Viva Chile! No, gli Inti Illimani e il loro album del 1973 non c'entrano, in questo caso. C'entra il tennis, che nel Paese sudamericano, ricco di bellezza quanto di contrasti, è popolare da tempo, oltre ogni aspettativa. Va a ondate, in realtà, la racchetta da quelle parti. La prima riguarda Jaime Fillol e la Davis, in particolare quella del 1976, la cui finale ricordiamo molto bene. L'Italia la vinse, quella partita a Santiago del Cile, in quello che allora era il Cile di Pinochet. In quel team sudamericano c'erano proprio Fillol – 14 al mondo nel suo momento migliore – e Cornejo, onesto mestierante ma buon doppista.
Non bastarono, Fillol e Cornejo, contro un'Italia nettamente più forte, che in sostanza vinse l'Insalatiera nel momento in cui decise di affrontare una trasferta dai risvolti politicamente sensibili. Negli anni 80, invece, è il tempo di Hans Gildemeister (nato in Perù), 12 in singolare e 5 in doppio: forte, ma non fortissimo con i campioni. Tanto che non ha mai superato la soglia dei quarti Slam (tre volte, sempre a Parigi).
Salto in avanti di quasi due decadi. C'è un ragazzo che viene da Santiago che tutti, a prima vista, identificano come un ribelle dal grande talento. Marcelo Rios confermerà la sua indole negli anni successivi, arrivando a traguardi mai raggiunti prima (né dopo) dai suoi connazionali: una finale Slam (in Australia), 18 titoli del circuito, ma soprattutto la prima posizione mondiale, conquistata il 30 marzo 1998. Ad appena 22 anni. Sembra un predestinato, Marcelo, dotato di un anticipo fuori dal comune e capace di inventare tennis come pochi altri. Invece si perderà in fretta, tra scelte sbagliate e un'attitudine discutibile, dentro e fuori dal campo.
Nello stesso periodo, tuttavia, alle spalle di Rios crescono altri giocatori importanti. Uno di loro è Nicolas Massu, molto meno talento del connazionale, ma anche molta più testa. Non a caso, con mezzi tecnici non straordinari, Nicolas arriva a entrare fra i top 10, numero 9 del mondo nel settembre del 2004. Vince 6 titoli del Tour, ma si prende un posto nella storia dello sport cileno grazie ai Giochi Olimpici del 2004 ad Atene: sul cemento, che non è esattamente la sua superficie, Nicolas batte in cinque set Mardy Fish e in qualche ora diventa l'eroe nazionale per eccellenza. Un premio alla carriera, che poi si tramuterà pure in un posto sulla panchina della Nazionale e nel box di giocatori importanti (Thiem, su tutti).
Il 'gemello diverso' di Massu è Fernando Gonzalez, 'Mano de piedra', come lo chiamano per la sua capacità di produrre velocità con un diritto pesantissimo. Pur arrivando a toccare il numero 5 Atp (nel 2007), Gonzalez non raggiunge le punte di popolarità di Massu, in patria, ma rimane un campione amatissimo. Anche perché lui, malgrado non riesca a prendersi l'Oro, di medaglie olimpiche ne colleziona addirittura due: una (di bronzo) nel 2004 ad Atene, l'altra (d'argento) nel 2008 a Pechino, dove perde in tre set da Rafael Nadal. Nella sua bacheca c'è anche una finale agli Australian Open, una semifinale a Parigi, due partecipazioni alle Finals e tanti piazzamenti: per continuità ad alto livello è lui il cileno più competitivo in assoluto, soprattutto considerando che si è trovato a giocare all'inizio dell'epoca dei Big 3.
Prima di Jarry e di Tabilo, il cileno da corsa si chiamava Cristian Garin, tennis completo ma continuità mai trovata: numero 17 nel suo momento migliore, prosegue con più dubbi che certezze e oggi chiude i top 100. Ma anche se 27 anni non sono tanti, la sensazione è che il meglio lo abbia già dato, con 5 titoli del circuito e un quarto di finale a Wimbledon come pezzi pregiati. Tralasciando altri degnissimi personaggi che però, rispetto ai migliori, avevano qualcosa in meno (Rebolledo, Capdeville, Barrios Vera), arriviamo dunque a questi giorni, agli exploit romani di Tabilo e Jarry.
Alejandro Tabilo, 26 anni, si è scoperto tardi con il talento necessario per competere con i big. Mentre prima, complice un fisico non adeguatamente curato e poca convinzione nei propri mezzi, si barcamenava nei Challenger con alterne fortune. Sbocciato da qualche mese, sta trovando la piena consapevolezza di poter andare oltre quei limiti che si era messo da solo. E in questo senso la vittoria romana su Novak Djokovic, poi sfociata in una semifinale, conta tantissimo come punto di svolta.
Nicolas Jarry, nipote di Jaime Fillol, è invece uno che il tennis ce l'ha nel sangue e nel braccio da sempre. 28 anni, una carriera fatta di stop & go, adesso è tranquillo anche grazie a una famiglia e a due figli che sono la sua serenità: “Sono il mio punto fermo – ha detto – e la mia gioia. Sono ciò che mi permette di dormire in pace e svegliarmi col sorriso”. Visto il tennis che si ritrova, completo e pesante, con l'aggiunta di fiducia e serenità può ancora togliersi tutte quelle soddisfazioni che fin qui un percorso accidentato gli aveva negato.