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Non basta il cuore dell'Atalanta. Vince sempre lui, Carletto. Il Real Madrid è davvero di un altro pianeta

In quindici minuti il Real ha forzato la partita, ha rubato le chiavi del match, ha colpito due volte e ha sfiorato il terzo gol in almeno altre due clamorose occasioni.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

I sogni è sempre meglio viverli e arrivarci vicino. In fondo, è quello che ha fatto la piccola grande Atalanta del Gasp, per un’ora di gioco a crederci per davvero, a osare fin oltre i suoi limiti. Dopo è successo forse solo quello che doveva succedere. La legge del più forte. In quindici minuti il Real ha forzato la partita, ha rubato le chiavi del match, ha colpito due volte e ha sfiorato il terzo gol in almeno altre due clamorose occasioni. L’Atalanta ha provato a buttare il cuore oltre l’ostacolo, anche se la lancetta correva verso l’ultimo minuto, quando magari non ci sperava più nessuno. Ma ha onorato il suo sogno sino alla fine. E non tutti sono capaci di farlo.

Le speranze del Gasp

A metter altro fiele sul pronostico, Gasp se la gioca senza Scamacca, Zaniolo e lo stressato Koopmaners, oltre a Scalvini, infortunato di lungo corso. Ancelotti invece può permettersi il lusso di tenere in panchina Modric, Arda Guler e Camavinga (infortunato. Ne avrà per sei settimane) un centrocampo che farebbe invidia a qualsiasi squadra italiana. Non è un bel cominciare, ma lo si sapeva. Basta guardare le bocche di fuoco là davanti, Bellingham, Vinicius, Rodrygo e Sua Maestà Kylian Mbappé, ultimo innesto nella sfilata di grandi stelle, per farsi venire i brividi.

Eppure l’Atalanta ha due carte a cui aggrapparsi per rinfocolare qualche speranza: il ritmo che è capace di imporre a certe sue partite, quel ritmo a folate ossessive, che picchia come un trapano e che ha fatto dire a Guardiola che affrontare le squadre di Gasp è come andare a sedersi sulla poltrona del dentista, lo stesso ritmo che ha asfaltato il Leverkusen nella finale di Europa League; e poi l’estate, che non è finita e preme su una stagione che deve ancora cominciare, perché a questo punto dell’anno i blancos devono ancora scaldarsi e oliare i meccanismi. Ecco, la speranza, prima di cominciare, è questa, che il Real non sia ancora il Real, nonostante tutta questa parata di stelle che esibisce in campo e in panchina.

E la fine del sogno

E comunque dopo una mezz’ora scarsa di accademia e stentata ordalia, il primo squillo della partita è proprio dell’Atalanta, anche se è Milito a centrare la traversa della sua porta sul cross di De Roon. Ma dopo ci prova Ederson da fuori e Rudiger chiude su Lookman che sognava già di battezzare una serata come quella col Leverkusen. Poi sul finire del tempo, ecco il Real, che sembra guardare sornione lo scorrere della partita, e si scuote all’improvviso: gran palla di Vinicius per Rodrygo e la traversa di Musso che trema questa volta, assieme al Gasp in panchina. E’ una partita che vive di fiammate, con tutt’e due le squadre che a turno danno l’idea di essere pericolose e poter imprimere la svolta decisiva alla partita.

All’inizio della ripresa ci prova Bellingham, si fa vedere Mbappè fino a quel momento spettatore distratto, ma è Courtois a compiere un miracolo sul copo di testa di Pasalic. Fino al sessantesimo, quando Valverde, servito da Vinicius (il migliore dei blancos), non deve fare altr che depositare la palla in rete. A quel punto Musso compie due miracoli su Vinicius (ancora lui) e Bellignham e poi Mbappé raddoppia. Come nella finale di Champions, il Real è uscito nel secondo tempo, dopo essere rimasto sornione a far correre l’avversario nei primi quarantacinque minuti. C’è tempo per l’ingresso di Modric, accolto da una standing ovation, e per le scintille fra Carvajal e Lookman, e per l’esordio di reteguiu. C’è tempo anche per il cuore dell’Atalanta, il suo assalto finale. Qualche rischio lo crea. Ma è inutile. Vince sempre Ancelotti

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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