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L’Italia non ha soltanto battuto il Liechtenstein, ha pure giocato bene. Ma ora non montiamoci troppo la testa

I nostri rivali in campo non avevano neppure un gran campione di portiere, e hanno dovuto anche giocare tutto il secondo tempo in dieci

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
L’Italia non ha soltanto battuto il Liechtenstein, ha pure giocato bene. Ma ora non montiamoci...

Alla fine per un gol l’Italia di Mancini ha pure fatto meglio di quella di Ventura. Sei a zero contro il Liechtenstein nella notte delle promesse, quasi come il 5 a zero in quella delle premesse, che anticipò il precipizio, dalla Spagna alla Svezia, con tanti saluti al Mondiale e una cicatrice che è ancora presto per ricucire. Ma i numeri sono come la realtà. Dicono quello che succede. E nascondono quello che devi capire. E la verità è che c’è un abisso tra quella squadra, giugno 2017 e Ventura che diceva «ci siamo ritrovati», e quella di oggi, marzo 2019 e la sensazione che oltre al risultato ci siano anche dei talenti e un’idea di gioco. Dal conservatorismo di Tavecchio & C. alla rivoluzione di Mancini

Non illudiamoci troppo, però

E’ cambiata la parte tecnica, e sono cambiati gli uomini che scendono in campo. Le novità però si fermano lì. La dirigenza s’è data una gattopardesca verniciata e basta così. Per il resto, vecchi e giovani insieme, godiamoci questa Nazionale. Perché fra le altre cose è cambiato anche il clima intorno agli azzurri, sette milioni e mezzo di telespettatori per la partita con la Finlandia, mica la Germania o il Brasile, e stadi sempre pieni, di pubblico e di entusiasmo. A dimostrazione che se vinci giocando bene, puoi piacere di più. E tra l’Italia che batte cinque a zero il Lichtenstein e quella di ieri non c’è solo quel gol di differenza, Pavoletti dopo un batti e ribatti, partito pure in offside. C’è qualcosa di molto più importante. Il gioco. 

Per ora è meglio fermarsi qui

E’ vero che non bisogna montarsi troppo la testa per una goleada contro il Liechtenstein, che non aveva neppure un gran campione di portiere e che ha dovuto anche giocare tutto il secondo tempo in dieci. Ma francamente a noi non interessa questo. Di questa squadra, a noi piace la mentalità più del risultato e di qualsiasi risultato, piacciono il gioco, lo spirito, la voglia di offendere e non di difendere, il coraggio delle scelte e la spensieratezza dei giovani. Piace la sensazione che dà. Che è quella del futuro. E non di un passato da proteggere, con la testa sempre rivolta indietro. C’è un allenatore, i giovani stanno diventando grandi e fra qualche anno magari potremo ricominciare a pensare guardando di nuovo in alto. Ci vorrà tempo e ci vorrà pazienza, perché arriveranno le delusioni e arriveranno anche le batoste, che sono i prezzi da pagare quando si cresce. Il tempo e la pazienza sono le due cose che rischiano di mancare ai critici, molto spesso più tifosi che giornalisti, una malattia del nostro sport. Lo sappiamo bene. Dopo l’idillio, arriveranno anche i giorni delle polemiche. Dalle nostre bande, è persino un po’ scontato. Però qualcosa si è mosso da qualche mese e anche quelli che storcono il naso (nostalgia di Ventura? di Tavecchio? Boh) sono costretti ad ammetterlo.

La nuova Nazionale ha ricevuto la benedizione di Sacchi, che ormai è come un missionario che predica nel deserto, chiedendo al calcio italiano di trovare il coraggio che rinnega. E non gli dev’essere sembrato vero di averlo scoperto proprio in Mancini, che quando allenava l’Inter non sembrava davvero questo paladino dello spettacolo e del bel gioco. Certo, sempre meglio di Ventura che per incomprensibili misteri gaudiosi qualche avventato cronista sportivo era riuscito a dipingere come un tecnico moderno e dagli schemi spumeggianti, forse perché abbagliato da un 4-4-2, quando allenava il Pisa, spacciato ai creduloni che non avevano mai visto una sua partita, per un 4-2-4. Lasciamo perdere i numeri che fanno solo confusione. E godiamoci tutti Mancini, anche quelli, come noi, che non ci avrebbero mai creduto. D’altro canto, l’entusiasmo che suscita questa nazionale è palpabile. Non lo raccontano solo i numeri, perché capita abbastanza spesso ogni volta che si ricomincia da capo. E’ il fascino della novità. Però, la festa che accompagna queste partite dovrebbe farci meditare. Perché è un entusiasmo contagioso che arriva fino al campo.

Tutti quelli che entrano fanno bene

Spinazzola è stato il migliore in campo, il piccoletto Sensi ha segnato pure di testa, inaugurando la serie dei gol, e Pavoletti ha chiuso il cerchio dopo pochi minuti che era stato schierato. Non sbaglia mai nessuno. Poi ci sono il vecchio e il bambino. Quagliarella è ora come ora l’unico centravanti del nostro campionato che si adatta meglio al gioco di Mancini, perché oltre a far gol, come ha detto lo stesso tecnico, «sa giocare al calcio, e questo è importante». E Kean non smette di stupire. Ha segnato di nuovo, ha preso un palo, e ha sfiorato altri gol. Il futuro è di tutti, quando le cose girano. Vecchi e bambini.

 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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