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La fortuna dei più bravi e lo stellone di Ancelotti. Liverpool e Real in finale

Nel loro cammino i "Blancos" hanno fatto fuori i grandi amici di Ceferin, Paris e City. Al Parco dei Principi di Parigi la resa dei conti con i "Reds"

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

Lo so che lo dicono tutti che il calcio è come la vita, l’ha detto anche Mancini dopo la ghigliottina dei Mondiali, è un po’ come dire che le partite durano 90 minuti, che la palla è rotonda. Però uno guarda Real-Manchester City e che deve pensare? Che il gioco non c’entra, la giustizia neppure, che non conta essere più bravi o aver meritato di più, perché l’unica cosa che conta davvero è la fortuna, il caso, il destino, chiamatelo come volete, il dio eupalla, non so. L’unica cosa che vale è che bisogna cercarselo il destino, avere gli uomini, farsi trovare pronti, saperlo prendere, non basta stare lì ad aspettarlo. Real-Manchester City si decide in due minuti, quando all’88mo Grealish ormai ha segnato il due a zero e invece Mendy lo salva sulla linea con un gesto innaturale tanto è miracoloso, torcendosi su se stesso nella deviazione, e al novantesimo, Rodrygo anticipa tutti per un millimetro e infila il disperato passaggio al volo di Benzema.

Ecco, c’è sempre lui, nel Real, il barbudos che faceva il gregario di Ronaldo, e adesso uno forse capisce perché Perez l’ha sempre preferito a Cr7. Perché poi è ancora Benzema a timbrare il rigore molto generoso che concede Orsato, quello che decide la finalista di Parigi contro il Liverpool. E’ che ormai il destino è andato da quella parte, nessuno lo può più fermare, anzi, magari lo aiuta, come ha fatto Orsato. A volerla dire tutta, uno avrebbe già potuto capire come andava a finire al novantesimo, quando Rodrygo ha firmato il pareggio, anche se sembrava troppo tardi, se sembrava impossibile. E’ che nella vita certe cose non capitano mai per caso. E quando si ripetono vuol dire che è scritto. Perché il calcio è come la vita. L’ha detto anche Mancini.

E Real-Manchester è andato in quella direzione già a casa di Pep, quando doveva finire con una goleada del City e non con un rocambolesco e striminzito 4 a 3, firmato da Benzema, sempre lui. Così adesso Carlo Ancelotti è il primo allenatore al mondo a giocarsi per la quinta volta una finale di Champions, e già questo è un bel destino, cominciato con una vittoria alla lotteria dei rigori, tanto per non smentirsi. E’ l’allenatore che ha vinto tutti i campionati nei paesi che contano d’Europa, e che ne ha perso solo uno, il primo, sotto la pioggia, per volere del cielo e di Collina. Diciamo che la fortuna l’ha ampiamente ripagato di quello sberleffo. Fa specie, invece, che proprio a Napoli abbiano cacciato via uno con il suo stellone. Di fronte avrà un avversario tosto, naturalmente inglese, che sono ormai i padroni del calcio, che si concedono gli sparring partners: è a Londra e dintorni la vera Superleague.

Anche il Liverpool ha avuto una grossa mano del destino dalla sua parte. Solo che con il Villareal era troppa la differenza: non avrebbe potuto fare altrimenti. I sottomarini di Unai Emery hanno giocato un primo tempo da antologia, o forse sarebbe meglio dire da Atalanta, perché hanno fatto i dentisti alla "Gasp", uomo su uomo, pressing asfissiante e correndo come pazzi. Dovevano recuperare due gol e li hanno recuperati in 45 minuti. Ma quel ritmo non potevano reggerlo fino alla fine. Hanno cercato di fare il secondo tempo al risparmio, Rau Albiol e Paul Torres a presidiare fort Alamo, come hanno fatto quasi sempre nel loro cammino, ma una cosa è farlo quando hai fiato e un’altra farlo quando non ne hai più. I nostri tecnici esperti di ritmi blandi e partite al sonnifero dovrebbero studiarsi e ristudiarsi Villareal Liverpool, perchè è la prova di come sia la velocità del gioco a trasformare una squadra, a rendere più forti i deboli e più fragili certi tatticismi.

Poi, certo, ci sono gli episodi, come dicono sempre i saggi del dio eupalla, che in questo caso sarebbero gli errori abbastanza marchiani di Rulli, un gol fra le gambe su tiro non irresistibile di Fabinho, e uscita fuori porta e fuori area a cercar farfalle, lasciando campo aperto a Mané per il tre a due definitivo. La sensazione è che però di riffa o di raffa il suo il Liverpool l’avrebbe fatto in ogni caso. E comunque, il migliore in campo al Bernabeu, Courtois (per noi, il portiere più grande che c’è oggi), il peggiore a Villareal, Rulli.

A Parigi, come in tutte le finali, sarà un’altra musica. Il Liverpool per Ancelotti è il 3 a 3 di Istanbul con rimonta pazzesca dei Reds e beffa ai rigori, e la vendetta di Atene due anni dopo, 2 a 1 Milan e Coppa delle grandi orecchie sotto al Duomo. Nel suo cammino il Real ha fatto fuori i grandi amici di Ceferin, Paris e City, e per lui che sogna di far fuori i tre grandi ribelli della Superlega è un po’ uno smacco. Al Parco dei Principi la resa dei conti. Grandi interpreti, ma molta prudenza, perché chi sbaglia paga. Il più bravo: Klopp. Il più fortunato: Ancelotti. E siccome il calcio è come la vita, vediamo cosa conta di più.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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