Sinner, il bambino che voleva sempre vincere e adesso è il numero 1 da battere
Oggi la finale per il titolo di Maestro. Dall’altra parte non ci sarà l’atteso Zverev ma l’americano Fritz che ieri ha eliminato il tedesco in tre set. Sinner ha lasciato in tutto 25 game agli avversari in quattro partite. Per l’ottava volta nella storia delle Finals, chi ha perso una partita nel girone arriva in finale. Quella statistica da sfatare. E i record da abbattere: il primo italiano a diventare Maestro, da numero 1 e in Italia
Dal bel libro di Riccardo Crivelli “Jannik Sinner fenomenologia di un talento straordinario” (ed. Diarkos) pesco questo aneddoto sin qui sconosciuto. A 10 anni anni il piccolo Jannik fa un po’ di tutto in Val Pusteria: sci d’inverno, tennis appena chiudono le piste e calcio più o meno sempre. Il suo team è il Sexten, squadra locale, l’allenatore è il babbo Hanspeter. Una sera Jannik torna a casa piangendo. Il mister lo ha sostituto e lui non l’ha presa bene. “Sai cosa ha fatto? Mi ha mandato via, ha buttato fuori me” dice a mamma Siglinde che con quel ragazzino è un po’ disperata perché fermo-mai e vincere-sempre. Il motivo di quella cacciata umiliante e ai suoi occhi incomprensibile è che Jannik aveva preso la palla a metà campo ed era andato in fuga verso la porta dribblando gli avversari. Aveva fatto goal ma non aveva passato la palla ai compagni, non aveva fatto gioco di squadra. Un assolo individuale. Andato bene ma poteva anche andare male. Sprecando un’occasione.
Il peso dell’inchiesta
L’aneddoto è prezioso volendo parlare di Sinner a questo punto dell’anno e della sua carriera in cui sappiamo che a 23 anni oltre ad essere numero 1 del mondo, si accinge a giocare la finale per essere anche il Maestro dell’anno e in Italia, per di più. Numero 1 sulla base delle statistiche con il computer e il migliore tra gli otto. Una doppia conferma in un anno in cui ha giocato per 3/4 della stagione con il tarlo in testa del verdetto sul doping (per contaminazione e non per somministrazione, dettaglio che fa una grande differenza) che è un po’ come dire a uno gioca ma guarda che da un giorno all’altro ti possiamo togliere non tutto ma molto. Da impazzire. Il verdetto finale è atteso per i primi di febbraio.
Il ragazzo invece ha saputo gestire il tutto come un anziano saggio. Ottanta anni e averne invece ventitrè. E ogni volta che scende in campo dobbiamo immaginare e capire che per lui è sempre una sfida che vale doppio: perchè vuole vincere e perchè deve dimostrare che lui è il numero 1senza sconti nè ombre. In campo e nella testa, nella capacità di governare emotivamente le situazioni. Nonostante tutto. Del resto cos’è un bimbo di dieci anni che segna il gol della vittoria per la squadra, si vede sostituito, va a casa e sfida il padre-allenatore?
Per Sinner è la seconda finale in due anni. L’anno scorso la perse in due set contro un signore che per lui era ancora un mostro sacro. La settimana dopo, a Malaga, nella finale di Davis, gli ha tolto la vittoria dalle mani recuperando tre match ball. Quel signore era Nole Djokovic e da qual momento ha iniziato a realizzare che anche la sua era stava per concludersi. Jannik gli ha tolto lo scettro del Re a giugno al Roland Garros dopo che il serbo si è ritirato per operarsi al menisco, quest’anno non ha vinto neppure un Slam (ma ha vinto l’oro olimpico) e a Torino sarebbe arrivato da numero cinque del mondo. Non ha partecipato. Per la prima volta dal 2002 nessuno degli ex big 3 gioca le Finals. Il più anziano era Medevedev che ha 28 anni.
Solo tre game a Ruud
Archiviata in un’ora e 9 minuti (6-1/6-0) la semifinale contro il vichingo garbato Casper Ruud, stasera (ore 18) sarà dunque Sinner contro l’americano Taylor Fritz, 27 anni, numero 5 del mondo, per la seconda volta in carriera alle Finals, 51 partite vinte e 22 perse nel 2024, due titoli vinti. E’ dal 2006 che un giocatore americano non raggiunge la finale del Master. Non è la finale attesa. Sulla carta doveva essere Sinner contro Zverev, il tedesco numero 2 del mondo che ieri ha perso al terzo contro un Fritz preciso e costante come non si era mai visto. Grandi potenzialità fin da junior, figlio di una tennista e cresciuto in una famiglia super benestante che lo ha fatto allenare sul campo di casa, Fritz ha sempre dato l’idea di uno con grandi potenzialità ma alla fine poca fantasia - nel gioco - e poco costanza. Anche lui, come Zverev, con l’età si è schiarito le idee e ha programmato di voler migliorare. E vincere. “Stiamo lavorando molto sulle sue motivazioni, sul fatto di restare positivo e di non buttarsi giù durante il match, ecco perchè il dialogo tra noi e lui in campo è così acceso e costante” spiegava ieri nel post match il suo coach Michael Russel. Fritz è molto migliorato negli spostamenti, nel gioco di gambe e di piedi. “Stiamo lavorando sul trasferimento dell’energia dai piedi al colpo” ancora Russel. Fritz è da 10, tennisticamente parlando, dalla vita in su; intorno al 7 dalla vita in giù, soprattutto lento nei tempi di reazione e nei cambi di direzione.
