C'è un ruolo, nel tennis, che è destinato a sparire. O meglio, che in sostanza è già sparito sulla maggior parte dei campi in tutto il mondo. Con Wimbledon che ha annunciato l'addio ai giudici di linea e ufficializzato l'utilizzo della tecnologia per l'edizione del 2025, viene a cadere un tabù: il torneo più tradizionalista al mondo sceglie la macchina a danno dell'uomo, con oltre 300 persone che resteranno senza lavoro per quelle tre settimane. Rimane dunque solo il Roland Garros, tra gli Slam, a concedersi il 'lusso' della presenza dei linesmen. Ma forse è solo una questione di tempo. Una tra le giudici di linea con maggiore esperienza nel circuito è italiana, si chiama Francesca Di Massimo, abita a Gorle (provincia di Bergamo) ma ha girato il mondo in lungo e in largo, venendo chiamata in causa spesso per le finali degli Slam.
“La notizia – spiega Francesca, compagna dell'arbitro Atp Carlos Bernardes – in effetti era nell’aria, ma pensavo che Wimbledon sarebbe stato l’ultimo evento a unirsi al cambiamento. Invece ci hanno inviato una mail per ringraziarci del lavoro svolto finora: così, nella prossima edizione saranno lasciate a casa circa 350 persone, e solo alcune di queste potranno in qualche modo rientrare per ruoli diversi. Mi mancherà l’atmosfera del Centrale, che è unica nel suo genere, e anche l’attesa del responso dell’occhio di falco”.
Nel frattempo, però, si creano nuove figure professionali, da affiancare all'arbitro di sedia che ovviamente sarà mantenuto ovunque. “Per esempio – spiega Francesca – quella dell'assistente di campo, figura con diversi ruoli, che dovrà anche organizzare un'eventuale squadra di giudici di linea nel caso in cui la tecnologia presenti un problema. Se l'intoppo si può sistemare in un tempo limitato, si riparte come dopo un ritardo per pioggia. Altrimenti entra in campo un team di riserva. A Torino, durante le Nitto ATP Finals, il mio ruolo è stato proprio questo. Ma sono nati pure altri incarichi, per esempio ci sono gli arbitri che stanno al computer delle chiamate elettroniche: una sorta di 'var' tennistica, con almeno due persone per campo”.
Nel frattempo, i costi per utilizzare la tecnologia si sono abbassati, aprendo nuove possibilità anche per eventi di livello inferiore. “In passato c’era solo una società che offriva il servizio, mentre ora ce ne sono ben sei. Questo ha creato concorrenza, riducendo i costi al punto che persino alcuni tornei Challenger, come quello di Rovereto, possono adottare la tecnologia, risparmiando sul personale”. L’eliminazione dei giudici di linea, tuttavia, comporta una perdita significativa per la formazione dei futuri arbitri. “Il 99% dei direttori di gara ha iniziato da lì. È il punto di partenza ideale per entrare in questo mondo. Certo, se le chiamate sono affidate alle macchine si elimina un aspetto complicato, ma resta fondamentale costruire un rapporto di fiducia con i giocatori”.
Quanto ai colleghi, le reazioni sono contrastanti. “Molti faticano ad accettarlo e sostengono che anche la tecnologia possa sbagliare. È vero, ma la differenza è che i giocatori sono più tolleranti verso gli errori delle macchine rispetto a quelli umani. Ai giocatori di alto livello era pure stato chiesto un parere: loro erano consapevoli che andare verso l'uso della tecnologia fosse un'evoluzione naturale. Ora si sono abituati e non fanno più una piega. Quelli non abituati, che frequentano Challenger e Itf, ugualmente hanno accolto bene la notizia. Tutti sanno che la macchina può fare errori, ma pensano che l'errore umano sia comunque più impattante”.
Un recente studio formulato attraverso l'analisi di match su terra battuta ha dimostrato che sistemi diversi di rilevazione danno risultati diversi: “In quel caso – continua Francesca – non si è raggiunto il livello di precisione del veloce. Ma sulla terra rimane il segno, qualcosa che inevitabilmente porterà a mantenere una certa dose di discussione e di polemica, visto che uno stesso segno si può persino interpretare in modo diverso”.
Con l'abolizione ormai imminente dei giudici di linea, spariranno probabilmente anche le discussioni tra giocatori e arbitri. E se pensiamo a personaggi come McEnroe o Rios, che su queste interazioni hanno costruito la loro storia, viene quasi una certa dose di malinconia. “Ma ci sarà sempre modo di tirare fuori il personaggio: come fa Daniil Medvedev, che ancora oggi provoca costantemente l'arbitro. Anche perché ci sono diverse situazioni oltre alle chiamate da dentro o fuori: c'è il doppio rimbalzo, c'è l'invasione, e in generale una casistica varia sulla quale la video review non sempre può intervenire”. E i big del passato, come si comportavano, di fronte agli arbitri, all'occhio di falco, all'errore? “Roger Federer era diverso da tutti gli altri anche nel suo modo 'regale' di porsi. Alzava lo sguardo ed era sufficiente per capire che voleva chiamare il 'challenge'. Era diverso dai colleghi anche in questo e ci voleva una certa abilità dell'arbitro nel capirlo al volo. Nadal era più normale, sempre umile in campo e più chirurgico nelle chiamate: il falco lo interpellava solamente in casi di vera necessità. Infine Nole: Djokovic dava l'idea di chiamarlo spesso 'di rabbia', al di là delle palle dubbie o meno. A volte è stato più intemperante rispetto agli altri due, ma sempre nei limiti del massimo rispetto per i direttori di gara”.
Francesca Di Massimo ha arbitrato per anni nel circuito, sia a livello Itf (dalla finale di Davis Italia-Svezia del 1998 a Milano), che nei Tour Atp e Wta. A Wimbledon è stata presente come giudice di linea in quattro finali, due maschili (tra cui quella tra Alcaraz e Djokovic nel 2023) e due femminili. Il sistema di arbitraggio elettronico è stato introdotto per la prima volta durante la prima edizione delle Next Gen Atp Finals di Milano, nel 2017. Poi, passo dopo passo, ha preso piede nel circuito arrivando anche ai tornei del Grande Slam, prima sui campi principali e poi su tutti i terreni di gioco. Ora arriva un altro step, forse l'ultimo. O magari in futuro le macchine ci porteranno anche a rinunciare agli arbitri di sedia?