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I due volti della Champions: la Juve ruba l'idea al Chelsea. L'arbitro la partita al Milan

Allegri ruba l’idea a Tuchel e gioca come hanno fatto i Blues in finale col Manchester City e vince. Con il fischietto Cunyet Cakir le italiane non vincono mai

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Chiesa decisivo con il Chelsea, la delusione dei giocatori del Milan dopo il rigore dell'Atletico (Ansa)
Chiesa decisivo con il Chelsea, la delusione dei giocatori del Milan dopo il rigore dell'Atletico (Ansa)

Chiamale se vuoi sorprese. Il Milan sembra fare un boccone solo dell’Atletico e poi perde. La Juve è nettamente più debole dei campioni d’Europa e vince. In realtà anche il calcio qualche volta ha una sua logica. Ai rossoneri ci pensa più l’arbitro che il "Cholo" Simeone, il signor Cunyet Cakir, uno non troppo fortunato con le italiane - mettiamola così -, visto che con lui per un motivo o per l’altro non vincono mai. Ai bianconeri ci pensa Allegri: ruba l’idea a Tuchel e gioca come ha fatto il Chelsea in finale col City, tutti dietro e rare, ma rapide sortite dal fortino. Il risultato è lo stesso: uno a zero per i più deboli. Poi stiamo a far peana che non si finisce più.

In realtà qualche semplice spiegazione c’è: il Chelsea è fuori forma, e lo si percepisce dal fatto che ai suoi uomini non riesce mai un dribbling in novanta minuti, e soprattutto gioca e vince sempre e soltanto in un modo, col contropiede, anche se con raffinata classe da spargere sul campo. Se gli impedisci di farlo va in difficoltà. E se poi la squadra è pure imballata viene fuori la partita di ieri. Bruttissima. Un solo tiro nello specchio della porta in tutto il match. Quello del gol di Chiesa. Il Chelsea mai una volta che sia una, e questo la dice tutta più di tante parole. Il risultato è giustissimo, senza ombre di dubbio. Tuchel, che qualcuno ha raccontato come il miglior allenatore del mondo (?), è un Inzaghi in formato europeo, che può permettersi Lukaku, Kanté, Thiago Silva, Havertz. Il sistema di gioco è lo stesso, quello del Chelsea ha solo un trequartista in più e una punta in meno. Lo stile pure. Per farlo bene devi avere i tuoi uomini al massimo che corrono come furie.

Se gli lasci campo, l’Inter è letale, così come lo era la Lazio. Se glielo chiudi, è bravissima e sorniona a cercarlo comunque. L’Inter di oggi non è ancora nel suo momento migliore. Però, in Europa, con il Real ha perso immeritatamente e con lo Shaktar ha sprecato troppo. Adesso i cronisti più dei risultati che dello sport stanno quasi tutti a farle il de profundis. Ma queste due partite hanno detto altro: che oggi come oggi l’Inter è più forte del Real Madrid, e che con lo Shaktar al ritorno avrà gli spazi che le servono per sistemare le cose. Resta lo Sheriff, che ha potuto giocare due partite in contropiede, ma che con Inzaghi se lo sogna. La logica dice che l’Inter è onestamente più forte e da qui in avanti potrebbe anche vincerle tutte. Dov’è il problema allora?

Chi veleggia sicura è l’Atalanta. Vince la sua partita contro gli svizzeri dello Young Boys di forza e di insistenza sfiancante, con un pressing feroce. Sulla sua strada resta il Manchester United che ha sofferto malamente il Villareal, per arraffare la partita all’ultimo minuto con Cristiano Ronaldo, che fino a quel momento aveva passeggiato per il campo da spettatore non pagante. E’ vero che ogni partita fa storia a sé - e perdonate la stupidità del luogo comune -, ma i nerazzurri possono giocarsela davvero contro questo Manchester.

Chi sta molto peggio è il Milan. Già ha il girone più difficile, se poi incontra sul suo cammino direttorri di gara come questo Cakir, la salita diventa troppo impervia. L’arbitro azzoppa la squadra di Pioli nel suo momento migliore, e dopo solo 30 minuti, con una decisione perlomeno esagerata, e allo scadere la abbatte definitivamente con un rigore ineccepibile se non restasse il dubbio che il primo a toccare la sfera con la mano sia stato il giocatore dell’Atletico. Si può assegnare un penalty così? Forse sì, perché il gesto di Kalulu sembra quasi volontario mentre quello di Lemar non è certo. Ma l’espulsione di Kessie è una vera e propria ingiustizia ed è quella che cambia il volto del match. Fino a quel momento il Milan si era installato nella metà campo dell’Atletico, permettendo agli spagnoli solo sporadiche sortite senza pretese, dai ritmi troppo lenti. E’ la corsa che distanzia le due squadre. I cochoneros sono macchinosi e persino fiacchi, e lo resteranno anche per il resto del match, in undici contro dieci, senza creare troppi pericoli. I rossoneri sono aggressivi, arrivano prima su tutte le palle, con Diaz superbo fra le linee a ricamare gioco aprendo allettanti varchi ai compagni. E’ suo l’assist per il gol di Leao. Sono loro gli uomini migliori, assieme a Tumori. E sono sempre loro che stanno facendo salire di livello il Milan rispetto all’anno scorso.

E la Juve. In campionato è un disastro. In Europa sembra di no. In realtà, contro il Chelsea risolve il suo problema endemico del centrocampo, nell’unico modo possibile, visto che non hai un incontrista buono che sia uno, e cioé costruendo un catenaccio antico, con il suo uomo di maggior classe in quella zona, Locatelli, rinserrato lì dietro solo a morder caviglie e recuperar palloni. Allegri non ama la difesa a tre, che piace ai veri catenacciari (Conte, Mazzarri, Ballardini), e comincia schierato a 4, con un prudente 4-3-3, per rendersi conto dopo pochi minuti che è meglio mettersi a specchio e chiudersi bene. Il suo 3-5-2 diventa un 5-3-1-1, con solo Chiesa in avanti e Bernardeschi che dovrebbe fare il trequartista ma che si sacrifica in copertura. Però l’unico tiro in porta di tutta la partita è della Juve all’inizio del secondo tempo. Lancio lungo, filtrante delizioso di Bernardeschi e fulmine Chiesa. Il Chelsea a far la partita arranca. La Juve si dimentica dei 9 scudetti consecutivi, di Cr7, della Superleague, e di tutta la spocchia dei dominatori. Si ritrova umile a far la trincea, e così può fare a meno anche del centrocampo che è la sua dannazione. La domanda è: se ha risolto così il problema, può ripetere questo modulo anche in campionato? La risposta è categorica: no. Perché non c’è chi glielo lascerebbe fare. Oneri e onori: qui tocca a te. Per rubare l’idea giusta, ci vuole l’occasione buona. Furbizia e concretezza. Tipo Pesaola, il Petisso, che in un altro mondo e in un altro calcio portò la Fiorentina allo scudetto. Prima di una partita decisiva promise ai cronisti che avrebbero visto la sua squadra giocare all’arrembaggio: «Anche se ci basta un pareggio, vogliamo vincerla». Poi giocò 90 minuti chiuso in area a buttar la palla in tribuna. E alla fine i giornalisti glielo rinfacciarono: Ma lei non aveva promesso di attaccare? E lui: «Ah! Mi hanno rubato l’idea».

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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