Inzaghi continua a pensare in grande. Anche l'Atletico s'inchina al suo contropiede
A decidere la partita un gol di Arnautovic. Uno a zero quindi, ma può bastare in questa strepitosa stagione dei nerazzurri, che hanno già deciso il campionato a metà febbraio.
Il bottino può sembrare piccolo, un gol di vantaggio sudato il giusto. Ma a riflettere bene su quel che è successo nei novanta minuti di San Siro è il contropiede dell’Inter che ha fatto la differenza e deciso la partita, il sistema di gioco cioé che Inzaghi saprà sfruttare al meglio nell’infuocato Metropolitano di Madrid. Certo, Two is megl’ che uàn, come recitava quella pubblicità. Però, siamo sinceri, è vero che l’Inter ha sofferto per lunghi tratti la pressione dei cochoneros sui suoi centrocampisti e le marcature a uomo su Calhanoglu e Mkhitaryan, quasi scomparsi dal campo, ma alla resa dei conti quasi tutte le occasioni da gol segnate sul taccuino portano la firma dei nerazzurri.
Il gol di Arnautovic
Almeno cinque, forse sei, due addirittura clamorose sprecate da Arnautovic, che poi è stato l’uomo che ha messo il sigillo sulla sfida. Sommer, dall’altra parte, neanche una parata. Uno a zero quindi, ma può bastare in questa strepitosa stagione dei nerazzurri, che hanno già deciso il campionato a metà febbraio. Ora che Inzaghi comincia a far capire che non è più solo l’uomo delle Coppe, ma uno dei migliori tecnici d’Europa, verrebbe da chiedere un commento a tutti quelli che l’anno scorso volevano mandarlo via a calci nel sedere, tifosi e non solo, purtroppo. Anche ad Arrigo Sacchi, fra i meno critici, che però l’ha sempre rimproverato di non osare. In realtà, Mister Mi Spiaze ha costruito una squadra con un centrocampo molto costruttivo, che cerca l’equilibrio non per pensare solo a non prenderle, ma per cercarsi gli spazi, per inventarsi quello che Guardiola sosteneva essere il suo vero centravanti. Lo spazio, appunto.
Il nuovo modulo dell'Atletico
Può darsi che il cholismo abbia cambiato veste, che l’Atletico brutto sporco e cattivo che giocava stretto preoccupandosi di chiudere tutte le linee di passaggio sia solo un ricordo da conservare negli album della memoria, e che il nuovo modulo di quest’anno, il 352, non sia un 532 di stile mazzarriano o allegriano, votato solo a non prender gol, ma uno schema che prevede uno spirito molto più offensivo. A conferma di tutto ciò, i cochoneros segnano molti più gol di prima, anche se ne subiscono altrettanti di più. Certo è che Simeone è sceso in campo schierando come quinto a destra Lino, che è all’origine un’ala destra guizzante e veloce e che nel Valencia faceva l’attaccante puro, e in difesa Witsel, un centrocampista retrocesso nel tridente arretrato con Gimenez e Hermoso, per accentuare l’impostazione da dietro. A leggere la formazione, l’Atletico non sembrava davvero venuto a San Siro per cercare di bloccare la partita a reti inviolate. Poi in realtà nello sviluppo del match, i cochoneros si sono chiusi a cinque dietro quando i nerazzurri avanzavano, facendo molta pressione a centrocampo, con un occhio di riguardo per Mkhitaryan e Calhanoglu, così da rendere complicata la costruzione offensiva dell’Inter.
A Sans Siro una sfida molto tecnica
Ne è venuta fuori una sfida molto tecnica e bloccata fra due squadre schierate a specchio, uomo su uomo in tutte le zone del campo, poco propense a concedere qualcosa allo spettacolo. La differenza sta nel contropiede: quando è riuscito a trovarlo, l’Inter è sembrata più veloce e decisa degli avversari, che invece hanno preferito portare avanti più uomini rallentando l’azione. Non è un caso che l’occasione più pericolosa del primo tempo sia capitata proprio su una ripartenza a campo aperto della coppia Thuram Lautaro, con l’argentino che ha sprecato malamente sbucciando quasi il pallone. Per questo motivo, a Inzaghi dev’essere apparso più opportuno consigliare ai suoi che la soluzione migliore fosse forse quella di stare dietro ad aspettare l’Atletico, creandosi gli spazi giusti per colpire.
L’infortunio di Thuram
A scombussolare i piani dei nerazzurri è arrivato poi alla fine del primo tempo l’infortunio di Thuram, fino a quel momento fra i migliori in campo, elemento indispensabile nella velenosa coppia d’attacco interista, capace di legare i reparti come pochi facilitando i movimenti di Lautaro. Ci ha pensato pure Arnautovic di suo a farlo rimpiangere, ce ne fosse stato bisogno, sprecando in curva due palloni d’oro spediti letteralmente in curva. Solo che il calcio non finiremo mai di decifrarlo abbastanza, non fai tempo a capire una cosa che ti smentisce. E quando mancano dieci minuti alla fine è proprio Arnautovic a sbloccare la partita. Su contropiede, questo almeno secondo logica. Errore a centrocampo dei cochoneros con Lautaro che s’invola da solo tirando però addosso a Oblak. Ed è su quella ribattuta, su quel pallone vagante che nella roulette del destino ci capita l’uomo che dopo i suoi errori se ne andava come un disperato per il prato di San Siro ciondolando col capo con le mani nei capelli per chiedere scusa a tutti. E stavolta non sbaglia. E piange e ringrazia il cielo. Vallo a capire il calcio.