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Donne, non è l’erba che fa la rivoluzione ma la penuria di super-star e le variabili-Paolini….

di SuperTennis   
Donne, non è l’erba che fa la rivoluzione ma la penuria di super-star e le variabili-Paolini….

Straordinari sono stati i Fab Four che, dal 2003, hanno sempre presentato almeno uno fra Federer, Nadal, Djokovic e Murray in finale, straordinari saranno magari i nuovi protagonisti, Alcaraz e Sinner, che monopolizzeranno anche loro il futuro, di certo l’albo d’oro di Wimbledon maschile messo a confronto con le donne presenta una situazione totalmente differente che invita a una riflessione. A cominciare dalla finale di domenica fra due neofite, peraltro 28enni, come Barbora Krjcikova e Jasmine Paolini, con la ceca che non aveva mai superato gli ottavi e l’italiana che addirittura non aveva mai vinto una partita sull’erba fino al mese scorso. 

 

UOMINI POLIVALENTI

Con la nuova erba, più resistente e tagliata più bassa, ed i nuovi materiali (leggi scarpe), il problema-superficie è stato praticamente azzerato, a dispetto di  Bjorn Borg che ascese al Gotha del tennis proprio per la capacità di transizione dal rosso al verde, in ancor meno tempo di adesso. I rimbalzi sono sempre meno prevedibili delle superfici sintetiche, soprattutto nelle zone di campo più frequentate (in primis, quella centrale sul fondo), ma anche la variabile umidità, con tetto chiuso sui due campi principali è ormai fortemente ridotta se non addirittura cancellata. E anche se proprio il finalista fisso dei Championships dal 2018, re Nole I di Serbia, ha dimostrato che la differenza si può fare proprio scendendo più spesso che altro a rete, mettendo intanto pressione all’avversario, in realtà anche l’erba, con la crescita mostruosa dell’uno-due servizio-risposta da parte di tutti i giocatori, si può equiparare a un cemento veloce. Quindi la differenza non la fa più la superficie e i risultati rispecchiano la situazione generale del movimento.


ITALIA, COME ERAVAMO

Fra le donne la storia è diversa, e sotto più aspetti. A sentire Flavia Pennetta, ed è lecito immaginare che anche le altre fantastiche pioniere del tennis azzurro, Schiavone, Vinci ed Errani, la pensino allo stesso modo, le top 20 dei suoi tempi erano molto più forti di quelle di adesso e, a scalare, facevano paura, soprattutto con le prime 4-5 che facevano proprio passare la voglia.

Perché, una volta ai quarti, le nuove arrivate sapevano che subito dopo avrebbero trovato la porta sbarrata.

 


Riproponiamo la classifica del 2010: Wozniacki, Zvonareva, Cljisters, Serena e Venus Williams, Stosur, Schiavone, Jankovic, Dementieva, Azarenka, Li Na, Henin, Radwanska, Bartoli, Ivanovic, Sharapova. E mettiamola a confronto con quela, di oggi: Swiatek, Gauff, Sabalenka, Rybakina, Paolini, Pegula, Zheng, Sakkari, Collins, Krejcikova, Ostapenko, Kasatkina, Samsonova, Keys, Navarro, Jabeur.

E' evidente che le protagoniste attuali offrono spiragli diversi e più possibili - fisici, tecnici e mentali - nei quali legittimamente infilarsi. Come dimostrano le tante sorprese, cioé le ottime giocatrici che si sono migliorate cole lavoro e, come la fantastica Jasmine Paolini, sono arrivate ba due finali Slam consecutive, saltando in 12 mesi dal numero 44 al 5 del mondo.


WIMBLEDON DEMOCRATICA

Qualsiasi tennista sogna di vincere soprattutto Wimbledon e dà tutto per riuscirci. Ma certo è emblematico che, come puntualizza "The Athletic”, dal 2000 al 2016, fra le sei vincitrici due fossero le sorelle Williams, a far compagnia a Kvitova, Sharapova, Bartoli e Mauresmo, mentre poi sul trono sono salite otto regine diverse in altrettante edizioni: ancora Serena, quindi Muguruza, Kerber, Halep, Barty, Rybakina, Vondrousova e Krejcikova.

