La nuova vecchia Italia di Spalletti. Un po' di Allegri nella sua Roma d'un tempo
Una bella Nazionale senza dubbio, ma resta da capire quanto sia vera e quanto sia stata aiutata dalla supponenza suicida dei francesi
Eccola qui la nuova Italia di Spalletti. Che poi così nuova non lo è. E’ solo ridisegnata nel solco della vecchia scuola tricolore, difesa e contropiede. Bella? Pure di più, per una notte. Bellissima, mamma santa! Resta da capire quanto sia vera e quanto sia stata aiutata dalla supponenza suicida dei francesi. In ogni caso, l’impressione è che possiamo crederci, confortati da alcune idee e alcuni uomini, Tonali su tutti, che all’Europeo non c’era e si è visto bene quanto è mancato. Un altro che c’era ma ieri sera sembrava il fratello buono è Cambiaso, bravissimo e decisivo nei cambi di gioco. Poi Raspadori, Di Marco, la conferma di Calafiori. Gente per ripartire ce n’è. Anche da salutare, forse, come Di Lorenzo. Resta da ricordare una cosa, per capire meglio che cosa sia cambiato nel quartiere azzurro. Appena insediato sulla poltrona da ct, Spalletti fu molto chiaro in una delle sue prime conferenze stampa: «Se volete che l’Italia giochi in una certa maniera, io non sono l’uomo adatto. Non è quella la mia filosofia, e nemmeno la mia storia». Voleva dire che per il catenaccio dovevano scegliere un altro ct. Lui avrebbe portato altre idee, un altro sistema, più spettacolare e più offensivo. Dopo il disastro dell’Europeo, qualcuno aveva pensato di sostituirlo con Ranieri o Allegri, l’aggiustatore e il teorico Massimo del primo non prenderle.
Cosa ha cambiato
Invece, è rimasto lui. E cosa ha fatto? Ha tradito se stesso. Il modulo? 352, quello allegriano doc. Anzi di più. Perché con la Francia manda in campo un 361, tutti a far muro, che intanto è inutile tirare il petto in fuori se non hai i muscoli buoni. Però... Però si può fare catenaccio - e che catenaccio - anche in maniera diversa, alla Spalletti. Dietro, sceglie tre centrali che non pensano solo a difendere, ma che sanno anche impostare e possono diventare dei centrocampisti aggiunti. Nessuno di loro potrebbe mai prendere alla lettera l’insegnamento del patròn, il grande Nereo Rocco, maestro di muraglie e contropiedi: «A tuto quel che se movi su l’erba, daghe. Se xe ‘l balon, no importa». No, questa è gente fina, non sono bassa manovalanza ma artigiani. Sor Luciano bello da Certaldo, la barriera la alza a centrocampo, è lì che tira giù la saracinesca, imbottendo quelle zolle di uomini e cursori, è lì che prepara il pressing per innescare micidiali ripartenze. Rispolvera pure qualche idea della sua Roma più bella, Frattesi a fare il Perrotta, e tutti a girare attorno a una luce che non c’è, perché Er Pupone non esiste più su un campo di calcio, ma c’è una idea, solo un’idea che lo può sostituire. Lo spazio. La ricerca dello spazio. A questo servono i cambi di gioco. Contro una squadra dalla pancia piena, molto francese nelle sue stigmate da grandeur, che la porta ad aggredire l’avversario senza preoccuparsi troppo della sua pericolosità, il giochetto riesce alla perfezione. Gli azzurri la partita la dominano, ben oltre il risultato, ancorché beffati da un gol a freddo per il solito errore del solito Di Lorenzo. Prendiamo una traversa con Frattesi, e poi via le botte: Di Marco (che gol), Frattesi e Raspadori.
Aspettiamo la controprova
Adesso partiremo con i soliti peana, è nel nostro costume. Preferiremmo invece invitare alla calma gli immancabili schiavi del risultato. Buona la prima, certo. Ma aspettiamo la controprova, contro una squadra meno supponente e un attacco dove magari Mbappé fa Mbappé e non il turista che se ne ritorna a casa un po’ svogliato, giusto il tempo di rifare le valigie e ripartire di nuovo. E aspettiamo di vedere gli azzurri quando toccherà a loro far la partita. Questa nazionale limiti ne ha ancora tanti. A cominciare dall’attacco (aspettando Camarda). Non è che bastano due mesi per miracolarci.