Il capolavoro del Dottor Ancelotti, la legge del più forte e gli italiani del Real Madrid
Il mestiere, la strategia, saper aspettare e colpire al momento giusto. Quindicesimo trofeo per i blancos, ma i tedeschi sbagliano troppe palle gol

Qualcuno aveva dei dubbi? Forse solo Terzic. Lui magari ci sperava davvero di poter sovvertire tutti i pronostici e ribaltare il corso delle cose, che quando si tratta del Real e della Champions sembra un libro con il finale già scritto. Ne sa qualcosa anche Ceferin, che tutte le volte è costretto a consegnare la Coppa dalle grandi orecchie all’odiato nemico. Sotto il cielo di Wembley il Real fa 15 e Ancelotti 5 (da allenatore, tre coi blancos e due col Milan, poi ce ne sarebbero altre due da giocatore). Il segreto? Il più semplice del mondo: i giocatori. Se hai i più forti, non c’è bisogno di dannarsi l’anima, di inventarsi chissà che cosa o studiare chissà quale sorpresa. Basta aspettare, come faceva Zidane, come fa Carletto. Poi ci pensano loro. In fondo è quello che accaduto nella notte di Londra, con il Borussia che ha dominato tutto il primo tempo, sfiorando il gol in almeno cinque occasioni, contro nessuna dall’altra parte. Poi nell’intervallo non c’è stato nemmeno bisogno di tante parole. Bene, adesso possiamo andare a vincere, ha detto Ancelotti. E i blancos sono tornati in campo per rimettere a posto le cose. Stavolta le occasioni le hanno avute quasi tutte loro. Ma a differenza del Borussia non le hanno buttate via tutte. Anche questo è un particolare che fa la differenza. I giocatori forti non sbagliano sempre. Sono quelli che non perdonano. Due a zero, così.
Obiettivo: numero sedici
Il Real ha fatto quindici. E adesso si guarda avanti. Si prepara già la sedici. L’ha detto Florentino Perez, subito dopo aver sollevato al cielo quello che è un po’ il simbolo della Casa Madre, mentre dichiarava che «sia Ancelotti che noi siamo indentificati con questa Coppa. Ma da questo momento noi stiamo già lavorando per vincerla insieme il prossimo anno». E l’ha confermato Carletto: «Sì sono felice, vivo per vivere serate come questa. Ma ora pensiamo alla sedici». Di sicuro non sarà un’impresa impossibile. A Bellingham e alle altre stelle Florentino da quest’estate ci aggiunge il carico da novanta, con Mbappé. Uno squadrone con un attacco esplosivo. E vecchi marpioni in difesa, che poi tolgono le castagne dal fuoco, come è successo a Wembley con Caravajal, che ha aperto le danze verso il trionfo con la sua incornata su calcio d’angolo. Certo se il Borussia fosse riuscito a concretizzare almeno una delle numerose occasioni da gol create nel primo tempo, forse staremmo a parlare di un altro risultato.
Se sprechi poi vieni punito
La cronaca per 45 minuti era tinta solo di giallo: Caravajal che salva su Adeyemi, a porta vuota, palo di Fulkrug e poi come contro il Liverpool, una di quelle finali vinte per sovrano diritto senza averla troppo meritata, il solito Courtois, il più bravo del mondo tra i pali, che chiude la porta a tutti, con due paratone, una sul contropiede di Adeyemi e l’altra su Sabitzer, sventola dal limite. Più un’altra ripartenza di Adeyemi che è scivolata fuori a un centimetro dal palo. Dall’altra parte niente. Ma quando sono ritornati in campo dopo l’intervallo, i giocatori del Borussia hanno cominciato a sentire la stanchezza. Quelli del Real no. Perché l’altro segreto dei blancos è un altro italiano, il miglior preparatore atletico del mondo, Antonio Pintus, da Torino. E così basta aspettare. E poi la legge del più forte colpisce. Inesorabile. Come il potere.