslovacchia (1980 e ancora oggi ci sarebbe da recriminare su quell’arbitraggio) e la Svezia (1998). In campo allora il numero uno era Andrea Gaudenzi che da quattro anni è il numero uno dell’Atp, (Associazione dei Tennisti Professionisti). Anche questo forse non è una coincidenza.
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Un altro Matteo
Tennisticamente in questa finale l’uomo chiave è stato Matteo Arnaldi. Il ragazzo di Sanremo è un 2001 di nascita, come Sinner. Fino all’anno scorso si aggirava incerto tra le posizione 140 e 160 della classifica. A novembre 2022 ebbe una wild card alle Next Gen Atp Finals, il ragazzo prometteva bene ma non riusciva ad avere picchi. “Ho perso tutte le partite ma ho capito che posso fare il professionista”. Un anno dopo ha giocato gli ottavi agli Us Open ed è stabile intorno alla quarantesima posizione. A settembre l’esordio in Davis. A Malaga capitan Volandri lo conferma anche se nelle ultime settimane non ha potuto giocare molto per problemi familiari. Scende in campo giovedì contro l’Olanda e perde il match di apertura dopo aver avuto tre match ball contro Van de Zandshulp. Rimedia Sinner e poi il doppio inedito, che non ti aspetti, Sinner-Sonego. Due a uno, l’Itatennis procede in semifinale contro la Serbia. La partita persa mille volte a tavolino, viene invece vinta da un colpo di reni di Sinner contro l’imbattibile Djokovic che era a tre punti dalla vittoria. Questa partita, nella storia del tennis, è un capitolo a parte e soprattutto un esempio: l’Italia dai ragazzi bamboccioni, polemici, che si lamentano, che non sanno soffrire, bravi-si-ma-senza-attributi è stata spazzata via da questa squadra di sognatori, umili e tenaci bravi ragazzi.
Con un talento da numero uno che si chiama Jannik Sinner. Di lui s’è detto e si dirà ancora molto. Qui basti questo: non si batte per caso il numero uno del mondo per tre volte in dodici giorni (Finals a Torino, Malaga in singolo e in doppio). In finale contro l’Australia capitan Volandri torna alla sua prima scelta, Arnaldi che stavolta non delude. E poiché i migliori tennisti quando perdono imparano, Arnaldi nel primo è rimasto attaccato a Popyrin, tra break e contro break, una partita per entrambi nevosa ma sul 6-5, l’aussie al servizio, l’azzurro s’è preso la prima occasione arrivata. Probabilmente sarebbe stata anche l’ultima: 7-5. Il numero 2 australiano, anche lui tra i prima cinquanta in classifica, doveva essere aiutato dal campo veloce. E infatti così è stato nel secondo set: 6-2 per l’australiano di origini russe. Ma il numero 2 azzurro, più piccolo e leggero, meno esplosivo anche se più elastico, ha saputo tessere la tela fin dall’inizio del terzo set e una volta sul 5-4 ha sfruttato la prima occasione arrivata chiudendo con 6-4. Il contrario di quello che successe nella prima giornata contro l’Olanda.
Vincere il primo singolare era l‘unica chance per la squadra capitanata da Leiyton Hewit, il tenace ex numero uno del mondo che è riuscito ad arrivare in finale senza una vera squadra per due anni di fila. Lo scontro diretto tra il top12 De Minaur e il numero 4 Jannik Sinner non poteva che finire come è poi finito, due set perentori in cui l’azzurro in totale trance agonistica ha tirato vincenti da ogni angolo, smash compresi. Per gli azzurri sarebbe stato problematico arrivare al doppio di spareggio. I ragazzi l’hanno risolta senza sorprese, liscia. Semplicemente perfetti.
Quattro parole chiave
C’è il talento, l’agonismo, ma per capire come si arriva a questa impresa ci sono altre due parole chiave in questa domenica che è già leggenda. Una è “squadra”. L’altra è movimento. Nella panchina azzurra c’era anche Matteo Berrettini, l’ex numeroso azzurro, primo finalista italiano a Wimbledon (contro il solito Djokovic), da mesi nel tunnel di vari infortuni. Berrettini si sta allenando, tenterà il rientro in Australia. E però è andato a Malaga, per stare in panchina e dare consigli da lì, per vivere il clima della Davis e il calore del team. “La forza della squadra”, “lo spirito del gruppo”, “il bello di stare qua insieme”, “giocare tra amici” (Sinner dopo il doppio con Sonego): queste parole sono tornate più e più volte in queste settimana (e non solo). Lo sport individuale per eccellenza - il tennis - diventa così il lavoro di un team di persone. In campo ci sono loro, i giocatori, uno per uno, soli contro l’avversario -e se stessi - anche per ore.
