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La finale di Champions conquistata dal Chelsea piace all’Uefa che prepara la sua vendetta

Gli inglesi battono il Real Madrid. I titolo se lo giocheranno con l’altra squadra inglese, il Manchester City

La seconda rete del Chelsea
La seconda rete del Chelsea contro il Real Madrid (Foto Ansa)
di Pierangelo Sapegno

Chelsea e Manchester City è di sicuro la finale più gradita all’Uefa. E’ anche quella più giusta, come da sentenza inesorabile, senza appelli di sorta, timbrata nelle gare di ritorno, che si sono chiuse con lo stesso impietoso risultato di due a zero. Allo Stamford Bridge è andata in scena la resa del Real Madrid, ammessa dallo stesso Zidane che non si è sentito umiliato nel dover ripetere lo stesso concetto a ogni domanda: «Loro sono stati più forti in tutt’e due le gare, i miei giocatori, di più non potevano fare, hanno vinto i più bravi».

La finale del Chelsea piace all’Uefa 

La indiscussa vittoria dei blues dev’essere stata accolta con grande soddisfazione dall’Uefa, che, stando alle voci provenienti chissà perché dall’America, sta cercando in tutti i modi di rendere infinita e senza ritorno la guerra delle 48 ore con i club della Superlega. Secondo le informazioni assai attendibili lanciate dal network statunitense Espn, le società che non vogliono accantonare del tutto quel progetto saranno escluse per due anni dalle Coppe Europee. Le irriducibili sono Juventus, Milan, Real e Barcellona. Più l’Inter che però negli ultimi giorni si starebbe spargendo il capo di cenere mettendosi d’accordo con l’Uefa. Inutile sottolineare come una sanzione del genere andrebbe contro lo spirito con il quale è stata vinta la battaglia delle 48 ore, quello incarnato dalle squadre con i suoi tifosi, il merito e la passione e tutte queste belle cose, perché al posto di punire i dirigenti si condannano i club con tutti i loro sostenitori. Una pena così severa o è inutile e dannosa come il trattato di Versailles, oppure condanna Perez e gli altri a far di tutto per realizzare davvero la Superlega.

La logica del calcio

A questo punto è evidente come la vittoria dei blues abbia tolto d’impiccio Ceferin, già sull’orlo di una crisi di nervi, perché sarebbe stato ancora più scandaloso cacciar fuori dall’Europa la possibile vincitrice della Champions League. Ma ogni tanto il calcio ha una sua logica, e i più bravi sono quelli che arrivano in fondo. Certo è che i tecnici più moderni, quelli più attenti a un’evoluzione del gioco anche in termini di spettacolo oltre che di rendimento, sono quelli che si stanno disputando le ultime finali di Champions: Flick, Tuchel, Guardiola, Klopp. Difese molto aggressive e mentalità offensive.

Il catenaccio

In Italia non funziona proprio così: solo Sarri, Italiano e Gasperini e forse De Zerbi predicano un gioco simile, e se togli loro le nostre partite sono molto più lente e noiose. In Europa il ritmo e la velocità elevata rendono il nostro catenaccio un sistema che funziona bene solo da noi. In ogni caso il 29 maggio andrà in scena una sfida fra due idee di gioco molto simili, perché Guardiola ha ormai lasciato alle spalle il tiki taka, cercando azioni più verticali, contropiede e fuorigioco, tutti concetti che erano come bestemmie all’epoca del Barcellona. Per Pep sarà la terza finale: le altre due le ha vinte, e se vale la regola del non c’è due senza tre, ci potrebbe contare. Ma sarà anche la terza finale di seguito con un tecnico tedesco che potrebbe vincere, per la stessa regola: Klopp e Flick, e ora Tuchel.

Nuovi e vecci allenatori

Nuovi allenatori crescono. Da noi invece torna Mourinho. Un grande. Uno che ha vinto tutto e ha vinto molto, e nel 2017 ha alzato la sua ultima coppa Uefa con il Manchester United. Ma che ha anche collezionato licenziamenti in serie dopo i tempi ormai lontani del triplete. Dal punto di vista mediatico e di immagine è un colpo eccezionale. Mourinho non è solo uno dei tecnici più vincenti del panorama internazionale, è anche un grande trascinatore, un uomo dal carisma eccezionale che riesce a impadronirsi dell’anima dei suoi giocatori. «Per lui sarei pronto a uccidere», disse Ibra nel suo anno insieme all’Inter. Roma è in visibilio, cori, clacson e cortei. Solo er pupone li ha resi così felici. Eppure io vado controcorrente, e sono un po’ più prudente.

La Roma di Helenio Herrera

C’era un’altra Roma che si era affidata al più grande allenatore della sua epoca, accendendo entusiasmi e passioni. Anche lui era stato all’Inter e anche lui aveva vinto tutto. Quando Helenio Herrera arrivò su questa panchina, in curva si cantava «Forza Roma forza lupi, so’ finiti i tempi cupi» e dopo si continuava a cantare «so’ tornati quelli boni, co’ Pierino e co’ Spadoni». Pierino era Pierino Prati. Spadoni era un centravanti romagnolo che si ricordano solo i tifosi romanisti. Herrera non fece niente alla Roma, perché i miracoli li faceva solo uno che poi è morto sulla croce. E il vero mago comunque arrivò solo qualche anno dopo e parlava uno strano italiano da turista svedese.

L'arrivo di Mourinho

Confesso di aver paura che Mourinho sia un po’ come Herrera, un grande nome che ha già fatto la sua storia. Spero di no, e me lo auguro anche per il calcio italiano. E’ in ogni caso una grande ventata di immagine che fa bene a tutto il nostro sistema. I dubbi vengono solo dal fatto che lui non ha cambiato molto i suoi schemi, che non si è innovato granché. In Inghilterra il suo calcio è stato affossato dai ritmi imposti dai tecnici emergenti della nouvelle vague, così come in Spagna aveva patito il Barcellona. Però è uno così capace di conquistare la sua truppa - tipo Conte, per intenderci - che può anche essere in grado di fare cose eccezionali. Non è più Special One. Al Tottenham s’è presentato come Special Humble. Ma con le parole nessuno è bravo come lui. Basta solo non fargli vedere Arsene Wenger: «Se lo incontro fuori dallo stadio gli spacco la faccia», sbottò una volta a chiosa di una di quelle polemiche che fa solo lui. Pane per i suoi denti.

6 maggio 2021
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