A tutto Gasp: come Riva a Cagliari e Bagnoli a Verona, anche Bergamo ha il suo cavaliere
Un signore che ha costruito il suo successo con la sfrontatezza degli incoscienti, a dispetto di tutte le previsioni, ci riprova. E contro la regina degli ultimi 10 anni, contro tutti i pronostici, potrebbe anche riuscirci
E così il Gasp ci riprova. Tocca all’Atalanta sfidare la Juve nella finale del 19 maggio. Quasi 60 anni fa un ragazzone dinoccolato che si chiamava Domenghini aveva alzato al cielo di Milano l’unica Coppa Italia vinta dai bergamaschi. Era il 1963, e avevano sconfitto il Torino in finale. Quando ci hanno riprovato, con il Gasp, sono stati battuti dalla Lazio, Olimpico, 2019, ultima stagione normale dell’era moderna. Ma adesso sono di nuovo qui, contro la regina italiana degli ultimi dieci anni, contro tutti i pronostici e le polemiche, in mezzo a una favola incredibile che aspetta solo un sigillo per essere scritta negli annali, come quelle del Cagliari, del Verona, della Sampdoria, tutte le cenerentole salite nell’Olimpo, per quella strana magia che scende ogni tanto sui percorsi incomprensibili del calcio. C’è sempre un cavaliere in queste storie, con il suo cavallo bianco. A Cagliari, Gigi Riva. A Verona, Bagnoli. E a Genova Mantovani. Anche a Bergamo ce n’è uno, indiscutibile: Gasperini Gian Piero da Grugliasco, un signore che ha costruito il suo successo con la sfrontatezza degli incoscienti, a dispetto di tutte le previsioni, di tutte le voci e di tutte le lezioni che continuiamo a dargli, anche noi, con la nostra insopportabile saccenza. Perché a fine dicembre, appena prima di Natale, i giornali scrivevano che le dimissioni di Gasp erano quasi certe, o il suo esonero addirittura, e che su stanleybet.it la fine del matrimonio con l’Atalanta era data a 1,20, cioé quasi certa.
Qualcosa è cambiato
Invece, lui e la sua truppa sono ancora qui. Non c’è più Gomez, uno dei capitani di questo miracolo. E se vincono una delle loro partite storiche, com’è successo l’altra sera con il Napoli, Gasp non ride più correndo verso i suoi giocatori. Sorride solo, a se stesso, strette di mano e niente abbracci. Qualcosa è cambiato, dopo quell’intervallo della sfida contro il Midtjylland, quando lui e Gomez ebbero un litigio così violento da arrivare persino a mettersi le mani addosso, forse, e fra i due intervenne Ilic, ma per difendere il compagno, non Gasp. Solo che l’Atalanta, questa Atalanta, è il Gasp, e senza di lui, il suo coraggio, le sue idee, non esisterebbe.
Quei giocatori li ha inventati lui
La società è grande, ottima, solida, tutto vero, ha i bilanci sani, in quattro anni ha ceduto giocatori per 300 milioni ed è rimasta sempre al vertice. Ma quei giocatori li ha tutti inventati lui, a partire da quella domenica d’autunno in cui rischiava l’esonero e arrivava il Napoli di Sarri a Bergamo, e schierò per la prima volta, tutti insieme, dei ragazzini esordienti, con più panchine che presenze anche in serie B, Mattia Caldara, 22 anni, ex difensore a Trapani e Cesena, Roberto Gagliardini, 22 anni, ex Cesena, Spezia e Vicenza, Andrea Petagna, 21 anni, ex Latina, Vicenza, Ascoli, e Andrea Conti, 22, ex Virtus Lanciano. Gli davano tutti del matto. Però il Gasp vinse, e cominciò la sua corsa. Tutti stravenduti quei ragazzini. Per uno di loro, Conti, assieme ai soldi, chiesero in cambio anche un ragazzino della Primavera del Milan, Pessina. Quello che ha preso il posto di Gomez, centrocampista di inserimento che adesso finirà in Nazionale e che l’altro ieri ha deciso la partita con il Napoli, segnando due gol.
Prima o poi vincerà qualcosa
Prima o poi vincerà qualcosa. E forse sarà questa Coppa Italia, glielo auguriamo davvero. Deve vincerla, e in fretta. Perché i sogni finiscono, e qualche volta anche i matrimoni. E c’è una sua frase di pochi giorni fa che lascia pensare: «Spero di andare via un giorno prima, piuttosto che un giorno dopo». Oggi non direbbe più di no alla Roma, com’era capitato quando vinse la voce del cuore e gli si strinsero tutti attorno, da Percassi ai suoi ragazzi, a Gomez e Ilic, oggi non sarebbe più come allora. Eppure la magia non è ancora finita e alle porte c’è il Real Madrid per continuare il cammino in Champions e questa finale. Dall’altra parte ci sarà la Juventus, che ha eliminato l’Inter al termine di una partita in cui non si è parlato di calcio, ma di baruffe.
Una figuraccia
Quella fra Agnelli e Conte è stata una figuraccia, ed è sinceramente incomprensibile come ci sia ancora qualcuno (quasi tutti, purtroppo, a seconda del tifo) che cerca di giustificare uno dei due, a farci due palle così su chi ha cominciato prima o su idiozie del genere che Conte era arrabbiato perché la Juve vuole Barella. Certo, presidenti con la signorilità di Dino Viola non esistono più. Ma, se vogliono proprio sfogarsi fra di loro, visto che sono fatti così, chiediamo almeno che lo facciano in privato senza essere costretti a sorbirci liti, insulti, e di seguito tutti i viziosi commenti dei guardoni di penna e di video, di cui sinceramente non ce ne può fregare di meno. Che si azzuffino pure, e che si facciano anche male. Ma lontano da noi e dai nostri sguardi, che non c’entriamo niente.
Il campionato è un'altra cosa
La partita invece ha detto che magari solo in Coppa Italia, dopo una sconfitta netta e una vittoria fortunosa, la Juve sembra tornata sopra l’Inter, costringendola a fare una cosa che non sa fare: attaccare senza contropiede. In novanta minuti Buffon non ha fatto una parata, e gli unici grandi interventi li ha fatti Handanovic. Significa che se ti chiudi dietro, Conte va in crisi. Non è un bel segnale. Per fortuna dei nerazzurri, il campionato è un’altra cosa, e solo le piccole e le più scarse possono giocare per fare zero a zero. Lo scudetto rimane l’unico obiettivo dell’Inter. Difficilmente Conte se lo lascerà scappare. Sarebbe un disastro. E non vogliamo neanche immaginare che cosa potrebbe succedere...