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Dedicato all’Italia, a Sinner il nuovo re e …ai meschini che “tifano” per una condanna per doping

L’azzurro conquista a Shangai il suo settimo titolo dall’inizio dell’anno. E ha la certezza matematica di concludere il 2024 come numero uno

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
La gioia di Jannik Sinner a Shanghai, in un periodo molto difficile per lui (Ansa)
La gioia di Jannik Sinner a Shanghai, in un periodo molto difficile per lui (Ansa)

“Dedicato agli italiani” aveva detto sabato prima della finale quando ha avuto la certezza matematica di chiudere l’anno da numero 1 del tennis mondiale. “Dedicato soprattutto a te, Jannik”, diciamo noi da sempre affascinati da questo sport e da questo ragazzo di 23 anni forgiato nella roccia della sue Dolomiti e illuminato dalla luce dell’intelligenza e del garbo. Dedicato, dovremmo aggiungere, a tutti coloro che in questi mesi in nome dell’odio a prescindere di tutto ciò che può essere  mainstream - come appunto un giovane per bene, educato, umile e addestrato all’etica del dovere - lo hanno attaccato, sbranato, offeso, umiliato in nome di un miliardesimo di grammo di anabolizzante.  Jannik Sinner ieri ha vinto a Shangai il suo settimo titolo dell’anno: due slam (Sidney e New York), tre Master 1000 (Miami, Cincinnati e Shangai) e due 500. Ha liquidato in due set (7-6/63) l’ex numero 1 Djiokovic che gli ha ceduto il testimone a maggio durante un drammatico (per il serbo) Roland Garros che gli è costato il menisco e l’intervento chirurgico. Il risultato non rende onore ad una partita di altissimo livello che il serbo, assente dai tornei dallo slam americano, ha giocato alla pari nel primo set per poi cedere nel secondo di fronte ad un muro di nome Jannik. Gli scontri diretti ora sono quattro pari e non c’è dubbio che ieri il Djoker abbia voluto comunque consegnare un messaggio, tanto all’azzurro quando allo spagnolo Alcaraz: sono ancora io l’uomo da battere.

In campo con la Storia 

La regia del Master 1000 cinese ha organizzato un set delle meraviglie per questa finale: in campo a giocare Sinner e Djokovic; in tribuna d’onore, la storia e il futuro del tennis, Roger Federer e Carlo Alcaraz. E visto che c’era anche Ferrero, il coach dello spagnolo, era una passerella di ex numeri Uno. “Magari avresti voluto essere in campo con noi, contro uno di noi” ha detto Jannik sorridendo allo svizzero elegantissimo in total look nero con rayban appeso alla t-shirt. Mancava giusto Nadal che pochi giorni fa ha annunciato l’addio al professionismo e l’enciclopedia del tennis sarebbe stata al gran completo. C’è un tratto epico in questo passaggio di consegne ormai sempre più definitivo. C’è la solennità dei momenti che chiudono un’era e, forse, ne aprono un’altra. Anche se è difficile immaginarne un’altra intensa e lunga come quella si Roger, Rafa e Nole.

Protagonista il servizio

Nel primo set il servizio è stato protagonista. Entrambi hanno tenuto il proprio turno di battuta e quando è capitato che entrambi fossero sotto di uno o due quindici, hanno sempre recuperato con la perentorietà di servizi potenti, quasi mai sotto i 200km/h, precisi nelle direzione, mai uguali nelle rotazioni.

Il primo set ha regalato una versione inedita del serbo, molto aggressivo, spesso a rete seguendo la battuta. Fino al sei pari, l’azzurro - sempre un po’ troppo indietro rispetto al serbo rispetto alla riga di fondo - ha deciso di provare a sfondare sulla diagonale di dritto manovrando poi con accelerazioni nell’angolo opposto. Nel tie break - come poi il secondo set deciso dal break sul 2- 1 -  Sinner ha messo una marcia in più, l’x factor che fa la differenza tra il numero 1 e chi viene dopo: angoli sempre più profondi ma soprattutto passanti micidiali per il serbo che ha pagato così la decisione di non giocare stando, come nel suo stile, a fondo campo. Non poteva accettare quello schema di gioco su quella superficie così veloce contro un avversario che tira più forte. Nel primo set l’azzurro ha vinto meno punti complessivamente, (37 Djokovic, 36 Sinner) ma ha giocato nettamente meglio il tie-break. Nel secondo la partita è stata nei fatti chiusa con il break che ha portato Sinner sul 3-1 e poi sul 5-2 fino al 6-3 finale. Un’ora e 39 minuti di gioco. Niente da recriminare. Neppure per il serbo che ha giocato un ben torneo e ha lasciato un messaggio chiaro ai due teen che stanno chiudendo l’era dei fab three: ci sono anch’io, ci sono ancora.