Già all’epoca, le prime della classe non erano così “cannibali” come in precedenza, ma non era successo che tutte le prime 4 della classifica WTA, Swiatek, Gauff, Sabalenka e Rybakina, dopo essersi aggiudicate 8 dei precedenti 9 tornei, sfumassero così palesemente, torneo facendo. La numero 3, Sabalenka, ritirandosi già prima del via, con problemi alla spalla, la 1, Swiatek, fresca campionessa del Roland Garros, eliminata al terzo turno da Putintseva (che poi ha perso subito dopo), la 2, Gauff, neutralizzata negli ottavi da Emma Navarro, e la 4, Rybakina (campionessa nel Tempio nel 2022), annichilita in semifinale dal tennis di Krejcikova, dopo il primo set.


FATTORE ERBA

Possibile che la superficie, ormai non più un problema nel tennis maschile, sia una discriminante in quello femminile? Verrebbe da dirlo pensando al fatto che una fra Sabalenka, Swiatek e Rybakina avevano raggiunto almeno le semifinali nei precedenti 13 Slam, mentre la sola Rybakina aveva giocato una finale sull’erba.

Quindi magari Wimbledon è diventato quello che era stato il Roland Garros per gli uomini a fine anni ’90 a metà del 2000 quando aveva premiato gli “One Slam Wonder” Albert Costa, Juan Carlos Ferrero e Gaston Gaudio, mai più capaci di far festa nei Majors; anche se l’attuale allenatore di Carlos Alcaraz nel suo magico 2003 arrivò anche in finale agli US Open. La teoria della pubblicazione statunitense vorrebbe quindi che l’apparente caos dei Championships al femminile sia in realtà organizzato e riconducibile alla ridotta stagione sul verde e alle difficoltà che la superficie racchiude rispetto agli altri campi. 


DISCUSSIONE

La nostra idea è differente. Nel tennis come nella vita esistono i cicli e il post Sampras-Agassi, per arrivare al magico “Fedal”, Federer & Nadal, che ci ha accompagnati fino all’altro ieri, non è stato fulgido. Ancor di più sulla terra rossa, in una fase di grande trasformazione tecnica dei giocatori, in funzione dei materiali e degli studi specifici che, partendo dalla video-analisi, hanno rivoluzionato la preparazione fisica, tecnico-tattica e mentale, fino a produrre giocatori sempre più completi e quindi competitivi  e veloci su tutte le superfici.

Con anche un evidentemente  aumento di tornei sul cemento rispetto a quelli su terra rossa. Cambiamenti che hanno spazzato via i regolaristi puri, i cultori del top spin esasperato, i difensori ad oltranza e fine a se stesso, con l’evoluzione della specie: da una parte Nadal e oggi il suo erede Alcaraz, dall’altra i fenomeni della transizione difesa attacco, da Djokovic a Sinner, dall’altra ancora, magari domani, i seguaci dell’attacco più insistito sulla scia di Federer, con Shelton o meglio ancora Musetti, o forse anche i nuovi francesi.

Le donne, del resto, sono molto legate al fattore-emozione, stupendo e bello così com’è, e indipendente dalla superficie. Se escludiamo per un attimo il fenomeno Swiatek, infatti, che dal 2000 ha caratterizzato il Roland Garros con 3 titoli nelle ultime 4 finali, da Maria Sharapova 2014 a Krejcikova 2021, ci sono state 8 vincitrici e 10 finaliste differenti (solo Halep ha concesso il bis). E prima ancora? Altre 8 diverse campionessa, dal quarto urrà Henin del 2007. Vogliamo passare agli Us Open? Negli ultimi 5 anni, da Bianca Andreescu 2019, si sono alternate sul trono altrettante regine, e anche finaliste.

Lo stesso è avvenuto nel quinquennio precedente, dopo la dominazione di Serena, con Pennetta, Kerber, Stephens, Osaka ed Andreescu, fino al bis della giappo-statunitense del 2020. Curiosamente, agli Australian Open le doppiette degli ultimi due anni di Sabalenka e della Osaka 2019-2021 danno un po’ più di stabilità all’albo d’oro, ma dal 2013 le finaliste sono state tutte diverse. La conclusione è che evidentemente fra le donne, al di là della superficie e dell’evidente penuria di super-star, il livello medio-alto è molto più alto e pressante di quello maschile, tanto a rendere più difficile la costanza di rendimento. Rispetto agli uomini, dove comunque esiste un evidente scalino fra i primi 4, i successivi top 10 e quindi a scalare gli altri. Fors’anche a causa della lunga distanza dei 5 set. Che diventa la vera discriminante psico-fisica.

di SuperTennis   
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