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Quel miliardesimo di grammo che riscrive la storia di Sinner e lo conferma campione

La contaminazione involontaria, tramite massaggiatore, con lo steroide è stato un choc. Ma anche la chiave per rileggere gli ultimi mesi di gare e i tanti misteri del numero 1 del mondo. Solo i grandi campioni possono competere sopportando nella testa e nelle gambe l’incertezza di un verdetto che sarebbe stato decisivo

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Jannik Sinner
Jannik Sinner (Foto Ansa)

Un miliardesimo di grammo. Difficile misurarlo. Persino immaginarlo. Eppure poteva cancellare una carriera, distruggere una vita. Dicono molti: se quel miliardesimo di grammo è di una sostanza dopante, quindi un trucco, vale quanto un chilo, un quintale. E’ una questione di principio. Invece no, un miliardesimo di grammo, se arrivato per caso, per sbaglio, da terzi inconsapevoli, è quello che è: nulla. Potrebbe finire qui la storia del doping di Jannik Sinner, numero uno del tennis mondiale. Invece questa storia ci dice molto di più. E riscrive gli ultimi mesi e i tanti misteri della vita del tennista. Dal “figlio modello” che tutti vorrebbero al “privilegiato”, “dopato” e anche “traditore” (non è andato alle Olimpiadi) per tacere dell’ “evasore” (in quanto residente a Montecarlo). In nove mesi Jannik Sinner, che nel frattempo è diventato numero 1 del tennis mondiale, è stato tutte queste cose nella certamente passionale ed appassionata opinione pubblica nazionale.

Siamo passati dalla Sinner-mania alla Sinner-fobia. E oggi, alla viglia degli Us Open, l’ultimo slam di stagione, ci si interroga dubbiosi su chi sia veramente Jannik Sinner. Giù e giù per li rami ci si chiede anche che fine faranno ora i Carota boys che hanno contaminato il pubblico di ogni dove con carote di pezza appicciate ovunque, dagli occhiali ai cappellini, dalla t-shirt alle parrucche. Che fine farà, in tutti noi, quella sensazione speciale, tra l’orgoglio e la trepidazione, che regala la certezza di avere in casa il nunero uno del mondo che sarà pur vero che parla meglio il tedesco dell’italiano e che la valle in cui è nato è solo una curva nel confine che separa l’Austria dall’Italia. Ma Jannik canta a squarciagola l’inno nazionale, regala all’Italia la Coppa Davis dopo 48 anni di tentativi e si dichiara orgogliosamente italiano.

Ho una passione sconfinata per il tennis che è la mia cura e il mio sport ma è stato il mio maestro, il mio sogno di velluto e, in certe giornate, la mia salvezza. Seguo Jannik Sinner da quando partecipò alle Next Gen Atp Finals 2019 grazie a una wild card della Fit (allora senza la p di padel) e vinse il torneo dei primi otto under 21 al mondo. E oggi credo di poter dire che Sinner sia più che mai il capofila del tennis mondiale. Perché è difficile immaginare che chiunque possa sopportare per cinque mesi anche solo gli allenamenti - figurarsi le partite al meglio dei tre e dei cinque set - avendo nel cuore, nella testa e quindi nelle gambe il terrore di essere squalificato per un tempo limitato ma sufficiente a distruggere reputazione e percezione generale. E quindi immagine, sponsor, tutto quello costruito finora: un patrimonio di almeno 200 milioni di euro contati per difetto.

Solo il pomeriggio di martedì 20 agosto, poche ore dopo il trionfo di Cincinnati, i più attenti tra gli appassionati e gli addetti hanno trovato la risposta a tante domande rimaste appese in questi ultimi mesi. Da quella conferenza stampa, i primi di maggio, in cui Sinner annunciò che non avrebbe partecipato agli Internazionali di Roma (disse: “Le Olimpiadi sono il mio obiettivo di stagione”), il ragazzo dai capelli rossi di cui tutti, dai 5 ai 90 anni, ci siamo innamorati, non è stato più lo stesso. Occhi tristi e sguardo basso, sfuggente e quasi infastidito davanti ai giornalisti italiani, frettoloso e monotono, a volte persino terrorizzato dalle domande. Eppure giocava e vinceva, Jannik. Certo, non come avrebbe voluto: semifinale a Parigi persa al quinto set contro Alcaraz (che poi alzerà la coppa); quarti di finale a Wimbledon in quella mezza tragedia di partita contro Medvedev (anch’essa persa al quinto) in cui sembrò quasi svenire, e non si è mai capito né saputo perché. Poi lo choc delle Olimpiadi, quel comunicato freddo “non vado causa tonsillite” che - possiamo dirlo - ha tradito milioni di tifosi e di fan.

