Messi, Mbappé e il Marocco: i tre simboli che piacciono tanto al Qatar
Il Mondiale ha qualche strana coincidenza: in semifinale ci sono i due simboli del Psg, il club del padrone qatariota Nasser Al Khelaifi, e cioé Messi e Mbappé. E una squadra, il Marocco, che festeggia le sue vittorie sventolando la bandiera del Qatar

Nella caduta degli dei, ora restano solo Messi e Mbappé, il passato e il futuro, come in una trama scritta a tavolino da uno con poca fantasia. Ronaldo e Neymar hanno lasciato in lacrime, 37 e trent’anni, e l’amara consapevolezza di essere arrivati al punto in cui il tempo non si ferma più ed è impossibile tornare indietro. I tramonti possono essere dolorosi. Lo sono ancora di più quando vedi che un altro che ha vissuto accanto a te la grandezza di tutti questi anni può arrivare a prendersi quello che sognavi e che ti è stato negato. Sul cammino di Messi e Mbappé, comunque, ci sono ancora due avversari infidi, Marocco e Croazia, cinici e spietati, soprattutto il Marocco a onor del vero e forse soltanto lui, perchè con un tiro a partita ti va bene una volta ma le altre torni a casa e ti è già andata di lusso, nonostante i soliti risultatisti che trovano una incomprensibile bellezza pure nel furto.
La Croazia ha fatto fuori il Brasile così. Ripetere l’impresa con l’Argentina ci pare molto più arduo, ma mettere un pullman davanti alla porta è un sistema che a questo mondiale ha dimostrato una sua logica vincente. Il Marocco, va detto, prima africana in semifinale nella storia del mondiale, è un’altra cosa, perché non fa solo questo e ha una organizzazione molto moderna, che parte da una difesa solidissima e un’ampiezza di gioco che cerca spazi sulle fasce per i suoi contropiedi. Ha gli uomini giusti per fare questo, la velocità di Hakimi che ti martella i fianchi, la regia di Ounhai, la fantasia di Ziyech e un portiere in stato di grazia che li copre alle spalle. E’ una squadra tosta, da non sottovalutare, arroccata attorno a una difesa molto organizzata, la migliore di questo mondiale: una solo rete subita e per giunta pure su autogol. La Francia dovrà rare parecchia attenzione, perché è lei quella che rischia di più.
Arrivati a questo punto del torneo, quando le gambe e la mente cominciano a infiacchirsi, non commettere errori diventa fondamentale. E se il Marocco ha alzato un catenaccio di protervia antica, il Portogallo non è esente da colpe e anche Fernando Santos ci ha messo del suo inserendo tardi Leao, l’unico apparso in grado di poter scardinare sugli esterni il bunker eretto da Walid Regragui. Bernardo Silva ha improvvisamente spento la luce, Joao Felix non ha ripetuto gli acuti di altre partite e Goncalo Ramos, dopo i fuochi d’artificio contro la Svizzera, s’è visto solo per un colpo di testa spedito sul fondo da posizione favorevole. E poi, al di là di tutto, anche questa volta la sfiga (o la fortuna, dipende dai punti di vista) ci ha visto benissimo. Non proprio come nella sconfitta del Brasile, condannato immeritatamente dall’unico tiro in porta della Croazia e dalla roulette dei rigori, ma insomma è pur vero che la papera colossale del portiere lusitano e la traversa maligna di Bruno Fernandes hanno sigillato impietosamente il risultato. Poi al resto ci ha pensato Bounou, l’eroe pararigori che ha fatto fuori la Spagna, straordinario su una sventola mica male di Joao Felix e sull’ultimo velenoso sparo di Cristiano Ronaldo, uscito in lacrime alla fine della partita. Triste, solitario y final, il lungo addio del marziano si consuma nello scorrere inesorabile della clessidra come uno scioglimento dell’anima dal suo corpo e dal suo passato, quasi in un desiderio di mistico annientamento. E’ la sconfitta del campione, imprigionato nel suo Ego gigantesco davanti all’avanzata trionfale del suo rivale di sempre, Lion Messi. Fino adesso questo ci ha raccontato il Qatar. Oltre a piccoli dubbi.
Il sospetto di Pepe, il capitano del Portogallo, che per l’Argentina e la gloria di Messi qualche cosa sia già stato apparecchiato («Facciano che consegnargli la coppa, così non ci danniamo più l’anima») un paio di tasselli sembra averli. Mandare un arbitro argentino alla partita di una diretta rivale, non ci sembra la cosa più appropriata del mondo. Senza contare che un’inchiesta dalle nebbie di Bruxelles e Strasburgo sta portando alla luce i soldi a palate e i metodi insospettabili dei padroni del Qatar per corrompere anche i più inutili signor nessuno che bivaccano da quelle parti. Uno può anche arrivare a pensare che chissà che cosa possano aver fatto con quelli che contano di più. Infantino, il gran capo della Fifa, almeno questo è accertato, non ha bisogno di soldi per sparare boiate appena apre bocca: dal bullismo subito perché aveva i capelli rossi alla poetica asserzione che «il calcio unisce i popoli», subito smentita dall’indecoroso finale di Argentina Olanda, fra cazzotti, insulti e sberleffi, senza andare a rinvangare l’Heysel e altre tragedie simili, ha disseminato un invidiabile repertorio da comico di varietà. Bisognerebbe presentargli Lele Adani, prima che arrivino gli infermieri a portarselo via, perché sarebbero un duo eccezionale, i fratelli De Rege della tv, il comandante e l’invasato. Tutt’e due tifano Argentina. E non osiamo immaginare cosa potrebbe succedere se Messi dovesse alzare la coppa. Frasi come «il calcio guarisce dal cancro e ci protegge dal nucleare» e urla con la voce roca e il dito puntato verso il cielo di uno che sembra un fricchettone anche se si spaccia per telecronista e ringrazia Dio per averci fatto vedere come Gesù gioca a pallone con la maglia albiceleste.
Però, a parte il circo e il manicomio, questo mondiale ha qualche strana coincidenza. In semifinale guarda caso ci sono i due simboli del Psg, il club del padrone qatariota Nasser Al Khelaifi, e cioé Messi e Mbappé, e una squadra, il Marocco, che festeggia le sue vittorie sventolando la bandiera del Qatar. Dal punto di vista degli organizzatori è un mondiale che ha una conclusione perfetta, basterebbe far fuori l’unico intruso, la Croazia. Dal nostri punto di vista, invece, è un mondiale patinato che lascia un retrogusto strano e sospetti sparsi, se persino un giornale serio come la Gazzetta si permette di descriverlo come «infinitamente bello». Siamo seri. Per un quotidiano sportivo gli unici mondiali belli sono quelli con la tua nazionale, che magari li vince pure. Qui l’Italia non c’è. E non ci sono un mucchio di altre cose. Forse, non c’è nemmeno la verità.