La Francia è più forte, ma Messi da solo ce la può fare. Il Mondiale sceglie la sua Regina
Certo è che questo finale ha un sapore particolare, diverso da quasi tutte le altre finali, forse per certi versi rapportabile solo a quella del 1970, fra il Brasile e l’Italia.
Francia Argentina, come da pronostico. A dar retta a titoli e casato, non dovrebbe esserci una finale migliore. Le due stelle del firmamento una contro l’altra, Messi e Mbappé, il passato contro il futuro, la potenza del centometrista contro la classe pura dell'hombre di Rosario, e due bacheche da far invidia a chiunque. La Francia cerca il terzo titolo, e Deschamps il secondo consecutivo, come Vittorio Pozzo e pochi altri. Anche Kylian Mbappé, il «Pinguino» come lo chiama Hakimi, il suo più grande amico nello spogliatoio del Psg, sogna i due trionfi di fila per inseguire poi Pelé, che ne ha vinti tre di mondiali. E’ giovane, ce la può fare.
Per l’Argentina si tratta della sesta finale della sua storia, un bottino che la mette dietro soltanto alla Germania, che ne ha collezionate 8. Come la Francia è a quota due nel conteggio delle vittorie (1978, 1986). Messi invece è a quota zero. E questa è la sua ultima grande occasione. Sa che non può sprecarla. Ha giocato in assoluto il torneo migliore della sua carriera e ha trascinato la squadra come fece Maradona nell’86. Il tavolo è allestito, il banchetto è stato preparato con cura. Ora è tutto in mano sua, il destino nei suoi piedi.
L’ultimo ostacolo è l’avversario, che questa volta non è un problema da poco. L’Argentina nel suo cammino è andata in crescendo, ma non troppo. E’ partita da una sconfitta, contro l’Arabia Saudita, (una sola squadra ha vinto il mondiale dopo aver perso la prima, la Spagna nel 2010), poi ha inanellato soltanto risultati positivi, ma con la modesta Olanda di questi tempi s’è fatta raggiungere sul due a due e ha dovuto aspettare i rigori per averne ragione. Dall’inconcludente Polonia alla miracolata Croazia arrivata senza meriti alcuni oltre che senza una punta in semifinale, non ha mai dovuto confrontarsi con una squadra veramente forte. E’ difficile giudicare appieno il suo valore.
Diverso il discorso della Francia, che ha vinto quando c’era da vincere e ha perso con le riserve, ha affrontato la corazzata e il mare in tempesta, superandoli con l’esperienza, la tecnica e il giusto cinismo più che con la forza. Non è una Francia splendente, com’era quella della Russia 2018. Ma allora aveva un centrocampo inarrivabile, Pogba Kanté Matuidi, che metteva insieme genio, polmoni e pressing, mentre oggi ha Rabiot e Tchouameni, che sono dei trattori, gente che pialla, ma non inventa.
Quel compito l’ha preso Griezmann, la più grande sorpresa del torneo, reinventato da Deschamps nel ruolo di tuttocampista con licenza di creare, come ha voluto spiegare il ct stesso: «E’ un giocatore che ha questa capacità di cambiare il volto della squadra. Ha un grande volume di gioco, porta il suo tocco tecnico, in una situazione diversa che gli si addice molto bene. Prova tanto piacere nel fare un contrasto quanto nel fare un passaggio. E ha una generosità sopra la media».
Nonostante lo straordinario torneo di Griezmann, la Francia resta comunque inferiore rispetto a quella del 2018, gli manca la fisicità del miglior Pogba e soprattutto la corsa intelligente di Kantè, centrocampista più tecnico pure del Rabiot in splendida forma (almeno fino a quando non l’ha bloccato l’influenza) di questo mondiale. In ogni caso i Galletti possono contare su molti più elementi di classe dell’Argentina, da Theo Hernandez allo stesso Griezmann, prendendosi anche il lusso di tenere in panchina gente come Camavinga. Nei quarti e in semifinale hanno dovuto superare gli avversari senza dubbio più forti del lotto, l’Inghilterra dei giovani e del futuro e il sorprendente, coraggioso Marocco. L’Argentina invece non ha ancora dovuto misurarsi con nessuno. Durante il cammino però ha trovato una sua quadra, un nucleo di titolari inamovibili che la rendono compatta e coriacea, molto simile - guarda caso - all’Argentina di Maradona del 1986.
Scaloni ha bocciato tutte le soluzioni italiane, da Di Maria a Lautaro e Dybala, ma ha trovato lo scudiero prediletto da Leo Messi, il classe 2000 del Manchester City, Julien Alvarez, che secondo noi è meno forte del Toro, ma molto più in sintonia con Re Lionel, il vero, unico, incontrastato padrone della squadra. Si spiega così anche la presenza di un giocatore davvero scarso come Paredes, che Scaloni terrebbe volentieri fuori da qualsiasi rotazione, ma che Messi, di cui è molto amico assieme a Di Maria, pretende invece di avere accanto.
Alla resa dei conti, diciamo che sulla carta la Francia è più forte, ma che Messi non può sbagliare questa finale, che ha un sapore particolare, diverso da quasi tutte le altre finali, forse per certi versi rapportabile solo a quella del 1970, fra il Brasile e l’Italia. Perché come allora è una partita spartiacque, che chiude un’epoca. Nel ‘70, giungeva al suo epilogo il ciclo di Pelè e del suo favoloso Brasile.
Al Lusail Stadium, si svolge l’ultimo atto di un’altra stagione grandiosa del calcio, quella di Messi e Ronaldo e dei loro ospiti al tavolo imbandito, una generazione di campioni arrivata al passo d’addio. Dopo, niente sarà più come prima, e già si intravedono ormai i segni del futuro, che sarà dominato dall’Inghilterra, non solo con la sua Premier, ma anche con la Nazionale, che comincia a vantare il parco giovani più forte al mondo assieme a quello della Francia. Con una differenza sostanziale però: la Francia i suoi giovani non può tenerli. L'Inghilterra sì.
Al Lusail Stadium è tutto pronto. Ore 16, Raiuno, telecronaca di Rimedio e De Gennaro (accendiamo un cero di ringraziamento). Per chi vuole sorbirsi Adani, c’è la finalina Marocco Croazia. Che poi il vate di Messi, il santone mistico di Correggio, è pure bravo, e forse il più bravo se non impazzisce. Purtroppo tende a esagerare. Fra i graditi ospiti è atteso anche Paul Pogba, un genio che non invidieremo mai abbastanza, un uomo felice che si fa pagare 9 milioni netti all’anno per fare il turista, un salto a Miami, un altro a Los Angeles, un viaggio in Qatar, con un menisco rotto che di solito guarisce in due mesi massino e che lui trascina da un anno. Troppo forte.
Certo ci vuole anche un grande colpo di fortuna, perché dall’altra parte devi trovare proprio qualcuno appena uscito da una gara etilica per svuotare una enoteca, uno che barcolla senza capire con chi sta parlando, per firmare un contratto di questo tipo, oppure un incompetente, e quelli ce ne sono abbastanza in giro. In un caso o nell’altro lui c’è riuscito. Chapeau. Adesso è venuto qui invitato dalla nazionale francese. Chissà che non provi il colpo per prendersi un premio in caso di vittoria anche se non è stato nemmeno convocato in questi mondiali. Bisogna vedere se fra i dirigenti della Francia c’è qualcuno che gli piace la grappa.