Tre volte in due mesi
Non era la finale attesa. Ma sarà una gran finale. Sinner e Frizt si sono incontrati quattro volte, la prima nel 2021 a Indian Wells e da allora l’americano non ha più vinto. Negli ultimi due mesi si sono incontrati tre volte con oggi. Due volte ha vinto Jannik: la finale degli Us Open (6-3/6-4/7-5) e il turno di qualificazione in queste Finals (6-4/6-4). L’azzurro non ha mai ceduto un set. Ma ogni partita è una storia a se. E’ il fascino del tennis. Ed è quello che ci piace. E’ una lezione che Jannik ha imparato presto. Quando il padre lo buttava fuori dalla squadra di calcio se non faceva gioco di squadra. “Voleva vincere più di ogni altra cosa ma se perdeva non piangeva, non cedeva alle emozioni” dice Heribert Mayr uno dei primi maestri di tennis. Ora Jannik non dice mai che vuole vincere, usa sempre un assai più umile e rispettoso “eh dai vediamo come va, intanto siamo arrivati qui, sono contento, ce la metto tutta e non vedo l’ora di giocare. Il bello di questo sport è che è sempre imprevedibile”.
Le statistiche
Ci sarà da combattere anche contro le statistiche che dicono che è l’ottava volta da quando si giocano le Finals che il giocatore che perde nel girone di qualificazione (l’anno scorso Djokovic, quest’anno sarebbe Fritz) va poi a vincere il titolo. Il giocatore che ha perso cambia strategia? O perché tra i top 5 il livello è così alto che è difficile che uno si ripeta contro lo stesso avversario a distanza di pochi giorni? Contro Fritz oggi ci sarà da combattere. “Quest’anno - spiegava ieri l’americano - sono cresciuto molto, ha vinto partite che mi hanno dato confidenza e sicurezza. Contro Sinner è sempre una partita scomoda. Ma sarà molto diversa dalla finale Us Open e dal turno giocato qua tre giorni. E’ chiaro che chi ha vinto tende a ripetere lo schema già usato perchè vincente. Chi ha perso invece tende a cambiare qualcosa…”.
Fritz dunque cambierà gioco. Ci proverà almeno. Anche perchè è difficile immaginare che possa uscire molto diverso da quella che è la sua cifra: servizio e fondamentali molto potenti, poche variazioni, non eccellente mobilità in campo.
Il fidanzato d’Italia
Ma, come dice Sinner, questo è un gioco imprevedibile e dunque “vediamo, vediamo domani, finora è stata una settimana eccezionale per me, molte emozioni, anche il primo torneo giocato in Italia quest’anno e che accoglienza”. Jannik il “fidanzato” d’Italia, il “figlio d’Italia”, il “fratello” d’Italia. “Jannik Si…..nnneeerrr” è ormai il grido di battaglia dell’InAlpi Arena.
Dopo il match il numero 1 è sceso in sala stampa. Erano quasi le 23. Più volentieri sarebbe andato chissà dove. E’ stato il torneo perfetto, vinto sempre in due set, la partita più complicata è stata quella contro Fritz (6-4/6-4), ieri contro Ruud quella più “semplice”. Ma guai a farglielo notare, guai a chiedere cosa vuol dire “migliorare” - la parola più usata da Sinner nelle dichiarazioni pubbliche - se poi in campo risulta tutto così facile. Umiltà - o anche solo scaramanzia - , vedere come va giorno per giorno perché “tanto torneranno i momenti difficili”. Piedi in terra e lavorare tanto, è l’unico modo che conosce per restare numero 1. “Quando giocava le prime partite di tennis a cinque anni- racconta un altro suo maestro nel libro di Crivelli - ,contro ragazzini due anni più grandi, con venti cm in più, era tamente concentrato sulla vittoria che alla fine dovevo portarlo alla rete per fargli stringere la mano. Non teneva neppure il punteggio…”.
Ora che è lui il numero 1 ed è lui l’uomo da battere, il segreto è non dare mai nulla per scontato. Perchè ogni volta è una gara diversa. E la settimana dopo ci sarà sempre un’altea occasione.