Juve determinata e Firenze capitale decaduta: ecco la vera storia del colpo Vlahovic
L'acquisto del bomber serbo non salva la Juve ma è l’unico modo per rimetterla in carreggiata dopo un mercato estivo sbagliato a parte Locatelli

Tutto comincia all’assemblea dei soci, quando qualcuno chiede ad Arrivabene se la Juve del nuovo corso farà ancora colpi come quello di De Ligt, giovane, forte, ma caro, carissimo. Arrivabene spiega che il mercato, così come il monte ingaggi, deve essere efficiente - usa proprio questa parola -, funzionale a un progetto che deve guardare ai bilanci, ma anche ai risultati, perché le due cose in una squadra di calcio sono strettamente collegate fra di loro. Traduzione: sì, se è un grande investimento, sul futuro ma anche per i conti. Basta con i campioni affermati che costano tanto e pesano troppo a bilancio, e non puoi più rivendere. Quelli come De Ligt ogni tanto si possono fare. Si badi bene, solo ogni tanto, perché adesso la musica è cambiata.
A parte Locatelli, mercato estivo sbagliato
Ecco Vlahovic è un colpo alla De Ligt, stesso valore, stessa cifra, quasi stessa età. Grande colpo, grandissimo. Non salva la Juve, perché per fare una squadra c’è bisogno del centrocampo e quel reparto ce l’ha sbagliato, ma è l’unico modo per rimetterla in carreggiata. Tutto chiaro, quindi? Possiamo scrivere che la Juve è tornata? Beh, non proprio. Con l’aumento del capitale, la società aveva stanziato 80 milioni per le prossime tre campagne acquisti. Cioè tutti i soldi che ha deciso di spendere in un colpo solo, ancora prima di giugno, in un mercato di riparazione dell’anno precedente. Questo significa semplicemente che è stata costretta a farlo. Ha dovuto andare a all in, perché quest’estate a parte Locatelli aveva sbagliato tutto, da Kaio Jorge a Kean, senza contare Ihattaren. E non è un caso che per farlo abbia quasi completamente bypassato la dirigenza sportiva. Perché l’unica cosa certa è che Vlahovic non l’ha trattato Cherubini.
La Fiorentina cede sempre al Juventus solo i suoi pezzi migliori
L’altro insostenibile mistero di tutta questa storia è la Fiorentina, cioé la società nemica giurata della Juventus, più di tutte, più dell’Inter, più della Roma e del Napoli, che coltiva i suoi giocatori allenandoli a questa rivalità e poi li vede andare a finire proprio lì. A Firenze non fanno solo goliardia, più o meno volgare, a Firenze ci credono proprio. Quella domenica che i viola ribaltarono la Juventus di Conte, passando dallo zero a due al quattro a due, ricordo scene di esultanza come se fosse finita la guerra e ricordo di aver visto con i miei occhi gente che fermava l’autobus per scendere ad abbracciare qualcuno che stava piangendo di gioia sulla strada, anche se non lo conosceva e non l’aveva mai visto prima. Il sentimento antijuventino è addirittura un sentimento di fratellanza. Eppure, alla resa dei conti, la Fiorentina non cede alla Juventus solo i suoi pezzi migliori, ma i propri figli, quelli che alleva da ragazzini, che sono cresciuti nel vivaio, sotto la curva Fiesole. Bernardeschi e Chiesa, ma anche Vlahovic, sono stati presi che avevano ancora i calzoni corti, ed è come se la Roma avesse visto Totti o De Rossi finire alla Juventus: impossibile. Se uno guarda la formazione bianconera, 5 su undici vengono dalla Fiorentina, cioé tutta l’ossatura della squadra: Chiellini, Cuadrado, Chiesa, Bernardeschi e prossimamente Vlahovic. Ora è vero che Chiellini c’era solo in prestito e gliel’aveva dato proprio la Juve. Ma tutti gli altri ci sono cresciuti con i viola.
Tutto ha avuto inizio con Baggio
Se è una strada tracciata dal destino, è davvero strana. E’ cominciata con Baggio, altro figliolo allevato e coccolato da Firenze, che lasciò l’Arno per il Po. La città esplose per quella cessione, ci furono tumulti di piazza, cariche della polizia, la palazzina dei Pontello in piazza Donatello presa d’assalto, ricordo falò lungo i viali, volti sanguinanti che uscivano da grandi nuvole di fumo, le sirene e le urla di una guerriglia. In strada non c’erano solo gli ultrà della curva. C’erano i fiorentini, che il giorno dopo occuparono Coverciano, dove c’era in ritiro la nazionale, e quando videro Schillaci che usciva dallo spogliatoio con un braccio sul collo di Baggio, scandirono tutti in coro «Non lo toccare, Baggio non lo toccare». Ma quel capitolo, allora la città non lo sapeva, timbrava l’inzio della decadenza. La Fiorentina che vinceva qualche scudetto e che ne aveva perso uno sul filo di lana pochi anni prima, scippato proprio dalla Juve, era finita. Non c’era più. E non sarebbe più tornata. Da quel momento diventò una squadra con ambizioni di mezza classifica, di vita tranquilla, l’ossimoro di una città che ha fatto la storia del mondo, non di un paese o di un periodo, ma proprio del mondo, come Roma, come Atene. Firenze nel calcio non è solo una capitale decaduta. E’ la storia di una sconfitta che la sua gente ha dovuto amaramente metabolizzare.
I viola "puniti dal sistema"
Alla fine la Fiorentina è diventata come l’Atalanta, come il Verona, squadre che possono sopravvivere soltanto vendendo agli altri le loro bellezze. E’ il sistema che li punisce. Bisognerebbe cambiarlo, ma dovrebbero farlo quelli che se ne avvantaggiano e non lo faranno mai. Con Baggio tutto questo era già cominciato perchè il Divin Codino - e il suo agente soprattutto, Caliendo - non ci pensavano minimamente a restare a Firenze. Volevano solo andare al Milan. Tutto il resto è retorica romantica, su cui qualcuno ha voluto costruirci una finzione, o un miraggio, per continuare a sognare una grandezza che non esiste più. D’altro canto Commisso prende 75 milioni da Vlahovic e compra Cabral per 14. Ma avrà sicuramente cercato qualcuno più forte come Scamacca, è che se arriva l’Inter Scamacca va all’Inter, non va alla Fiorentina. Dovremmo ridare potere alle società, alla loro bravura, ai loro vivai. Dovremmo ridare valore allo sport. Ma non funziona così. Ci conviene sognare qualche miliardario generoso che allarghi il potere anche a noi, come è successo in Inghilterra, che adesso non è più soltanto proprietà dei soliti noti. C’entra poco con lo sport. Ma anche il calcio ormai non c’entra più molto con lo sport.