Ma girarsi e trovare sempre il pugno e il grido della panchina oltre che lo sguardo attento del tuo staff tecnico (novità degli ultimi anni: affiancare in Davis il coach personale ai tecnici federali) è una benzina mentale e fisica che solo la Davis può dare. E che, come dicono i protagonisti, ha fatto la differenza. Questi ragazzi hanno messo da parte - e anche volentieri - l’Io per lasciare lo spazio al “Noi”. Se uno perde, cerca di vincere l’altro. Non si recrimina, si lavora invece tutti nella stessa direzione. Fin alla fine. Dallo sport non poteva arrivare lezione migliore. La squadra abbracciata che intona, tesa, l’inno prima dell’avvio dei match. La squadra, sempre abbracciata, che lo canta a squarciagola e felice nella premiazione. Cos’è una cartolina di felicità? La premiazione dell’Itatennis a Malaga. Guardateli tutti, fotogramma per fotogramma.
La gilded age del tennis italiano
E poi c’è il Movimento, la terra buona e ben coltivata che alla fine ha dato i suoi frutti. Una stagione iniziata con Berrettini (senza nulla togliere a Fognini), proseguita con Sonego, Cecchinato fino all’arrivo degli under, li chiamavano così, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, sei mesi di differenza, fino ad Arnaldi. E non finisce qua. Al netto del fenomeno Sinner - rara miscela di talento, volontà, educazione e serietà - tutto questo non arriva per caso. Angelo Binaghi la spiega così: “Abbiamo cercato di dare al nostro movimento una visione olistica, d’insieme. Tutte le componenti hanno cominciato da qualche anno a lavorare nella stessa direzione trovando il necessario punto di equilibrio. Prima c’erano maestri senza una guida tecnica, senza aggiornamenti, ciascuno cantava la sua parte senza avere una visione d’insieme. I circoli anziché cercare di investire sui propri vivai ingaggiavano giocatori stranieri. Quando sono arrivato ho trovato un sistema federale in contrapposizione con quello dei circoli e dei coach privati. Abbiamo dimostrato che le due realtà traggono beneficio se restare insieme. C’è stato un metodo e una gestione che ha scommesso sugli asset federali che erano moribondi – a cominciare dagli Internazionali – e sono diventati volano e moltiplicatore del gioco del tennis. Eravamo la federazione più povera e indebitata e siano diventati quella più ricca di risorse, progetti ed entusiasmo. Abbiamo ricostruito dal basso, con basi solide”.
Un percorso lungo ventidue anni che iniziò a dare ottimi frutti quando a fare l’impresa furono le ragazze. “Sono state loro, dal 2006, i loro successi di squadra (quattro Fed Cup, la Davis femminile) e individuali (Schiavone a Parigi e Pennetta a New York) a garantire a noi dirigenti la serenità per ricostruire il movimento. Ecco perchè dico sempre che oggi i ragazzi sfruttano tutto quello che di buono hanno fatto prima le ragazze”. In questo mese incredibile per il tennis azzurro, oltre alla finale delle Finals e la Davis, non dobbiamo dimenticare che il 12 novembre la squadra di Tathiana Garbin ha giocato la finale di Billie Jean King Cup.
Il futuro
E’ scritto con lettere molto solide in questo presente. E’ una squadra molto giovane, con un paio di figure più esperte (Sonego e Berrettini), dove ciascuno è in grado di compensare eventuali momenti bui dell’altro. Il tennis è lo sport dove i momenti di crisi sono spesso in agguato. Facile caderci dentro. Necessario uscirne fuori. Senza dimenticare. Leali e riconoscenti. Fabio Fognini, ornai 36 anni, anche lui spesso alle prese con infortuni, ieri ha vinto un torneo Challenger a Valencia. Ha battuto Alberto Ramos-Vinola e Bautista Augut. Fognini non era stato convocato a Malaga. Per tanti anni, il tennis in Italia è stato lui. Peccato non averlo visto ieri sera issare quella coppa.