E meno male che Sarri aveva detto che si diverte. Contento lui. Aveva detto pure che vedeva dei miglioramenti. A Riad, però, vince la Lazio, e con pieno merito. E vince con lo stesso risultato dell’Olimpico di pochi giorni fa, 3 a 1, a testimonianza che non è stato un caso e che nel calcio contano lo stato di forma, la tenuta atletica e un mucchio di altre cose, ma che oggi come oggi la Lazio senza Ronaldo, senza Dybala, senza Bonucci e tanti altri stipendi da capogiro è nettamente più forte della Juve, perché due 3 a 1 di fila non sono poca roba. Può anche essere che Sarri si diverta - durante gli allenamenti, aveva precisato -, ma noi abbiamo la forte sensazione che l’unico che si sia davvero divertito, a parte quelli della Lazio, of course, sia stato Massimiliano Allegri, che aveva appena tenuto una lezione sull’inutilità degli schemi e delle gabbie, deriso da tutti, per ripetere il suo mantra di questi ultimi tempi, da quando aveva intuito che la Juve gli stava per dare il benservito, e cioé che nel calcio contano i risultati e i talenti dei giocatori, e che un buon allenatore solo quello deve fare, dare libertà di espressione alla classe dei migliori. Al netto di Riad e non solo, Maurizio Sarri non ha ancora vinto nessun titolo in Italia, ed è stato dominato dalla stessa squadra con cui l’anno scorso mister Allegri, sempre lui, non aveva avuto troppi problemi.
Non è stata una bella partita, diciamolo subito, anche se i cantori della Rai e i loro sudditi l’hanno raccontata come una finale epica. E l’arbitraggio non ha inciso: diciamo subito anche questo, perché l’insopportabile e noiosissima abitudine dei giornalisti sportivi italiani è quella di giudicare gli arbitri e non la partita. E non è stato nemmeno un arbitraggio contro la Lazio: di questi tempi, con tutto il potere che ha Lotito, è un po’ difficile. Ma è stata una partita che ha premiato la squadra nettamente più forte e anche più bella. Se per vincere bisogna essere belli (magari fosse così), almeno questa volta il risultato ha rispettato la filosofia sarriana. In realtà è molto più facile essere belli con chi te lo concede. E forse questa Juve sembra fatta apposta per il contropiede della Lazio.
D’altro canto, sin dall’inizio la partita si è svolta secondo il più scontato dei copioni, con la Juventus che occupava la metacampo avversaria con il suo fraseggio sarriano e la Lazio che non aspettava altro per trovare gli spazi buoni e colpire in contropiede. Fedele allo spartito, nei primi venti minuti la finale di Supercoppa in trasferta a Riad ci ha regalato solo tanta noia, molti falli con altrettante sceneggiate all’italiana, e una sola azione pericolosa: dei biancocelesti, ovviamente, che al primo colpo hanno fatto subito centro. Luis Alberto su passaggio di Milinkovic e la gentile complicità di De Sciglio e Alex Sandro: zero a uno. La lezione dell’Olimpico di poche domeniche fa evidentemente non è servita molto ai campioni d’Italia, che hanno dominato solo nel possesso palla, 63 a 37. E per 45 minuti la musica non è cambiata, visto che l’unica trama degna di essere segnata sul taccuino è stata quella che ha portato Correa e Milinkovic Savic a creare un bel po’ di scompiglio nell’area bianconera. Solo che proprio a tempo scaduto, nel recupero, quando nessuno se l’aspettava più, c’è stata l’unica fiammata bianconera: tiro di Ronaldo, Strakosha ha parato ma non ha trattenuto, e Dybala lo ha infilato tranquillo.
Ma siccome il secondo tempo è stato come il primo, la storia si è ripetuta pari pari: la Juventus che fa possesso palla senza mai essere pericolosa se non con un tiro da fuori area di Ronaldo, e Inzaghi che rinforza il centrocampo in ottica difensiva inserendo Parolo al posto di Luis Alberto e che verso la mezz’ora colpisce di nuovo. Lulic e 2 a 1. Questa volta non c’è molto tempo per rimediare. Dentro Douglas Costa al posto di Matuidi a tentare il tutto per tutto con quattro giocatori in proiezione offensiva (Ronaldo, Dybala, e Ramsey che aveva preso il posto di uno spaesato Higuain, oltre al brasiliano). Con la foga della disperazione, la Juventus è andata anche vicino al pareggio, con Dybala, Douglas Costa e Bonucci, prima che Cataldi chiudesse il conto definitivamente, a tempo scaduto.
Siccome non possono contare solo i numeri che ci fanno comodo, alla Juventus forse dovranno guardare meglio quello dei gol subiti, che sono minimo tanti e magari troppi. Con una difesa così, insegna la storia dei nostri campionati, in Italia non si vince. Può darsi che l’Europa sia un’altra cosa. Ma il bistrattato Allegri in finale di Champions c’era arrivato due volte. A modo suo.