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Morata dà e Morata toglie, ma il miracolo dell'Italia non è stato solo quello dei rigori

La Spagna ha tenuto palla per il 70 per cento della partita e nonostante il gol del vantaggio di Chiesa gli azzurri hanno sofferto fino al novantesimo. Poi la freddezza di Donnarumma e Jorginho e la gioia ai rigori

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

Ci voleva un miracolo, un terno al lotto. Ed è la lotteria dei rigori che ci ha regalato questa gioia e questa finale, che ci lascia ancora qui, a inseguire un sogno, nel tempio di Wembley. In questa interminabile partita, gli spagnoli hanno dimostrato di essere più forti e hanno giocato anche meglio di noi. Ma nessuno ha la capacità di soffrire di quest’Italia, nessuno ha dentro di sé il senso di un successo che appartiene a tutti, e non a uno solo, la forza del gruppo e la voglia di stare insieme. Noi siamo stati questo, semplicemente questo: una squadra. Di più sinceramente non potevamo fare.

Gli uomini di Luis Enrique hanno tenuto palla per il 70 per cento della partita, ci hanno asfissiato con la loro manovra e ci hanno impedito di giocare come avevamo sempre fatto. Dopo aver corso a vuoto per un tempo intero, Mancini ha deciso persino di rinunciare al suo gioco facendo arretrare l’Italia per colpire in contropiede. E grazie a un gol capolavoro di Chiesa, ci stavamo riuscendo fino a dieci minuti dalla fine. Ma questa era una partita segnata dal destino: è stato Morata, il contestatissimo Alvaro Morata, buttato in campo da dieci minuti, a condannarci con un suo gol ai supplementari e ai rigori, ed è stato proprio ancora lui a farsi parare l’ultimo rigore che ci ha portato un finale. E’ stato il cielo, questo cielo di frastaglie e nuvole, questo vento che tira, a scegliere così.

Si era cominciato subito soffrendo. La Spagna s’è presentata senza Morata, per giocare con Oyarzabal, - 24 anni, dalla cantera della Real Sociedad, ma inseguito da Guardiola e Manchester City -, e un falso nueve, Dani Olmo. Le tre punte sono tutte degli esterni o delle seconde punte, che tolgono qualsiasi punto di riferimento alla coppia di centrali più forti dell’Europeo: Chiellini e Bonucci, alla sessantaduesima partita in azzurro insieme, con una media di gol subiti inferiore allo 0,50 per match, in questa difficile serata non hanno nessuno da marcare ma si trovano ad affrontare uomini che si infilano da tutte le parti arrivando dalle retrovie. In difesa, Luis Enrique schiera, come avevamo previsto, Eric Garcia, perché è molto veloce, anche se non molto alto, e lo ritiene più adatto con i nostri piccoletti. Le mosse del tecnico spagnolo si rivelano giuste, sin dall’inizio. Grande pressing sui due uomini ritenuti la fonte di gioco degli azzurri, Jorginho e Bonucci. Da dietro l’impostazione è affidata a Chiellini, che non ha proprio dei piedi raffinati. Noi patiamo, e si vede, non sembriamo più la squadra bella e avvolgente che aveva stupito tutti. Siamo costretti a fare la vecchia Italia, senza esserne più tanti capaci. Loro tengono la linea difensiva molto alta, rischiano, recuperano palla e fanno troppe volte girare a vuoto gli azzurri. Dani Olmo impazza, ed è quasi incontenibile.

Per fortuna sbagliano tanto. Cominciano con Oyarzabal, che ha una palla facilissima al centro dell’area solo davanti a Donnarumma, ma che la sbuccia coi suoi piedoni numeri 47. Il nostro portiere fa un intervento miracoloso su Dani Olmo, poi loro per fortuna riprendono a sbagliare. Dani Olmo spara alto sulla traversa, e poco dopo lo imita Oyarzabal. Pensavamo che questa potesse essere la partita giusta per Immobile. Invece, purtroppo, lui è lo stesso di sempre. Più che inutile è dannoso. L’Italia si fa viva allo scadere del tempo con un tiro di Emerson dal limite dell’area piccola che Unai Simon devia sulla traversa. I numeri sembrano condannarci già inesorabilmente: la Spagna ha fatto sei tiri in porta, l’Italia solo uno, quello di Emerson.

Nella ripresa, la musica sembra un po’ diversa. Gli azzurri non corrono più a vuoto, ma si ritirano indietro ad aspettare per ripartire in contropiede. E viene fuori Chiesa, che nel primo tempo era stato quasi ignorato dai compagni. Prima fa un assolo in area e impegna Unai Simon a terra. Pochi minuti dopo arriva il gol: Chiesa parte dalla sua area per inseguire l’azione di contropiede degli azzurri e arriva in tempo per recuperare la palla persa al limite dell’area (naturalmente da Immobile), avanzare e piazzare un tiro a giro perfetto. Da quel momento in poi è un fuoco d’artificio: Oyarzabal si mangia il pari mancando un comodissimo colpo d testa, poi entra Morata e lui e Dani Olmo creano pericoli in serie. Ma noi arriviamo vicino al raddoppio due volte con Berardi: la prima ha la palla sul destro che non è il suo piede e la seconda tira angolato ma troppo piano. Subito dopo Morata imposta, Olmo gli restituisce un filtrante perfetto e lui spiazza Donnarumma. Uno a uno e si ricomincia. Nella girandola di cambi, intanto sono usciti Emerson, Verratti, Immobile, Insigne e Barella. Dentro Toloi, Pessina, Belotti, Locatelli e Berardi. Soffriamo fino al novantesimo, e soffriamo tanto.

Sinceramente, a quel punto le speranze di farcela non erano tante. Nei supplementari, poi, Chiesa, uno dei migliori, si arrende ai crampi (e al suo posto entra Bernardeschi). Ai rigori abbiamo pure la cabala contro: la Spagna in questo europeo è sempre passata ai calci di rigore, due volte e se non c’è il due senza il tre, non c’è da stare tanto allegri; e poi Unai Simon quando si è trovato a giocarsi una partita ai rigori, ha sempre vinto. Ma questa sera il vento è diverso. Ce la facciamo noi. Ci rimane la freddezza di Jorginho, che nette a sedere il portiere con la palla che scivola nell’angolo. E ci rimane questa corsa pazza verso la curva, ci rimane l’urlo di Wembley, la gioia di Vialli a incitare i tifosi e l’abbraccio di tutti attorno a Insigne con la maglia di Spinazzola. Perché una squadra è fatta così, e questo è un gruppo che soffre insieme, che gioca insieme, che lotta insieme. Si vince anche per chi non è qui, ma è uno di noi. Forse, il cielo ha visto giusto questa volta. Ce lo siamo meritati questo sorriso.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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