L'Italia è ormai il centro del mondo, se parliamo di tennis. Perché abbiamo giocatori straordinari, ottimi tecnici e anche altre figure professionali che stanno emergendo ad altissimo livello. Un caso è quello di Dragoljub Kladarin, che sta crescendo a fianco di Dalibor Sirola nel gruppo di lavoro del Piatti Tennis Center di Bordighera. Bergamasco acquisito, croato di origine, 'Drago' ha 39 anni e si è già costruito un'esperienza di primissimo livello. Nell'ordine, ha seguito un giovanissimo Jannik Sinner, e poi ancora Ernests Gulbis, Milos Raonic, Alexander Zverev. Mentre oggi è a fianco di Alejandro Davidovich Fokina, lo spagnolo che dovrebbe fare da collante tra il nuovo fenomeno Carlos Alcaraz e la prossima generazione di tennisti iberici, al momento un po' in ritardo sulla tabella di marcia.
“Jannik – spiega Kladarin – l'ho conosciuto quando aveva 16 anni: era molto gracile, ma di base aveva già una buona fibra muscolare ed era molto elastico. Lui arrivava dallo sci, come sappiamo, e all'inizio manteneva attività diverse: oltre a giocare a tennis, continuava a sciare e pure a giocare a calcio quando possibile. L'obiettivo era quello di dargli uno sviluppo equilibrato e non misurato esclusivamente sul tennis”. Ma che Sinner era, quell'adolescente che dall'Alto Adige fu catapultato a Bordighera? “Non dubitava mai del percorso, credeva molto nel suo lavoro e in quello dello staff. Era molto coraggioso in questo senso. Quando parlavamo, aveva già delle uscite sopra la media, malgrado fosse ancora un adolescente. Quando è andato via da Bordighera era già diventato più adulto, e adesso è un uomo: lo dico anche con una certa soddisfazione, vedendo quello che ha combinato...”.
Una dote – la sicurezza di Sinner – che nel tempo è divenuta chiara. Una dote che ha spinto anche Kladarin a trarre il massimo da se stesso. “Lavorandoci, Jannik tirava fuori il meglio di me. Vedevo che lui dava il massimo e io mi chiedevo se stavo facendo abbastanza per lui. Se vedi un ragazzo di quell'età dare il cento per cento, del resto, come puoi non farlo tu? I campioni d'altra parte fanno così: motivano anche la loro squadra”.
Drago e Jannik si sono conosciuti meglio durante la pandemia, perché hanno passato insieme il periodo del lockdown, nello stesso appartamento di Monte-Carlo. “Lì ho capito che davvero è un bravo ragazzo, esigente nel lavoro ma in senso positivo. Non lascia nulla al caso, e anche in quel periodo che poteva essere monotono ci siamo inventati modi diversi per rendere la preparazione più interessante. Anche quella situazione di incertezza non la viveva come un problema, ma cercava solo dei modi per sfruttare la vicenda a suo favore. In sostanza aveva già cominciato a ragionare come ragiona oggi, quando dice che non può controllare tutto e deve solo pensare a ciò che è nelle sue possibilità. Il fatto di non cercare degli alibi gli dona molta serenità perché sa che sta dando il massimo”.
Dopo l'avventura con Jannik, il percorso di Kladarin è proseguito con altri pro di altissimo profilo. Cominciando da uno che è stato numero 10 al mondo nel 2014 e che poi è rimasto nell'immaginario collettivo come una stella mancata. “Ernests Gulbis – spiega il preparatore fisico di origini croate – era veramente un talento incredibile. E oggi è presidente della Federazione lettone: crede fermamente di poter cambiare il mondo del tennis nel suo Paese, anche imitando la nostra federazione”.
Il seguito è cosa recente: Milos Raonic, poi Zverev e Davidovich Fokina. “Raonic ha continuato ad appoggiarsi a noi per il lavoro di preparazione fisica per un certo periodo. Mentre Zverev lo abbiamo seguito fino all'estate scorsa, sempre insieme a Dalibor Sirola. Anche Sascha ha dimostrato di essere un gran professionista e i risultati parlano per lui. Poi abbiamo cominciato a lavorare con Alejandro Davidovich Fokina, che adesso cerca di risalire la classifica dopo una stagione non facile (è stato 21 Atp, oggi è 61, ndr). Tutti dicono che noi italiani oggi siamo il punto di riferimento del tennis mondiale. E si chiedono come sia stato possibile. La mia risposta? Merito della FITP, perché è stato costruito un sistema partendo dalla periferia, investendo su tanti aspetti, inclusa la televisione che ha giocato un ruolo fondamentale. Un progetto partito tanti anni fa, che per la mia esperienza ha pochi eguali al mondo. Basta osservare che ogni circolo deve avere un preparatore laureato, non so quale altro Paese possa fare altrettanto”.
Mentre si cura il fisico dei campioni di oggi, bisogna però già guardare a chi arriverà domani. “Un consiglio di gestione per un ragazzo aspirante pro? Direi, fino agli Under 14, di far fare diversi sport, per sviluppare la multilateralità. Poi in seguito bisogna ovviamente specializzarsi, perché gli Under 16 ormai sono già dei semi-professionisti”.