C'è stato un momento in cui i big server sembravano un pericolo serissimo per la stessa sopravvivenza del mondo del tennis. Era l'epoca in cui Goran Ivanisevic veniva fischiato dopo aver vinto un titolo Atp, proprio per il modo in cui lo aveva vinto. Un fatto pressoché unico nella storia dello sport. Accadde a Parigi Bercy nel 1993, con l'ucraino Andrei Medvedev come co-protagonista, seppellito da 27 ace puliti e altri 32 servizi impossibili da rispondere.
Fu anche in seguito a quell'episodio, al culmine di un periodo con diversi altri molto simili, che il tennis cominciò a cambiare per trovare l'antidoto allo strapotere del servizio e dei pivot, soprattutto immaginando che i campioni del futuro sarebbero stati sempre più alti, più vicini ai giocatori di basket e di volley che ai brevilinei protagonisti del passato.
In qualche modo, gli antidoti furono trovati, sotto forma di un costante e deciso rallentamento delle superfici (soprattutto quelle sintetiche) e di un identico trattamento riservato alle palline. Tutto bene dunque? Quasi, perché la categoria dei big server non si può estirpare del tutto. Un po' perché comunque i tennisti sopra i due metri ci saranno sempre, un po' perché rallentare si può fino a un certo limite, a meno che non si intervenga sulle racchette con regole precise e coraggiose.
Da poco si sono ritirati alcuni dei grandi battitori della nostra epoca: l'americano John Isner per esempio, o il croato Ivo Karlovic. Ma proprio in questo avvio di 2025 sono emersi un paio di personaggi che potrebbero far tremare tutti, a forza di ace a servizi imprendibili. Il primo è Reilly Opelka, statunitense che già si conosceva come potenziale frequentatore delle zone alte, ma che poi è rimasto indietro a causa di problemi di salute decisamente seri: un tumore – fortunatamente benigno – asportato nella zona dell'anca e un paio di operazioni al polso. Non lo abbiamo visto per diversi mesi, prima dall'agosto del 2022 al novembre del 2023, poi ancora fino al luglio dello scorso anno, quando tornò a farsi notare con la semifinale sull'erba di Newport.
In sostanza, in due anni, aveva disputato solamente una partita nel circuito. “Ero già pronto a cambiare vita – spiegava il 27enne del Michigan a chi gli chiedeva del ritorno – perché in realtà ho sempre avuto uno sguardo aperto sul mondo, senza limitarmi al mio sport”. Tutto vero. E forse si spiega anche così una prima parte di carriera a corrente alternata, con risultati importanti e cadute vistose, frutto di un tennis palesemente incompleto per l'altissimo livello ma senza dubbio evoluto, nel corso del tempo.
Sembra avere qualcosa in più di Opelka, invece, Giovanni Mpetshi Perricard (anche se il precedente in semifinale a Brisbane ha dato ragione all'americano), il francese che fin dallo scorso anno ha fatto capire di avere intenzioni serie. Nel 2024 si è preso i titoli Atp di Lione e Basilea, in aggiunta ai tre Challenger di Nottingham, Morelos e Acapulco. Un bottino che gli ha permesso di arrivare al numero 30 Atp, non lontano dal best ranking di Opelka (17) e in generale non così lontano da chi si gioca i Mille e gli Slam. Giovanni ha, di supporto a un servizio devastante (su cui hanno certamente un peso i 203 centimetri), anche una certa predisposizione al gioco di volo e una mano più educata di quanto appaia a prima vista.
Merito anche di un coach esperto come Emmanuel Planque, fra i migliori tecnici d'Oltralpe e già all'angolo – tra gli altri – di Lucas Pouille e Fabrice Santoro. Fin qui, Mpetshi Perricard ha saputo non solo vincere tornei di un certo prestigio, ma ha saputo pure farlo su superfici diverse, inclusa la terra. Cosa che per un big server non è affatto scontata. E ha saputo pure arrivare in vetta alla graduatoria del servizio stilata dall'Atp, al primo vero anno di frequentazione del circuito. La sua media? Supera i 19 ace a partita, qualcosa di inavvicinabile per tutti gli altri, Opelka incluso.
Chiaro che con un tipo così in giro, la paura possa tornare a prendere il sopravvento, anche se ai fischi per adesso non siamo ancora arrivati. Il punto è capire se questi aceman dei nostri tempi finiranno per rimanere in seconda fila, degnissimi giocatori ma mai campioni assoluti, oppure se ce ne sarà qualcuno che farà il grande passo avanti. Unendo tutto quello che serve per vincere nel Tour, risposta inclusa, a una valanga di ace.