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Ancelotti doveva essere il "Ferguson del Napoli", ma è stato esonerato con un tweet

La parabola discendente del Carletto è cominciata con la sconfitta contro la Roma, 2 a 1, il presidente che ordina il «ritiro costruttivo», lui che si adegua ma non capisce, i giocatori che si ammutinano dopo la partita con il Salisburgo

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Ancelotti doveva essere il 'Ferguson del Napoli', ma è stato esonerato con un tweet

Da quando Aurelio De Laurentiis presentò Carletto Ancelotti in stile James Bond come nel cartellone pubblicitario di un successo che resiste da una vita, è passato giusto il tempo che ci mette il presidente a bisticciare con i suoi allenatori. Diciasette mesi. Durante i quali ADL ha detto in ordine sparso «Per me Carlo può restare a vita», «Vorrei farne l’Alex Ferguson del Napoli» e «abbiamo portato qui uno dei migliori allenatori del mondo». Poi, invece, l’Alex Ferguson di Posilippo ha fatto 1400 partite in meno del suo monumento con vista su Manchester ed è stato esonerato sbrigativamente con un tweet alle 23,38 del 10 dicembre, lasciando agli atti un bilancio in tutte le competizioni di 73 gare per 38 vittorie, 19 pareggi e 16 sconfitte, che in campionato diventano 29 vittorie, 13 pareggi e 11 sconfitte. Forse non sarà un curriculum esaltante, ma dentro bisognerebbe pure metterci il secondo posto dell’anno scorso, il passaggio agli ottavi di Champions, il pareggio di Anfield e la vittoria secca contro lo straordinario Liverpool di questo inizio stagione, oltre al fatto che nessuno come il mister di Reggiolo è così bravo a gestire spogliatoi turbolenti e a farsi amare dai suoi giocatori, come testimoniano anche le parole di Allan: «Sei stato molto più che un allenatore, ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto in questi due anni».

Tutto ha avuto inizio con la sconfitta contro la Roma

A soffermarsi sulle evidenze, la parabola discendente del Carletto, che dovunque è stato ha fatto incetta di trofei e scudetti, a parte Juventus e Napoli, è cominciata con la sconfitta contro la Roma, 2 a 1, il presidente che ordina il «ritiro costruttivo», lui che si adegua ma non capisce, i giocatori che si ammutinano dopo la partita con il Salisburgo e poi tutto il resto a pioggia. In realtà non è proprio così. Ancelotti ha preso in eredità una squadra che giocava un calcio spettacolare e spumeggiante, ma che era ormai logora in alcuni suoi elementi, come Goulham, Callejon, Insigne e Mertens. Nel mercato di questa estate aveva parlato chiaro con il presidente, ponendo tre priorità precise: via Insigne, che creava solo squilibri alla squadra e con il quale non aveva legato appieno, dentro Icardi e un esterno sinistro al posto di Goulham. Poi, sarebbe potuto servire anche James Rodriguez. Nessuna di queste richieste è stata esaudita. Ancelotti non è come Conte, che per molto meno ribalta il tavolo, fa conferenze stampa e minaccia pure di peggio. Lui è un signore emiliano che ha fatto del dialogo la sua filosofia, che è un po’ la caratteristica di quella terra benedetta dai campi e dagli uomini. Basta parlarsi chiaro. In privato. Oh, lui l’ha fatto. Peccato che non sia servito a niente.

Una squadra logora che non corrispondeva al progetto

Il risultato è che si è trovato sul groppo una squadra logora che non corrispondeva minimamente al progetto che aveva in testa, e un nemico in più, Giuntoli, che nel mercato aveva eseguito alla lettera i compiti assegnatogli da De Laurentiis, cioé quello che secondo il vulcanico presidente napoletano tutti dovrebbero fare, senza storie e senza dubbi. Così, quando la situazione è via via precipitata, dopo la sconfitta contro la Roma, l’ammutinamento dei giocatori e i deludenti risultati in campionato, nella riunione ristretta del 4 dicembre Giuntoli si è schierato con il patron per cercare subito un altro tecnico. E per rompere definitivamente con l’idea di calcio di questi ultimi tempi, da Benitez a Sarri e poi Ancelotti, si ritorna all’antico: Rino Gattuso, il catenaccio con cazzimma, affantumazz lo spettacolo, da ora in poi tutti dietro a fare muro, palla lunga e padalare. Il gioco lasciamolo fare agli altri. Qui non ci si diverte, ma si combatte in trincea. Resta da chiedersi che cosa ne farà uno così di tutte quelle punte e trequartisti, Callejon, Mertens, Insigne, Lozano, Milik, Zielinski, Llorente... Loro ancora non lo sanno, ma verranno buoni a scaldare le panchine. E per gennaio, Giuntoli dovrà di sicuro fare qualcosa, un incontrista a centrocampo, uno che corre e mena, cioé un difensore piazzato nel cuore del gioco, dove gli altri ci mettono i registi e gli incursori, tutti questi fanatici del divertimento. Come se il calcio fosse uno spettacolo.

Il Napoli può salvare la stagione

Tornando ai fasti di Mazzarri e alla sua idea di calcio sparagnino, può anche essere che il Napoli salvi la stagione. Sicuramente avrà molte più difficoltà in Europa, dove il gioco all’italiana da Anni 70 di Gattuso sembra quasi un altro sport, ma nel nostro campionato rinsalderà la difesa e prenderà meno gol, due cose che funzionano molto a queste latitudini. Inventerà un terzino a fingere di fare l’attaccante, un centrocampo di soli lottatori, e poi Callejon e Mertens e qualcun’altro avranno tutto il tempo di godersi gli spettacoli del Golfo e di farsi un bagno.

C'è la fila per Ancelotti

Dal canto suo Ancelotti non avrà problemi a trovarsi un’altra squadra. C’è già la fila fuori: Arsenal in testa, ma anche il Paris St. Germain e qualche altro ritorno da non sottovalutare. Dispiace per come è andata, e il primo a rammaricarsi sarà proprio lui, che non fingeva quando diceva che avrebbe voluto fermarsi a lungo a Napoli, che aveva trovato una città stupenda e un posto ideale. Purtroppo, il destino era già segnato da questa estate, con il mercato che non aveva esaudito le sue aspettative.

De Laurentiis è un presidente decisionista

Il fatto è che De Laurentiis è un presidente decisionista, che non delega a nessuno, come faceva Berlusconi con Galliani - e per questo, solo per questo, Ancelotti rimase 8 anni sulla panchina del Milan, se no anxche lì la storia sarebbe finita altrimenti -. Gli altri dovrebbero obbedire e venerarlo: sono pagati per questo, no? E decide lui per tutti, anche le scelte sulla squadra. Finora non ha mai sbagliato, bisogna dargliene atto. A Napoli i tifosi dovrebbero fargli un monumento per quello che ha fatto fino adesso. Lui per la città è stato il Maradona dei presidenti. Ma anche Maradona a un certo punto è invecchiato e non era più lui. Quello dell’esonero di Ancelotti è stato un errore. Sperando che sia l’unico e non sia il primo. Solo che uno come De Laurentiis non poteva fare altro. Quelli che si adeguano, ma non capiscono, e lo dicono pure in pubblico, gli hanno già bloccato la digestione. Nemmeno per scherzo, dovrebbero pensarlo.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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