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Il pienone allo Juventus stadium, vi spiego perché il pallone delle donne in Italia è ancora una Cenerentola

La tendenza a considerare il calcio uno sport prettamente maschile è ancora troppo radicata nel tessuto sociale italiano come dimostra l’incredibile telecronaca di Sergio Vessicchio

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Il pienone allo Juventus stadium
Il pienone allo Juventus stadium per Juve-Fiorentina

Persino il presidente del Coni, Giovanni Malagò, non ha nascosto il suo entusiasmo: “Ho visto la sfida tra Juventus e Fiorentina. Complimenti, il movimento del calcio femminile sta crescendo”. Per quella partita (vittoria delle bianconere per 1 a 0 e scudetto più vicino) sono arrivati allo Stadium trentamila spettatori, numeri mai visti, record italiano e più del doppio dei 14mila raccolti a Verona per la semifinale di Coppa Uefa del Bardolino contro il Francoforte, che rappresentava il primato precedente.

Per di più, l’incontro trasmesso in diretta da Sky, ha registrato 342.628 spettatori medi, 2,68 di share e un milione e 33mila spettatori unici. Nell’euforia dilagante, la Gazzetta dello Sport ha scritto che “il clima è di stato nascente, un innamoramento che a livello internazionale è già diventato amore su basi solide: speriamo che si radichi anche in Italia”. Già, perché il vero problema è questo: da noi il calcio femminile non è proprio un fenomeno di massa. Come dimostra pure un piccolo particolare, e cioè che allo Stadium, per quella partita, i tagliandi staccati erano tutti rigorosamente gratuiti.

Non è che all’estero sotto questo aspetto sia tanto diverso: qualche giorno fa in Spagna hanno giocato Atletico Madrid e Barcellona, calcio femminile al Wanda, e 60mila spettatori, il doppio di quelli italiani. Anche lì, però, gli abbonati non pagavano niente, e gli altri solo 5 euro a biglietto: incasso 120mila euro. I numeri cambiano invece per tutto il resto, quando si parla di tesserati, di sponsor, di strutture, di investimenti. E allora ci si accorge che il pallone delle donne in Italia è ancora una Cenerentola piegata in due a passar lo straccio sui pavimenti prima di andare alla festa e perdere la scarpetta.

Nel Nord Europa, televisioni, giornali e internet garantiscono un’ampia e continua copertura e il seguito di pubblico negli stadi è notevole, non solo per una partita, biglietti gratis o no: sempre in Spagna Atletico Bilbao e Atletico Madrid avevano radunato 48.121 spettatori e per un’altra partita dell’Atletico erano in 35mila. Per la finale Olimpica di Londra 2012 Stati Uniti Giappone, ce n’erano 80.203, e lì bisognava pagare, come per quella dei Mondiali, 1999, Rose Bawl di Pasadena e in 90.195 sugli spalti.

Da noi la Nazionale italiana femminile, per le due gare più importanti del girone di qualificazione ai mondiali, contro Belgio e Portogallo, ha contato 7500 e 7000 spettatori, che non sono molti, ma è già un successo, perché nelle altre partite delle azzurre erano al massimo mille. Il fatto è che, anche se il movimento è in crescita e torniamo a disputare i mondiali dopo vent’anni, il pallone delle donne è ancora un mondo esclusivamente di passione e volontariato: in diverse regioni mancano le strutture e i fondi per realizzarle, e società e sponsor faticano a investire con progetti di medio e lungo termine proprio per la scarsa visibilità che riscuote ancora il calcio in rosa. In Italia, stando all’ultimo report, del 2018, è praticato soltanto da 24mila tesserate, contando però il settore scolastico e gli enti di promozione sportiva, e nonostante questo l’incidenza fra le giovani, nella fascia compresa tra i 5 e i 16 anni, rimane molto bassa, sotto lo 0,4 per cento.

All’estero, la situazione è ben diversa. In Germania, il numero delle tesserate ha raggiunto il milione. In Canada 350mila. Negli Usa addirittura più di 15milioni. In Francia, spiega la brasiliana Dayane da Rocha, che ha giocato nell’Olympic Lione, “c’è molta attenzione verso il calcio femminile. Le strutture sono eccelse, assolutamente di primo livello, e a Lione esiste persino un canale tv in cui si parla di entrambe le squadre, maschile e femminile, allo stesso modo e con gli stessi tempi”. In Svezia, poi, dice Maria Karlsson, che ha giocato pure in Inghilterra, “il campionato femminile esiste da trent’anni e i media lo seguono tantissimo, anche perché ha dato più soddisfazioni di quello maschile, soprattutto in ambito internazionale”.

Da noi tutto questo interesse non c’è ancora ed è assai di là da venire. Il motivo?, si chiede la Gazzetta: “Ritardo culturale e di costume e una massa di pregiudizi”. La tendenza a considerare il calcio uno sport prettamente maschile è ancora troppo radicata nel tessuto sociale italiano, come dimostra l’incredibile telecronaca di Sergio Vessicchio, maschio al cento per cento, una fede e una misura: “E’ uno schifo vedere le donne che vengono a fare gli arbitri in un camionato dove le società spendono centinaia di migliaia di euro ed è una barzelletta della federazione una cosa del genere, impresentabile in un campo di calcio”. 

Il rimedio? Portare il calcio nelle scuole, per trovare nuove leve, per farlo crescere d’interesse. Si dice sempre così. Poi però bisognerebbe cambiare anche la testa alla gente. Occhio, come dice Vessicchio, ogni parola una certezza: “La mia idea è fissa e bloccata, le donne devono arbitrare le donne e gli uomini devono arbitrare gli uomini. E non mi accusi di sessismo perché non gliela faccio passare...”. Quando mai?

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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