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La crisi della Juve, l'imputato Allegri e le colpe della società. Tutti i nomi in ballo per il futuro

Nel club, le riflessioni sono in corso, fra qualche riunione e molte chiacchierate, cercando di sistemare i cocci e tirare su un bel muro di silenzio di fronte alle troppe voci che circolano attorno alle incertezze societarie

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
La crisi della Juve, l'imputato Allegri e le colpe della società. Tutti i nomi in ballo per il futuro

La crisi della Juve ha tante facce. E tante voci. Un solo imputato, per ora: Massimiliano Allegri. Il tribunale è soprattutto social. Ma attenti a non guardare il dito anziché la luna. La Juve non ha un gioco e non corre, e queste nel calcio moderno sono colpe gravi, per lo più dell’allenatore e del suo staff. Poi però c’è tutto il resto: tre anni di scelte sbagliate, la cacciata prima di Marotta e poi di Paratici (gli unici che ci capivano o di calcio), la pretesa di rifondare una squadra senza nessuno capace di farlo, una società che annaspa nei debiti. In una crisi così profonda non c’è mai un solo colpevole.

Nel club, le riflessioni sono in corso, fra qualche riunione e molte chiacchierate, cercando di sistemare i cocci e tirare su un bel muro di silenzio di fronte alle troppe voci che circolano attorno alle incertezze societarie. Però gli spifferi vengono fuori lo stesso, come capita quasi sempre in questi casi, E sul tecnico alla fine le posizioni sembrano abbastanza definite. Pavel Nedved si sarebbe schierato contro, interpretando la voce della stragrande maggioranza dei tifosi, perché così non si può più andare avanti, con questa sequela di cose che non funzionano: squadra allenata male, spogliatoio spaccato, qualche big contro il tecnico, errori di preparazione, troppi infortuni, niente gioco e forse pure qualcos’altro (il mercato voluto fortemente da Max comincia a mostrare tutte le sue crepe?).

Ma questa volta Pavel è solo. Alla fine dell’Allegri 1 erano due voti contro uno, quello suo e di Paratici, e aveva prevalso la loro tesi su quella del presidente. Adesso, però, al posto di Paratici c’è Cherubini, con il quale il tecnico livornese può vantare da sempre un ottimo rapporto. Andrea Agnelli dal canto suo non ha mai cambiato idea: lo difendeva allora e lo difende adesso, preferendo rimanere ancorato al piano originario, quello che gli dava quattro anni per ricostruire la squadra. Allineato su questa linea, per motivi nient’affatto tecnici ma meramente economici, c’è l’ad, Maurizio Arrivabene, l’uomo che guarda i conti e che prima della sconfitta con il Benfica aveva esternato pubblicamente la sua posizione, rispondendo con una battuta a un tifoso: "Lo paghi tu il prossimo allenatore?". Che è in fondo la verità più profonda: non c’è più trippa per gatti, signori miei. E se si sbaglia, non si può tornare indietro.

Alla fine della fiera Nedved è rimasto solo e sconfitto. C’è chi parla addirittura di sue dimissioni entro venerdì. Allegri non si tocca. Andrea Agnelli l’avrebbe persino rassicurato con una telefonata, sempre che ce ne fosse bisogno, vista l’amicizia che li lega. D’altro canto si sa che il presidente non avrebbe mai voluto cambiare la guida tecnica in quell’estate di quattro anni fa. Accettò la decisione imposta dalla maggioranza, mal sopportando sin dall’inizio l’arrivo di Sarri. La verità è che già alla fine di quel campionato (vinto fra l’altro) aveva deciso di richiamare subito Allegri. Fu Paratici, che si era esposto ancora più di Nedved per il suo siluramento, a chiedere un’altra opportunità e la riconferma di Sarri. Agnelli scelse una terza soluzione: nessuno dei due, ma Pirlo. E se anche lui fosse andato male, il ritorno di Max e il cambio del ds. Poi Pirlo è andato pure meglio, e parecchio meglio a onor del vero, del livornese, visto che oltre al quarto posto (raggiunto fra l’altro con un punteggio più alto) due trofei li ha comunque portati a casa.

Solo che non è bastato. E’ tornato Allegri, come voleva il presidente. Con pieni poteri non solo sul campo ma anche sul mercato: Arrivabene in altre faccende è affaccendato e deve occuparsi di conti, e Cherubini non è uomo di scouting e quindi è il meno indicato per trovare giocatori. Da quel momento in poi è cominciata una discesa verso gli inferi. La spiegazione l’hanno capita tutti ormai: Allegri è un gestore che sa difendersi bene e sfruttare la fantasia dei suoi campioni.

