Djokovic e la rivalità con Nadal e Federer: "Non eravamo amici, quanto abbiamo fatto resterà"

La recente intervista di Rafael Nadal al podcast “Served” di Andy Roddick ha riacceso i riflettori sull’era dei Big Three, sulla rivalità tra lo spagnolo, Novak Djokovic e Roger Federer, e su come ognuno si relazionasse con gli altri due, in campo e fuori. “Rafa” ha ribadito come tra i tre ci sia sempre stato profondo rispetto, un sentimento che andava di pari passo alla volontà di battersi a vicenda e alla necessità, per farlo, di migliorarsi sempre.
Concetto, quest’ultimo, proprio di tutte le grandi rivalità della storia dello sport, e che gli stessi protagonisti hanno più volte confermato come parte integrante della loro fame di vittorie ai limiti dell’inumano. In principio furono… Nadal e Federer, e col tempo si affacciò, fino ad oscurarli – almeno in termini numerici, Djokovic, in particolar modo dal 2011 in poi. Momento spartiacque della storia del tennis e della triade, che il serbo ha ricordato – riconoscendo l’importanza dei due avversari per lui – nell’intervista dello scorso ottobre a La Nacion.
“Io la vedo come una delle più grandi rivalità, senza dubbio, in tutti gli sport, e sono molto orgoglioso di far parte di quel gruppo. Sono più grandi di me: Rafa di un anno e Roger di sei. E hanno influenzato il mio gioco e il mio sviluppo come tennista più di qualsiasi altro giocatore”, ha detto.
“Sono diventato un contendente per gli Slam e ho iniziato a raggiungere il massimo livello quando ho vinto il primo, nel 2008. Ma ho vinto quello successivo solo nel 2011. Mi ci sono voluti tre anni per vincere il mio secondo Slam. Sono stato il numero 3 al mondo per quei tre anni, giocavo ad altissimo livello, ma non sono riuscito a vincerne altri a causa di quei due. Dominavano tutto. Non avevo la formula giusta per sconfiggerli, non nelle partite importanti”.
Gli scontri diretti, d’altronde, lo vedevano in svantaggio per 16-7 contro Nadal e 13-6 contro Federer, con un parziale di 5-0 e 4-2 limitatamente ai Major.
“Quei tre anni sono stati fondamentali per la mia crescita. Mi hanno fatto venire ancora più voglia di vincere”. Tanto da ribaltare completamente la dinamica, chiudere davanti a loro per numero di titoli Slam (24 per lui, 22 per Nadal e 20 per Federer) e anche negli scontri diretti (30-28 sull’iberico, 27-23 sull’elvetico).
La chiave, prima ancora che tecnica, è stata mentale, con un momento che ha avuto un potere “catartico” su di lui: “Sapevo che se fossi riuscito a capire come comportarmi come loro nei grandi incontri, e sapevo che molto di ciò sarebbe dipeso da qui – ha detto toccandosi la testa - avrei potuto in qualche modo iniziare a vincere di più. Ed è proprio quello che è successo. Mi ha aiutato molto vincere la Coppa Davis per il mio paese, l'unica che la Serbia abbia mai vinto, nel 2010. Mi ha messo le ali, una sicurezza incredibile”.
Chi ha avuto modo di osservarlo, in quei giorni della rimonta dallo svantaggio di 1-2 contro la Francia, ricorderà sicuramente come il suo linguaggio del corpo stesse iniziando a cambiare, improntato su una focalizzazione costante, finalmente senza alti e bassi.
Da lì, il tipo di connessione sviluppatasi con i rivali è stato se vogliamo ancor più profondo, non tanto per un’amicizia nel senso più puro del termine, quanto più per il fatto di vivere ripetutamente le stesse emozioni, alle volte a parti invertite con entrambi, finali pesantissime al termine delle quali, tra la gioia e la tristezza, ci si mette a nudo e ci si lascia andare.
È accaduto in fotografie-simbolo della loro epopea, come dopo la finale dell’Australian Open 2012, vinta da Djokovic su Nadal dopo quasi sei ore di partita, quando entrambi non riuscivano a reggersi in piedi e – seduti uno di fianco all’altro – condividevano l’acqua fissando il vuoto.
L’immagine che ha evocato Djokovic nell’intervista a La Nacion, però, è ancora più unica nel suo genere. “Quando Roger si è ritirato dal tennis, è stato un momento triste per lo sport, perché lui è un'icona del nostro sport, un atleta incredibile e un modello da seguire. E quando ha detto addio, anche una parte di me e di Rafa se n’è andata con lui. C'era chi diceva che sarei rimasto devastato, ma io non ci credevo”.
“Poi, quando alla Laver Cup del 2022 stava accadendo mi sono detto: ‘Wow, sta facendo male anche a me’. Per molti anni li ho visti più spesso di mia madre. Non eravamo grandi amici, ma posso dire che abbiamo avuto modo di conoscerci bene. Sono orgoglioso di aver diviso il campo con loro, è qualcosa che durerà per generazioni”.
Una gioia interiore che il fenomeno classe 1987 porta con sé oltre all’etichetta, affibbiatagli da tanti tifosi di Federer e Nadal, di “guastafeste”: “Capisco che alla gente piaccia il dualismo, come Boca Juniors-River Plate. Molti, quando sono arrivato a quel livello, si chiedevano ‘Chi è questo tizio?’, ma la verità è che abbiamo creato il più grande trio della storia”.