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Messi imprendibile, l’Argentina vola in finale. Ma di fronte non aveva un grande ostacolo

La semifinale finisce 3-0 con la Pulce che regala giocate raffinate. Per Modric e compagni è dura vincere senza tirare in porta

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Messi imprendibile, l’Argentina vola in finale. Ma di fronte non aveva un grande ostacolo
Messi super contro la Croazia (Ansa)

La prima finalista è la più ovvia, la più scontata di tutte: l’Argentina di Re Lionel Messi. Non aveva un grande ostacolo di fronte, la Croazia miracolata dal destino e da qualche commentatore, venuta avanti senza quasi mai tirare in porta, e ne ha fatto un sol boccone: 3-0, ma il risultato avrebbe potuto essere molto più largo. Modric e compagni non hanno neppure giocato male nella prima mezz’ora, quando l’Argentina la guardava con troppo timore cercando le mosse giuste sulla scacchiera. Il suo problema è che costruisce senza poter affondare, e non è roba da poco: così è solo una mezza squadra. 

Sale in cattedra Messi 

Sbloccato il risultato, Messi è salito in cattedra e l’Albiceleste ha fatto quello che ha voluto, nell’immancabile delirio di Lele Adani («Ma perché dovremmo contenerci, Messi è il miglior dieci, miglior 9, miglior 7, miglior 8»), per altro stavolta molto più contenuto del solito. Certo, a guardare la cronaca, un autentico suicidio della Croazia gli ha aperto la strada, perché fino a quel momento non sapeva bene che cosa fare. Ma il divario fra le due squadre era così netto, che era assolutamente impensabile che alla fine potesse andare in un altro modo.

Argentina e Croazia non sono arrivate di certo appaiate a questa semifinale, perché Messi ha giocato fino adesso probabilmente il miglior mondiale della sua carriera e gli albiceleste, dopo la falsa partenza contro l’Arabia Saudita, sono andati sempre in crescendo e anche nella sfida contro l’Olanda fino a che è rimasto in campo De Paul, sostituito dall’impresentabile Paredes, sono apparsi nettamente superiori ai rivali. 

La strada della Croazia 

I croati, invece, sono usciti al secondo posto da un girone in chiaroscuro, alle spalle del sorprendente Marocco, e hanno superato negli ottavi e ai quarti il non irresistibile Giappone e il Brasile soltanto grazie alla roulette dei rigori, al termine di prestazioni sempre barricadere e molto determinate e feroci, ma mai troppo convincenti. E l’arma più forte e temibile degli uomini di Zlatko Dalic sta proprio nel carattere irriducibile di questa squadra, capace di trasformare la sofferenza in una virtù. Il problema, mica da poco, è l’attacco. Non ha praticamente nessuno là davanti, non ha un caterpillar in grado di sfondare porte e portieri, e nemmeno un falso nueve che crei spazi e faccia giochi di prestigio. Però attorno ai suoi vecchietti dalla carta d’identità consumata ma dal talento ancora intatto, Perisic e soprattutto Modric, schiera una sontuosa mediana di lusso, - Kovavic e Brozovic accanto all’eterno Modric - e in assoluto il miglior difensore di questo mondiale, Gvardiol, classe 2002, un ragazzotto dal futuro luminoso, combattente di tecnica e fisicità che incarna perfettamente lo spirito della squadra, quasi imbattibile nel gioco aereo, coriaceo in marcatura e con un grande senso della posizione e dell’anticipo. 

Le scelte di Scaloni 

Ed è contro questo muro, fatto di ardore e di tenacia più ancora che di organizzazione, che deve giocare l’Argentina, cercando di fare molta attenzione al genio di quei tre in mezzo al campo. Scaloni deve fare a meno di Di Maria, che forse non è neppure questa grave perdita visto il fidelo degli ultimi tempi, ma ha recuperato De Paul, il vero motore della squadra in questo campionato. Si comincia con i ruoli ribaltati e la Croazia che fa possesso palla (62 a 38), e subito rumori di ferraglia a far capire che non sarà proprio una sfida di grande fair play. All’inizio è comunque una partita che rispecchia fedelmente l’andamento lento di questo mondiale, uno dei più avari di bel gioco. Nei primi 20 minuti neanche un tiro in porta. Meglio la Croazia, in questo deserto di noia. Però il primo squillo, si fa per dire, è dell’Albiceleste, al 25’, tiro da fuori area di Enzo Fernandez abbastanza telefonato. Gli uomini di Zlatko Dalic fanno girare la palla ma è dura se davanti non hanno nessuno. Alla mezz’ora, poi, ecco l’errore inspiegabile della Croazia che cambia il registro della partita, lasciando all’improvviso praterie scoperte alle sue spalle sulle quali si fionda indisturbato Alvarez, beccato da un lancio lungo da metà campo, tenuto in gioco da Lovren e steso in area da Livakovic. Rigore e Messi gol. La Croazia si butta in avanti e il trucco si ripete: Alvarez va via in percussione, vince fortunosamente due rimpalli e infila tranquillamente il portiere. Due a zero in pochi minuti. E si potrebbe continuare. McAllister di testa sfiora il terzo gol: Livakovic compie un mezzo miracolo in tuffo. Messi se ne va via in dribbling tirandosi dietro mezza squadra croata, e il doppio fischio di Orsato per la fine del primo tempo è come una benedizione per Dalic e i suoi. Due a zero all’intervallo come contro l’Olanda. 

Scaloni impara la lezione 

Ma questa volta Scaloni sembra aver imparato la lezione. Serra i ranghi e alza le muraglie, togliendo Paredes e schierandosi a 5 dietro. L’Argentina, poi, in semifinale ha sempre vinto nella storia dei mondiali. Il secondo tempo comunque comincia com’era finito il primo. La Croazia spinge e l’Albilceleste va vicino al gol con Messi, da distanza ravvicinata (57’, para Livakovic). E al 68’ chiude la partita con Alvarez, dopo un’azione travolgente di Messi (Adani va in trance: «solo il genio di Messi fa una giocata così, dribbla tutti, non lo ferma nessuno, distribuisce amore attraverso una palla da calcio, aprite il cuore e ringraziate che Messi sta giocando, questo è il miracolo da annunciare!»). 

Lo show di Lele Adani 

La partita è già finita, ma ci resta lui, Lele Adani, il vate del microfono, il nuovo guru della Rai. Gli scampoli che restano, ci regalano un’Argentina che maramaldeggia in stile sudamericano irridendo l’avversario. E la Croazia? Solo qualche mischia su calcio piazzato e un tiro sbilenco di Mayer da fuori area. Che fosse stata una beneficiata dal destino avrebbe dovuto apparire evidente già nella partita col Brasile. Va bene il catenaccio, va bene la garra, il cuore, va bene tutto, ma senza tirare in porta come si fa a dire che si gioca a calcio?

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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