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Un po' di sfortuna e una papera: Fiorentina fuori e una buona Juve in finale

A Torino è andata alla fine come doveva andare, presi nei singoli uno per uno, la Juve è nettamente più forte. I viola hanno avuto il 68 per cento di possesso palla, i bianconeri hanno fatto due gol.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

Un autogol rocambolesco all’andata, una papera al ritorno. Può anche darsi che ci sia una logica nella casualità degli episodi che decidono le partite, ma valla a spiegare a quelli che perdono. Gli episodi hanno inciso moltissimo nella doppia sfida fra Juventus e Fiorentina, perchè poi allo Stadium i viola sono stati costretti a buttarsi in avanti e i padroni di casa a far la partita che il loro mister vorrebbe fare sempre, ma che non può fare quasi mai. Però, se all’andata non è che Allegri potesse vantarsi troppo di un successo regalato da un colpo di biliardo degli avversari - sponda, doppio angolo, palla in buca e punto per te, mentre tu stavi solo a guardare -, a Torino è andata alla fine come doveva andare. Presi nei singoli uno per uno, la Juventus è nettamente più forte della Fiorentina.

Come squadra è un altro discorso, perché i singoli devono sapersi amalgamare bene, e non sempre capita. Il nocciolo della questione è Rabiot, che se ti capita di vederlo come ieri sera pensi che sia uno dei più forti centrocampisti al mondo, una sorta di Tardelli con ancora più fisico, bravo in tutte le fasi, e capace di ribaltare azioni coast to coast come un corsiero da sfondamento. Solo che gli succede due volte all’anno, e in questa stagione ci spiace segnalarlo alla Juve, ma sembra aver già dato, contro l’Inter e adesso con la Fiorentina. Nelle altre occasioni, si aggira distrattamente in mezzo a un campo di calcio, come un intruso capitato lì per caso, e quando deve partire per le sue sgroppate non sa bene dove andare, con quel che ne consegue: il più delle volte tende a sfracellarsi contro un muro. Siccome ieri era una delle due giornate, il centrocampo della Juve era improvvisamente una cosa seria, che non faceva per niente ridere, confortato anche dall’assenza del suo passeggiatore orizzontale, il brasiliano Arthur.

Difficile capire se anche queste due coincidenze vanno annoverate nella casistica degli episodi che decidono una partita. Un po’ più facile intuire quel che potrebbe riservare la serata quando dopo appena 4 minuti, Torreira approfitta di una incertezza di Perin e deposita la palla in rete, anzi no, perché proprio sulla linea riesce miracolosamente a intercettare Cabral, che poi sarebbe anche il centravanti della Fiorentina. Nelle leggi kafkiane della vita, il suo intervento viene pure punito perché in netta posizione di fuorigioco. Cose così non capitano mai. Ma quando capitano dev’essere già tutto scritto.

Eppure poche volte abbiamo visto un Allegri così ingrugnito per tutto il tempo, e soprattutto dopo, quando il pericolo era passato, ma qualche sassolino gli era rimasto ancora nelle scarpe. Che non sia a rischio per la prossima stagione e pure per le altre due a seguire, nonostante le voci fantasiose che si rincorrono nelle tv e sui social, lo dicono la logica e - soprattutto - il suo contratto ultrablindato, ma certo è che allo Stadium si giocava il suo prestigio e il suo orgoglio. E’ stata una Juve comunque molto diversa da quella del campionato, parecchio più attenta e anche più propositiva. E’ vero che per lunghi tratti di partita abbiamo visto dieci maglie bianconere strette nella propria area, però questa volta appena poteva cercava sempre di ribaltare l’azione. E’ una differenza sostanziale.

A volte basta un uomo, questo Rabiot, per cambiare il volto di una squadra. E’ quel che succede all’Inter: con Brozovic è una cosa, senza un’altra (e lo dicono anche i risultati). Non è un caso che il centrocampista dell’Inter sia il giocatore che percorre più chilometri a partita (andando a memoria, circa 11,6) e che per trovare il primo della Juventus bisogna scendere fino al trentaseiesimo posto, dove si trova Locatelli. Come non è un caso che sia l’Inter la squadra che comanda questa classifica e che in Europa lo speed training sia diventata una voce molto importante degli allenamenti: chi corre di più, ha più probabilità di vincere. La Fiorentina dell’inizio partita e di buona parte del secondo tempo ha impostato l’incontro sul ritmo e in parecchie occasioni ha messo in difficoltà la Juventus. Perin ha fatto tre parate decisive e alla sua papera ha rimediato Cabral. Dragowski due grandi interventi su Vlahovic, ma a lui Bernardeschi non ha perdonato la papera.

I viola hanno avuto il 68 per cento di possesso palla, la Juventus ha fatto due gol. Italiano ha dovuto fare a meno di Milenkovic, il suo difensore più forte, e soprattutto di Torreira dopo 45 minuti, il padrone del suo centrocampo e il suo uomo più in forma. Un po’ di episodi contrari ne ha avuti. Ma alla fine conta il risultato. E la Juve andrà a giocarsi la finale contro l’Inter. Lì sarà tutta un’altra musica. Perché il calcio è un po’ come il poker, dove gli episodi sono come le carte che ti danno. E a un tavolo di poker uno forte può anche perdere. Ma è già più difficile, perché se è nettamente più bravo, riesce sempre a sfangarla. Un tempo, era quello che succedeva alla Juve...

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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