Il pomeriggio del 20 agosto abbiano tutti capito cosa è successo. Abbiamo velocemente buttato giù su un pezzo di carta date e tornei e ricordi personali. E il puzzle è stato completato. Comincia tutto a marzo, prima il 10 e poi il 18 marzo, tra il torneo di Indian Wells (sconfitta in tre set in semifinale per mano di Alcaraz) e quello di Miami (vinto in finale su Dimitrov): in quella date Sinner viene testato dall’Atp come succede a turno a tutti i giocatori. Di quegli esami non sa nulla fino al 4 aprile: Jannik e il suo team sono già tornati in Europa, chi a Montecarlo e chi in Italia, qualche giorno di pausa prima di lavorare alla stagione su terra e la Atp comunica la positività. A cosa? Ad un miliardesimo di grammo di Clostebol, steroide anabolizzante contenuto - come è stato poi ricostruito nell’indagine - in uno spray cicatrizzante in Italia venduto al banco senza ricetta ma vietato dalla Itia, International Tennis Integrity Agency.

Il regolamento prevede che si possa fare ricorso contro le sospensioni. E questo fanno i legali del giocatore azzurro: vincono il 5 aprile e, di nuovo, il 20 aprile. Jannik può così partecipare a Montecarlo (inizio il 7 aprile) e a Madrid (21 aprile). Sa tutto, ha la testa e il cuore devastati, è qualcosa che bloccherebbe le gambe a chiunque, impossibile scendere in campo in quelle condizioni. Il tennis è uno spot mentale di lunga durata, un match può durare ore, se la concentrazione non è massima è impossibile vincere a quei livelli. Eppure Jannik gioca e vince partite e tornei, come Halle in giugno, Cincinnati lunedì. Ma è sofferente, nello sguardo e nel corpo, anche quando alza le coppe. Tra aprile e maggio salta però Barcellona e anche Roma. Colpa dell’anca, certamente (per fortuna anche quello è stato alla fine un falso allarme). Ma è chiaro che c’è dell’altro.

C’è un’inchiesta in corso e la sua vita appesa a un miliardesimo di grammo. Pensateci: agghiacciante, da panico. Jannik sa ma non può dire. “La paura e la responsabilità vere sono quelle di un medico o di un chirurgo dalle cui scelte e mani dipende la vita delle persone, non può essere quella di un tennista si mette alla prova in un torneo quasi ogni settimana” è una delle tante frasi che ci hanno fatto innamorare di lui. Come l’altra alla quale si è aggrappato in questi lunghissimi quattro mesi: “Il mio lavoro è giocare a tennis, ogni giorno mi sveglio, so quello che devo fare e mi impegno per farlo al meglio”. Ha messo la sua vita su un binario e quelle rotaie lo hanno salvato consentendogli di andare avanti tra allenamenti e match ma anche interrogatori e confronti tecnici.

Ecco perchè Sinner è oggi più che mai un vero numero uno. L’Itia e tutti gli esperti sentiti in questi mesi hanno accertato che il clostebol è entrato nel suo corpo non per assunzione ma per via transdermale (per contatto: per questo è presente nelle sue urine in misura atomica), è stata una contaminazione accidentale e non volontaria. Potrebbero ricorrere contro questa decisione la Wada (l’agenzia mondiale antidoping) e la Nado (agenzia antidoping del Coni). Sarebbe clamoroso. Certo, Jannik dovrà comunque pagare un prezzo. L’eroe dei due mondi tornato dall’Australia con la sua prima coppa slam in febbraio dopo aver assicurato la Davis all’Italia due mesi prima, ha cominciato a pagarlo a Roma (molto poco), molto di più per il suo no alle Olimpiadi. Adesso dovrà convincere chi ama coltivare il sospetto e quelli che, per scelta di campo, odiano il politically correct e il main stream. Dovrà nuovamente scendere in campo e fare quello che da fare meglio: se stesso.

 

 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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