L'Italia ci fa sognare ma abbiamo un solo fuoriclasse e sta in panchina: Mancini
Non c’è nessun campione in questa squadra, solo tanti ottimi lavoratori del pallone. Le nostre stelle sono Donnarumma, che è un portiere e i gol non li fa fare, e Barella, che è il simbolo di questa squadra, tutto anima e cuore

Che strano. L’Italia d’assalto costruita da Mancini gode molta più fiducia a casa nostra che all’estero. Di solito capita il contrario. Fuori dai confini, ci vedono al massimo come degli outsider. Noi invece, sotto sotto, un po’ ci crediamo. Ma è che noi veniamo dall’assai poco onorevole assenza agli ultimi Mondiali, da quella scadente Nazionale senza idee e senza gioco assemblata da Ventura, e passare da lui e da Tavecchio a Mancini ci è sembrato un miracolo dello sport, una di quelle cose che ti fanno dire che c’è sempre una speranza nella vita. Il Ct adesso è pure qualcosa di più di una speranza. E’ una certezza.
Italia senza campioni come Totti, Del Piero o Baggio
Non c’è nessun campione in questa squadra, solo tanti ottimi lavoratori del pallone. Le nostre stelle sono Donnarumma, che è un portiere e i gol non li fa fare, e Barella, che è il simbolo di questa squadra, tutto anima e cuore, un Gattuso rivisto e corretto, che ringhia sulle caviglie ed è capace di segnare, a differenza di Rino. Il più bravo è lui, una vita da mediano, uno che corre e non molla, uno indispensabile in qualsiasi squadra, non un diamante. E attorno a lui non ci sono Bruno Conti e Antognoni, e non ci sono Totti o Del Piero, e neppure Roberto Baggio. Il fuoriclasse di questa Nazionale sta seduto in panchina e non può entrare in campo. Quando giocava era una dolcezza per gli occhi, uno sberleffo alla vita e una luce da abatino, come il sommo Brera chiamava Rivera. Oggi che fa il Ct ha sparigliato i conti con una squadra senza nessuno come lui. Però è riuscito a farli giocare meglio di quello che sono. E’ per questo che voliamo con l’immaginazione. Perché non ci sembra vero.
Una Nazionale d’assalto
In tre anni di magistero Mancini, la Nazionale ha imparato a memoria i concetti e le linee di gioco, ha cambiato pelle, ha cercato nella bellezza la sua forza, nel piacere il suo stile. E’ una Nazionale d’assalto perché gioca sempre e solo per attaccare. Gli altri stentano a crederci quando ci devono incontrare, perché non c’era mai riuscito davvero nessuno a trasformare il nostro gioco. Ci aveva provato Sacchi, e con lui avevamo smesso di difenderci soltanto, ma spettacolo niente da fare, neanche a parlarne. E prima di lui bisogna tornare indietro a Edmondo Fabbri, Mondino, il figlio del pollivendolo di Castelbolognese che si schiantò nella sera del 19 luglio 1966 a Middlesbrough, contro la Nord Corea e Pak Doo Ik, rimasto come un epitaffio nella sua vita e nella nostra storia. Perché Mondino era un grande tecnico, che prese il Mantova dai cadetti e lo portò in serie A facendolo giocare come se fosse il Brasile, e quando arrivò sulla panchina degli azzurri andò benissimo fino a quella sera. Solo che da allora cessò di esistere. Anche adesso, per chi è scaramantico, sarebbe meglio non nominarlo. Ma lui e Sacchi furono gli unici prima di Mancini a far giocare la Nazionale cercando lo spettacolo. Gli altri due non ci sono riusciti, in un modo o nell’altro. L’attuale ct fino adesso sì. Persino Lippi, che era riuscito a trasformare la Juve in una squadra sbarazzina e aggressiva, i Mondiali del 2006 li ha vinti blindando la porta con un catenaccio ermetico, stile Conte.
I bookmakers e gli osservatori stranieri ci mettono in seconda fila
Se il nostro è riuscito a fare anche questo miracolo come si fa a non dargli fiducia? Non abbiamo campioni, ma grazie al gioco Mancini ha trovato il moltiplicatore che aumenta il rendimento dei singoli e il valore della squadra. Florenzi l’ha confessato ai giornalisti: «E’ riuscito a entrarci nella testa, non c’è bisogno che ci dica più niente. Ormai sappiamo cosa fare». Per tutto questo ci sentiamo di essere un po’ più ottimisti dei bookmakers e degli osservatori stranieri che ci mettono in seconda fila. Senza alzar troppo la voce, comunque. Tutte le volte che nel dopoguerra abbiamo vinto, siamo sempre partiti da disperati con la critica che ci sparava a zero, in Spagna e a Berlino, e pure in Argentina quando non portammo a casa il titolo, ma facemmo un grande campionato del mondo. Allora diciamo che non ci si mette ai nastri di partenza per vincere l’Europeo, che è la verità. Cominciamo con la speranza di fare bene, che dopo il calvario della Nazionale targata Ventura è già molto.
I problemi
E poi non sono solo rosa e fiori e qualche problema ce l’abbiamo anche noi. Abbiamo due centrali che sono stati fra i migliori del mondo, ma Bonucci e Chiellini hanno ormai la carta d’identità consunta e soprattutto il Chiello viene da una stagione non troppo eccelsa, piena di infortuni. E poi c’è l’incognita dell’attacco. Non segniamo per quanto produciamo, perché il nostro centravanti titolare è un uomo da contropiede che non è proprio il più adatto per il modulo di Mancini. E dietro di lui non c’è nessun’altro. Inoltre, ci presentiamo con Chiesa fuori forma, e Verratti che deve recuperare. E il primo ostacolo non è da sottovalutare. La Turchia ha una difesa arcigna, che può scegliere fra Demiral, Kabak e Soyunchu, tutti giovani molto tosti, e non perde da novembre scorso, unico ko in tredici partite. Sarà dura. Ma forse è meglio così, per restare con i piedi ben piantati per terra.