I sauditi e il tennis

Stamani Sinner, Alcaraz e Djokovic voleranno tutti insieme a Riad dove giocheranno la ricchissima esibizione "Six Kings Slam” riservata ai sei numero Uno vincitori di Slam dell’anno in corso. Qui troveranno anche Nadal, Medvedev  e il norvegese Rune che non è mai stato numero 1 e neppure ha vinto Slam. Ma con sei milioni di euro al vincitore, questi diventano dettagli. Un giorno, molto presto, affronteremo il tema del ruolo che il mondo arabo pretende e alla fine avrà nel circuito tennistico. Tante volte lo sport ha svolto funzioni diplomatiche migliori e superiori delle  Cancellerie.

Intanto restiamo al finale di stagione di Sinner. Giocherà il Mille di Bercy (Francia), poi le Finals a Torino e la Coppa Davis a Malaga. Diciamo che la stagione non è finita e c’è spazio per altre soddisfazioni. Che Jannik sembra intenzionato a regalare. Sempre che il Tas (Tribunale arbitrale dello sport), la Cassazione della giustizia  sul doping, non decida prima della fine dell’anno di comunicare le sue decisioni in merito al ricorso fatto dalla Wada contro l’assoluzione in primo grado di Sinner per doping.

Aspettando il Tas

Non esistono tempi certi, sono indicati sei mesi da quando è stato presentato il ricorso. Erano i primi di ottobre ed è molto probabile che fino alla fine degli Australian Open (febbraio 2025), e che Sinner giocherà come testa di serie numero 1 e defending champion, nulla venga comunicato. Ma nulla esclude che possa anche avvenire prima. In ogni modo, questo significa che Jannik giocherà i prossimi mesi in attesa di giudizio. Come del resto ha giocato da marzo fino ad ora.Un giudizio, per chi ha letto le 33 pagine delle motivazioni del primo grado, che non potrà essere che di non luogo a procedere considerata la quantità infinitesimale di anabolizzante che il il tennista ha assunto per via epidermica dalle mani del suo massaggiatore durante un trattamento (il Clostebol, in Italia è venduto al banco senza limitazioni). 

I numeri del Numero Uno

Sinner merita di essere numero Uno. Lo dicono i numeri: i sette titoli vinti nel 2024 (mancano ancora due tornei); le 64 partite vinte dall’inizio dell’anno contro sei perse (anche lo scorso anno ne vinse 64 ma ne perse sedici); il diciannovesimo giocatore su 29 numeri Uno che dal 1973 (inizio era open, con il computer dell’Atp) conclude anche l’anno da numero 1. C’è un momento esatto in cui le sliding doors del destino tirano su Jannik e lasciano a terra Djokovic: era quasi un anno fa, tra Torino e Malaga, tra le Finals e la Davis.

Ma Sinner merita di essere il numero 1 anche per come ha saputo gestire mentalmente la vicenda doping. Fino a fine agosto da solo con il suo team e l’angoscia che il caso potesse emergere in qualunque momento, in ogni torneo, in ogni conferenza stampa. Poi durante gli Us Open in cui ha dovuto capire le reazioni del pubblico, misurare la sua popolarità, capire se e cosa fosse cambiato. Ed è il momento in cui ha scoperto l’odio personale e gratuito via social e l’invidia anche di qualche collega che ha detto e continua a dire (ancora ieri lo ha fatto Kyrgyios) che doveva essere squalificato.

“Ho un po’ perso il sorriso”

 In conferenza stampa, finito il match, il solito Sinner riflessivo, calmo, misurato, ha spiegato questa parte di se.  “Quest’anno avevo un po’ perso il sorriso per via dei problemi fuori dal campo - ha detto - a volte mi tornano in testa ma cerco comunque di godermela come meglio posso. Cerco di rimanere molto calmo e non crearmi problemi se sbaglio qualche colpo o mi gira male. Provo a controllare quello che posso, di sicuro l’aspetto mentale e anche quello fisico. Per il resto, devi crederci e restare calmo specialmente nei momenti importanti”. Vorrebbe essere “più libero”, “non essere in questa situazione”, poter giocare “più liberamente sul campo” e “divertirmi un po’ di più”. Però, dice, “devo accettarlo, provare a non pensarci e concentrarmi su ciò che faccio. Ovvio, a volte ci penso e non è la parte migliore, però ho imparato che il successo non mi cambierà come persona o come giocatore: al prossimo torneo potrò arrivare ancora in fondo o perdere al primo turno, ma ciò non mi cambierà”. Un numero Uno.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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