Il suo calcio semplice è tutto lì. E’ l’uomo meno adatto che ci sia per ricostruire una squadra da zero. E soprattutto non è assolutamente bravo a fare il mercato. E s’è visto, nonostante tutti gli elogi che sono piovuti addosso alla campagna acquisti della Juve. Solo Tiscali l’aveva bocciata. E aveva ragione. Ha comprato giocatori rotti, o concentrati solo sull’ultimo loro mondiale come Di Maria, dei buoni panchinari come Kostic, o dei panchinari di professione come Paredes spacciati per campioni (non era meglio tenersi Rovella?). Senza risolvere per un motivo o per l’altro il vuoto senza senso che si trascina dietro da qualche stagione: quello del suo centrocampo.

Il risultato alla fine è che adesso la Juventus è prigioniera di Allegri. Che cosa potrà cambiare da qui in avanti? A gennaio rientreranno Chiesa e Pogba (forse). Ma con il serio rischio che i giochi siano già fatti: fuori dalla Champions, e quarto posto difficilissimo da raggiungere perché avrà troppe squadre davanti. Se la situazione sarà questa, dopo novembre potrà succedere di tutto. Certo, la squadra non dà molte garanzie, ma Max sarebbe anche capace di non perdere la bussola e i punti per restare in piedi almeno in campionato. Altrimenti, nudo e crudo, rischia anche lui. Max lo sa che pure quelli che lo difendono in società hanno perso fiducia, come testimonia l’immagine della tribuna di Monza: lui da una parte e i dirigenti dall’altra.

E che si sente solo lo dimostra la chiacchierata con Sconcerti sul Corriere, affatto gradita dalla società, tanto per usare un eufemismo. Proprio lui che diceva «adesso tutti zitti e pedalare», s’è messo a parlare di tutto, silurando persino Locatelli come un panchinaro: sai come ne sarà contento. Per ora Allegri continua a professarsi «divertito» dalle voci che gli girano attorno, scherzando addirittura su una apocrifa nostalgia da panchina traballante, ma qualche scricchiolio assieme a tutte queste voci sulla sua panchina probabilmente lo sta sentendo lo stesso. Facciamo chiarezza: alcuni nomi fanno pure ridere e chissà da dove saltano fuori, come quello di Pochettino, uno che non si siede nemmeno se non si parla di 10 milioni all’anno.

Tuchel è già stato bloccato dal Bayern che vola in Champions ma arranca faticosamente in Bundesliga. Un po’ più credibile Zidane, solo per l’amicizia che lo lega ad Andrea Agnelli. Poi c’è chi ha ipotizzato il grande ritorno di Conte con Petrachi ds. Difficile per due motivi: anche lui costa troppo, e se è vero che si è un po’ rappacificato con Agnelli, tutti dimenticano che neppure John Elkann aveva molto gradito i sui saluti. E poi alla società, che sta per annunciare un bilancio con altri 250 milioni di passivo, in questo momento non interessa avere un bravo ds, ma due uomini di conti che sono riusciti a chiudere il mercato in attivo: Cherubini non è in discussione.

La peggiore crisi

Qualcuno parla anche un contatto con Mancini: boh. Alla fine dovessimo puntare un euro, lo punteremmo ancora su Allegri. E se la situazione precipitasse davvero, una sola alternativa a basso costo: Pablo Montero o Brambilla, il tecnico dell’Under 23, ma soprattutto Paulo Sousa, con il quale ci sarebbe già stato un sondaggio. Sicuro invece l’intervento sullo staff: promosso Andreini per affiancare il contestatissimo preparatore Folletti.

Per cominciare ad orizzontarsi un po’ di più in questa crisi che è la peggiore nella storia della Juve dopo calciopoli, con una squadra da rifare quasi completamente e un passivo da incubo, senza contare la spada di Damocle della sentenza sulla Superlega, bisogna solo aspettare il cda di venerdì prossimo. In primo piano ci sono i 250 milioni che gravano su un groppone già abbastanza appesantito dai debiti precedenti. Ma dovrebbe prendere la parola Andrea Agnelli, l’unico che è rimasto sempre in silenzio. E forse qualcosa da dire ce l’ha. Se non altro per fare chiarezza

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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