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Ranieri, l'aggiustatore questa volta non ce l'ha fatta. Qui non servivano le buone maniere

Cacciato dal Fulham stavolta il ct non ha portato a termine il compito. Forse non si poteva fare meglio. E anche le buone maniere magari non servivano più

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Ranieri, l'aggiustatore questa volta non ce l'ha fatta. Qui non servivano le buone maniere

L’aggiustatore questa volta non ce l’ha fatta e al Fulham l’hanno cacciato. Claudio Ranieri avevano cominciato a chiamarlo così quand’era tornato in Italia, l’anno dopo Calciopoli, prendendo solo squadre in crisi, il Parma sull’orlo della retrocessione, la Juventus appena promossa dalla serie B e la Roma traumatizzata dalla fine dell’era Spalletti, il primo Spalletti, quello che doveva ancora litigare con Totti. Fece miracoli dappertutto: salvò il Parma con una rimonta strepitosa lanciando Pepito Rossi; portò la sciroccata Juve di Cobolli Gigli e monsieur Blanc prima in Champions a battere il Real Madrid in casa sua e poi al secondo posto in campionato, una squadra che aveva De Ceglie titolare, in difesa Boumsong e a centrocampo Nocerino, altro che Ronaldo, Dybala e Pianic; e con la Roma riuscì perfino a rimontare la grande Inter di Mourinho e a vincere il campionato per 37 minuti, 37 maledetti minuti prima che la Samp di Pazzini e Cassano ribaltasse l’uno a zero ed espugnasse l’Olimpico ammazzando gioie e sogni, tutto insieme.

Vedi, uno come lui aggiusta tutto, dicevano. "Io aggiustatore?", rispondeva Ranieri. "Ognuno di noi ha un karma, il mio evidentemente è questo". Solo che dopo aver messo a posto le cose, si fermava sempre lì, come se avesse fatto quello che doveva e non potesse fare altro: "Tu sei Jimmy, giusto? Sono il signor Wolf. Risolvo problemi".

Fino al giorno che arrivò a Leicester, quando scrisse un pezzo di Storia del calcio. Mister Wolf quella volta fece qualcosa che non si immaginava neanche, che forse non voleva neppure. Appena arrivato disse: "Perché non dovremmo salvarci? L’anno scorso il finale è andato bene". L’aggiustatore non fa mai voli pindarici. Non deve rincorrere sogni impossibili. Quando lo fa si va a sfracellare, com’era successo con la Roma. Questo dev’essere il suo karma. L’aggiustatore bada al soldo e tiene la testa bassa. "Io non vado dietro le mode", dice Ranieri. "Il calcio italiano ha vinto tanto e sempre, non vedo perché dobbiamo rinnegarlo".

Lui insegna semplicità, perché è quello che ci vuole per risolvere i problemi: "Credo che nel calcio non ci sia niente da inventare, ma magari da rivedere, da studiare, da imparare". Mario Sconcerti lo definisce perfettamente, l’aggiustatore Claudio Ranieri, "che nessuno ha mai ignorato, ma che pochi hanno amato per quello che è diventato: un formidabile maestro del calcio normale". In fondo è lui stesso che lo rivendica, di non aver mai cambiato niente dalla prima volta che cominciò a diventare famoso come allenatore, quando prese il Cagliari in serie C1 e lo portò in serie A. Erano gli anni che andavano dal 1988 al 91, quando Sacchi e la zona stavano rivoluzionando il gioco del pallone in Italia. Andava di moda se facevi la zona, persino come Maifredi, o se mettevi tante punte. Però, il campionato lo vinceva un gran marpione cone Boskov, marcatura a uomo fino negli spogliatoi e contropiede: Ranieri era di questa stirpe qui. Così dopo Cagliari andò nel Napoli del dopo Maradona e riuscì a portarlo in Uefa, poi prese la Fiorentina in serie B, tornò in A e le fece vincere una Coppa Italia e pure una Supercoppa, contro il Milan degli Invincibili. Sempre facendo lo stesso lavoro: aggiustando le cose, molto serenamente. Risolvendo i problemi.

Per essere così, ci vuole il suo carattere. Romano del Testaccio, figlio di macellaio, Claudio Ranieri non è nato povero e non ha dovuto faticare in salita. Ha il savoir faire del borghese, una innata abitudine alle buone maniere, che lo distingue facilmente dalla tribù del pallone e dalle sue scomposte reazioni. Ranieri è uomo di mondo. E così prende e va in Spagna, al Valencia, e vince la Copa del Rey nel 2000, facendolo arrivare anche in Champions. Poi fa una parentesi all’Atletico e da lì salpa verso l’Inghilterra. Destinazione Londra, a casa del Chelsea, che sta per cambiare padrone: il nuovo titolare del biroccio, Abramovic, pensa subito in grande e mal sopporta il signor Wolf, che risolve i problemi aggiustando le cose e tenendo la testa bassa.

Lo caccia via e lo sostituisce con Mourinho, che è proprio il suo opposto, un grande affabulatore che cambia le carte e dispensa sogni e promesse. Quando ritorna in Italia ad aggiustar le squadre, Ranieri se lo troverà di fronte e appena proverà ad alzare il capo e dire qualcosa, il portoghese lo bacchetterà senza pietà: «Parla Ranieri che dopo 5 anni in Inghilterra ha avuto difficoltà a dire good morning e good afternoon». Mister Wolf non replica, non insulta mai, non è nel suo carattere. Lui ringrazia sempre. Ripartito in giro per il mondo, va a Monaco, vince la Ligue 2 e l’anno dopo arriva secondo dietro al PSG. Ringrazia e va in Grecia ad allenare la nazionale. Viene esonerato e lui ringrazia ancora e va a Leicester. A fare la storia.

A un certo punto non deve più salvarsi, è in testa alla classifica. Guarda i giornalisti e dice: "Perché non potremmo continuare a correre? Il Leicester è come Forrest Gump. Anzi, vi dò il titolo qui: il Leicester è Forrest Gump". E’ una corsa senza fine. Vengono da tutto il mondo a capire che cosa stia succedendo. Lui scherza con tutti in conferenza stampa: "Non credete ai bookmaker. All’inizio loro dicevano che sarei stato il primo, sì, ma ad essere esonerato...". Chissà quale è la chiave che ha usato, l’unica volta che non c’era da risovere problemi, ma un sogno da inventare, una cosa impossibile da realizzare.

A fine campionato confessò che ai suoi ragazzi aveva detto semplicemente quello che pensava lui, mentre la vita gli regalava questa strana storia: "Ai miei giocatori ho detto ora o mai più: nell’era del denaro abbiamo dato una speranza a tutti". Finito il viaggio nella favola del cielo, è tornato quello di sempre. Lui lo sapeva bene, che quando capita una cosa come quella del Leicester, la sua grandezza sta nel fatto che capita quella sola volta. Non ci sarà mai un’altra volta. Anche la speranza è fatta così. Quando si ripete, è perché hai smesso di sognare.

L’aggiustatore s’è tenuto stretto quel sogno. E poi è tornato a fare quel che sapeva fare. Al Fulham è andata male. Forse non si poteva fare meglio. E anche le buone maniere magari non servivano più. Bisognava solo pulire in fretta "quella cazzo di macchina", come diceva il signor Wolf di Pulp Fiction: "Chiariamoci, campione. Non sono qui per dire per favore. Sono qui per dirti che cosa fare. Sono qui per dare una mano. E se il mio aiuto non è apprezzato, tanti saluti, signori miei". 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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