[Il ritratto] Vialli e Mancini di nuovo insieme in Nazionale nel momento più duro della vita di Gianluca
Gli eroi dello scudetto della grande Samp del presidente Mantovani di nuovo insieme in azzurro. Dopo la battaglia di Vialli contro il tumore al pancreas
Negli incroci della vita c’è sempre qualcosa che ancora ci stupisce. Se è vero che Vialli e Mancini torneranno insieme in Nazionale, proprio nel momento più duro di Gianluca e della sua battaglia contro il male oscuro, quello che colpisce di più è la storia di un tempo che deve venire per illuderci tutti, anche noi, di poter tornare indietro. Vialli aveva cercato di nasconderlo al mondo il suo tumore al pancreas, uno dei più letali. E quando l’aveva confessato, Mancini cercò di spiegare il suo dolore, perché quella notizia lo distruggeva: «Lui non è un amico. Lui per me è un fratello». L’ultima volta che erano stati insieme nella stessa squadra e nella stessa vita era quella sera di giugno in un ristorante a Boccadasse, sul mare di Genova, che Vialli disse che gli era arrivata una offerta dalla Juve e che forse se ne andava via: «Quando Vialli andò via, io piansi. C’erano anche altri compagni con noi. Speravamo ci ripensasse. O lui o Mantovani. Ma poi cambiò tutto. Lì finì la mia giovinezza».
Adesso che potrebbero riprendere il tempo da dove l’avevano lasciato, con i capelli grigi e le rughe, le ossa stanche e gli occhi più tristi, e con il cancro che lo accorcia, quel tempo, e lo stringe e lo risucchia, come un imbuto, adesso almeno c’è un pezzo di vita che sta tornando, non solo per loro. Anche per noi. Perché quello scudetto della Sampdoria, nel 1991, come quello del Cagliari, nel ‘70, non sono semplici storie di sport, ma racconti di un’illusione che ci riguarda tutti alla fine, come quella mattina che ti sei fermato a guardare quell’italiano sbilenco con il mento storto e gli occhi stretti che all’improvviso rimontava tutti, i principi degli altipiani, i padroni delle maratone, e li sorpassava uno a uno, e tu non ci credevi che fosse possibile, con quel nome strano, Gelindo Bordin, che fosse proprio lui a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Lo hai capito solo quando lui piangeva e diceva che quella vittoria la dedicava ai più deboli, «quelli come me, perché possiamo vincere qualunque battaglia se ci crediamo, se ci mettiamo volontà e amore». Se lo scudetto del Cagliari, l’anno dopo Woodstock e la luna, quando era più facile inseguire i sogni, lo portò l’incredibile storia d’amore fra un campione e l’isola che lo aveva adottato, quello della Sampdoria fu il trionfo di una banda di amici, di giovani guasconi che guardavano il mondo da quaggiù, da una terrazza sul mare, credendo che fosse un posto per tutti. Beh, quelle due volte lo era stato.
Ma il mondo non è un posto per tutti. Solo che quando racconta storie come queste, lascia memorie e suggestioni che nessun cancro riesce a cancellare. Poi i sogni li portano certi percorsi strani del destino che rompono il tempo e lo ricuciono, perché Gigi Riva era timido e introverso, aveva paura di venire in Sardegna e non voleva venirci, e Paolo Mantovani, l’uomo che inventò la Sampdoria di Vialli e Mancini e creò una famiglia per battere la storia, aveva scelto il Genoa quando era emigrato alla Lanterna. Fu il caso a portarlo dai blucerchiati. Romano, tifoso della Lazio, diventò genovese nel 1955, quando si trasferì dagli uffici capitolini della Cameli Petroli e si innamorò della citta: «Da qui non voglio più andar via», disse. Guardava solo il Genoa e sottoscrisse un abbonamento biennale chiesto ai tifosi dall’allora presidente Giacomo Berrino per non cedere Meroni. Alla fine della stagione, però, il massimo dirigente si rimangiò la parola vendendolo al Torino e questo tradimento fece infuriare Mantovani, che decise di passare per protesta sull’altra sponda. Broker abilissimo, fece affari d’oro nel periodo della crisi petrolifera, lasciò la Cameli e fondò la Pontoil. Così poté assumere la presidenza della Samp. La prese in serie B e appena la portò in A acquistò Mancini, per 4 miliardi, una cifra molto elevata per quei tempi.
Vialli arrivò solo qualche anno dopo. Divennero subito grandi amici, anche se con i primi allenatori, Mancini non era proprio un titolare fisso. Ma poi Mantovani scelse quel volpone di Vujadin Boskov in panchina e la coppia Vialli Mancini divenne un sodalizio indivisibile anche sul campo. La Samp era una squadra di amici, che viveva un clima goliardico, un gruppo allegro sempre insieme in tutti i giorni della settimana, con le cene in pizzeria e nei ristoranti vista mare, fra scherzi, beffe e qualche burla pure ai giornalisti. La Juve, il Milan e l’Inter facevano carte false per prendere loro due assieme a Vierchowood. Una sera si radunarono tutti a cena con le rispettive mogli e fidanzate e Mancio si alzò e strinse un patto con i compagni: nessuno si sarebbe mosso da Genova finché non si fosse vinto lo scudetto. Come vent’anni prima per Gigi Riva, è la passione che li fa salire in cima al tetto. Sono le eccezioni del mondo (assieme al Verona costruito con gli scarti delle grandi). Solo che anche i sogni finiscono. Nel 92 Vialli andò via, dopo la finale di Coppa dei campioni persa ai supplementari contro il Barcellona. L’anno dopo, il 14 ottobre, si spense a Genova Paolo Mantovani, a soli 63 anni. Quella Sampdoria finì così.
Oggi, se quella storia non può più tornare, almeno quelli che l’avevano fatta però si possono ritrovare, con tutti i segni che ha lasciato il tempo che ha cambiato la nostra vita, gli acciacchi e le ferite, e la tristezza anche, che ci prende a voltarsi indietro. Non è ancora sicuro che Vialli sia nominato Capo delegazione della Nazionale. Ma noi vogliamo crederci. Il presidente della Figc Gabriele Gravina ha fatto la proposta all’ex attaccante di Samp, Juve e Chelsea e degli azzurri (59 presenze e 16 gol) e adesso si aspetta di capire se si realizzerà o no. Ci sono partite più importanti. «Non voglio morire prima dei miei genitori e prima di aver portato le mie figlie all’altare», ha detto Vialli. «Ma non ho ancora la certezza di come finirà la partita». Stiamo qui ad aspettare. Perché forse con lui potrebbe salvarsi anche un pezzo di noi, come una canzone che non hai dimenticato, una emozione che ti ha cresciuto. Un piccolo posto, anche per noi, in mezzo al mondo.