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Champions, i pareggi di Lazio e Milan. Provedel segna, Leao spreca

Non comincia sotto una buona stella la nostra Champions. Lo zero a zero del Milan, contro un Newcastle bombardato per tutta la partita, è figlio solo dei capricci del calcio. Ed è più pericoloso il suo pareggio di quello della Lazio agguantato all’ultimo secondo dal portiere

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

San Provedel ci ha salvato la faccia. Ma non comincia sotto una buona stella la nostra Champions. Lo zero a zero del Milan, contro un Newcastle bombardato per tutta la partita e apparso solo al novantesimo con un tiro da fuori area, è figlio solo dei capricci del calcio, uno sport dove la sfortuna è spesso complice deli errori. Per assurdo, in prospettiva, è più pericoloso il suo pareggio di quello della Lazio agguantato all’ultimo secondo con Provedel, incuneatosi nell’affollatissima area dell’Atletico come un consumato centravanti per infilare di testa la porta di Oblak. Fino a quel momento l’arrembaggio della Lazio contro la munita difesa dei colchoneros aveva prodotto poco o niente. Gli avversari di Sarri per centrare gli ottavi, però, sono Feyenoord e Celtic, e lì non dovrà lasciare punti, perché sarebbero ferite sanguinanti. Nei calcoli della vigilia, per quel che valgono, all’Atletico il primo posto era dato quasi per scontato. E adesso magari ci ha messo già quasi le mani sopra.

Il pareggio del Milan contro un modesto Newcastle, invece, complica molto di più il cammino di Pioli. I rossoneri hanno giocato bene, e hanno creato tanto, tantissimo, ma hanno sprecato ancora di più. Il Milan non aveva un cliente facile, ma a dire il vero non ce n’è nessuno nel suo girone che fa dormire sonni tranquilli. Veniva da una scoppola di quelle che ti possono far perdere la testa. Come l’anno scorso, per ritornare a galla Pioli aveva scelto il ritorno a un modulo più prudente, con i terzini bloccati dietro senza troppa libertà di offendere e la difesa protetta da Krunic, piazzato a uomo su Tonali, e Pobega. Però già subito nei primi venti minuti s’era capito che era un aaltro Milan, che l’Inter era un capitolo bell’e dimenticato, cinque grandi occasioni da gol nell’area del Newcastle, e un bombardamento continuo al povero Pope che si esibiva, sgraziato e scomposto, in parate miracolose e deviazioni rabberciate con i piedi e le mani che si muovevano come mossi dai fili di un burattinaio.

In quell’ordalia, Giroud e compagni ci avevano messo del loro per mangiarsi gol facilissimi, ma così incredibili - almeno due - da evocare quasi per forza quei molesti luoghi comuni sul dio pallone, che se sbagli troppo la legge del calcio ti unisce senza appello. A simboleggiare quello spreco esagerato, rimaneva nella testa un’azione travolgente di Leao che si mangiava mezza squadra e quando era arrivato solo davanti al portiere e bastava buttarla dentro aveva pensato bene di fare il figo inventandosi un colpo di tacco, col risultato di incespicare e cadere per terra come in una barzelletta. Il primo tempo era stato quasi un monito, perché il dio pallone sarà anche una boiata ma non si può buttare al vento tante ccasioni così. Una sola squadra in campo, almeno dieci tiri in porta del Milan e nessuno del Newcastle.

E il secondo tempo era cominciato sulla scia del primo, stesso copione, stesso mare e stessa spiaggia. Con una piccola differenza però, che il Newcastle aveva deciso di provare un atteggiamento più offensivo, senza cambiare in realtà il corso delle cose, visto che sul tabellino continuavano solo a crescere a dismisura le grandi occasioni sprecate dai rossoneri, Reijnders, Pulisic, Theo e soprattutto Leao, in tuffo plastico a due metri dalla porta, alto sulla traversa. Nelle insondabili curiosità del calcio, i Magpies avevano avuto l’anno scorso la difesa meno battuta della Premier League. A giudicare da questa partita, chissà quanto aveva contato la fortuna. Che non è stata proprio amica del Milan, in tutti i sensi. Alla fine Pioli ha dovuto pure fare i conti con gli infortunati, Maignan, Loftus Cheek e forse pure Theo Hernandez, che ha chiuso zoppicando. Risultato bugiardo. A dimostrazione che a volte non basta giocare bene. Aiuta, ma non basta. Ci vuole anche il vento buono.

Se il Newcastle alla resa dei conti è sembrato un avversario molto al di sotto delle aspettative, squadra mediocre e senza grande fantasia che fa della sua disciplina l’unica virtù, la Lazio non aveva molte speranze di trovarsi un avversario meno difficile del previsto. L’Atletico è da anni che calca i sentieri della Champions, cambiando qualche risultato, a volte sfiorando pure la vittoria finale, ma mai fisionomia. Sarri, a rimorchio di un avvio di campionato balbettante, s’è ritrovato di fronte il Cholo, il tecnico più vicino per idee e sistemi a Allegri e Mourinho, due con cui non è mai andato troppo d’amore e d’accordo e che qualche volta gli hanno pure fatto vedere i sorci verdi. Schierati con cinque difensori e tre centrocampisti, i colchoneros avevano da subito lasciato campo alla Lazio per trovare spazi alle sue spalle: cioé quello che fanno da sempre sotto la guida di Simeone.

Ne è nata una partita dai ritmi improvvisi, intasata per lunghi tratti negli ingorghi delle zolle di terreno protette dagli spagnoli. In quelle mischie, il gol poteva venire o da una magia di una delle sue stelle, come quella provata in giravolta da Luis Alberto al 27’ che mandava la palla a lambire il palo, o con un rimpallo e la botta di fortuna come l’autogol di Kamada sul destro di Barrios che ha spiazzato Provedel alla mezzora. L’Atletico è questa roba qui, lo sappiamo, l’esaltazione dell’Allegri d’antan, baricentro basso e le sue massime derisorie, sul calcio che è semplice e gli episodi che decidono le partite. Non conta che adesso il Max le abbia un po’ rivedute. Simeone è da 13 anni che viaggia così con i Colchoneros e li ha portati pure lontano.

Dopo il gol ha intasato ancora di più tutte le linee di passaggio, Griezman è retrocesso a fare il terzino quasi in pianta stabile e appena poteva pure Morata faceva il centrale nella sua area. In quei pochi metri trafficatissimi, la Lazio si perdeva nelle sue ragnatele di passaggi senza trovare verticalità. L’unica vera occasione da gol, nasceva al 10’ della ripresa da un errore di Oblak che serviva Felipe Anderson: palla a Immobile, tutto solo, che tirava scelleratamente in bocca al portiere. In compenso, l’Atletico appena si affacciava in avanti, centrava un palo con la solita deviazione di Romagnoli sul tiro di Morata e impegnava Provedel di nuovo con l’ex juventino. Al 25’ era ancora il portiere della Lazio a salvare baracca e burattini sulla botta da distanza ravvicinata di Lino. Sembra tutto finito, l’arrembaggio produce una parata di Oblak su sventola di Cataldi, ma poco altro. Fino all’ultimo minuto. Quando arriva san Provedel.

 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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