Riparte la Serie A: Juve e Inter favorite ma c'è una terza squadra che lotterà per lo scudetto
Sbaglia chi sottovaluta il Milan che non è molto lontano dalle prime due
Bene, finalmente ci siamo. In realtà, ci risiamo. Perché il Covid è ancora in mezzo a noi, e abbiamo già dato una volta, con gli stadi vuoti e le partite senz’anima, e ci tocca ridare di nuovo. Anche se in queste condizioni non sarà mai un campionato vero, alla fine conterà come e più degli altri. Sul nastro di partenza, tutti i commentatori hanno piazzato due squadre in netta pole position, la Juve e l’Inter. La Juventus alla caccia del decimo scudetto di fila, appena richiesto anche ufficialmente da John Elkann. E l’Inter invece all’inseguimento del suo primo campionato dopo dieci anni. In ballo ci sono un mucchio di rivalità vecchie e nuove, dal derby d’Italia alla sfida del Maestro all’allievo, su panchine invertite, fino a quella dichiarata fra Antonio Conte e Andrea Agnelli, che da quel giorno di luglio quando l’allenatore prese cappello e mollò baracca e burattini un po’ se la sono giurata l’un l’altro. Questa volta però c’è qualcosa di diverso da tutte le altre. C’è di diverso la Juve, che comincia a non essere più la corazzata invincibile degli ultimi tempi, segnata con sempre maggiore evidenza dagli addii pesanti di Marotta e Allegri, e da quello solo in stand by di Paratici. A parte l’attuale Chief Football Officier, che ha creato pezzo su pezzo la squadra dei 9 scudetti di fila, tutti gli altri hanno un senso. Il senso di Marotta è Nedved, e il suo rapporto con il presidente. Quello di Allegri sta nei progetti di una società moderna, che guarda al mondo e sa benissimo che il calcio del futuro non può più essere quello sparagnino dei nostri confini e che a questo, volenti o no, bisogna prepararsi, soprattutto se sei alla testa del movimento. L’addio di Paratici è diverso. Perché sarà lui ad andarsene.
I campioni d'Italia non sono più i favoriti
Così, per la prima volta non è la Juve favorita. Si sono invertiti i ruoli. Un anno fa all’inizio del campionato, Antonio Conte aveva già provveduto a lamentarsi, come sua abitudine, mettendo le mani avanti: «Non c’è gara. Noi abbiamo dovuto cambiare e quando cambi ci vuole del tempo. Loro hanno solo aggiunto, ed è da anni che aggiungono e diventano ogni anno più forti». Adesso è l’Inter quella che aggiunge, scegliendo solo elementi già pronti all’uso, che sanno come si vince e si adattano felicemente agli schemi di battaglia da trincea imposti dall’allenatore. Oggi è la Juve che deve cambiare e sa che se non lo fa, marcherà la sua rovina. La Juve ora è una incompiuta, vecchia in difesa e in attacco, con un centrocampo giovane ma abbastanza mediocre: non ci sono Pirlo, Vidal e Pogba, ma Arthur e Rabiot, non c’è luce, ma lentezza, appena rotta dagli spunti di un cavallone. Certo, mancano ancora due settimane alla fine del mercato e molte cose possono cambiare. Ma se l’Inter spera di vendere e aggiungere Kanté alla sua mediana, alla Continassa inseguono disperatamente il sogno impossibile di riuscire a piazzare Dybala a una cifra con tanti zero che consenta di aggiustare un bilancio sempre più disastrato. Con l’aria che tira è una impresa ardua. Se la campagna acquisti da qui al 5 ottobre qualcosa cambierà, sarà solo a vantaggio dei nerazzurri.
Sbagliato sottovalutare il Milan
Però, occhio. Lassù, a lottare per il titolo, Inter e Juve non saranno sole. Ci sarà sicuramente anche il Milan, che qualcuno fa molto male a sottovalutare. Nel mini torneo che ha concluso a colpi di raffiche lo scorso campionato spedito in quarantena dal lockdown, i rossoneri erano stati quelli che avevano fatto meglio di tutti. Hanno ripreso continuando a vincere, anche se bisognerebbe andar piano con i toni commoventi dei giornali sportivi, tutti quei peana e quelle trombe, per aver spezzato le reni allo Shamrock, di cui nessuno conosceva manco l’esistenza fino all’altro ieri. Oltre a vincere, comunque, il mercato che stanno facendo sembra di prima qualità. Hanno soffiato Tonali all’Inter, hanno quasi (ri)preso Bakayoko, e puntano Milenkovic e Chiesa. Giovani e forti. Se riescono a realizzare già solo alcune di queste operazioni, non sono tanto distanti dall’Inter.
Dietro le prime tre Napoli, Lazio, Roma e Atalanta
Nella prima griglia, quindi, ci stanno anche loro. Dietro, il Napoli e la Lazio, solo che i biancocelesti pagheranno le fatiche della Champions (l’anno scorso avevano puntato tutto sul campionato). La Roma è una incognita. Ha fatto due ottimi acquisti, Kumbulla e Milik, sottovalutati da una piazza come sempre troppo emotiva. Se ritrova Smalling in difesa, non è affatto da sottovalutare. Il problema è l’allenatore. E’ molto bravo, ma non sappiamo quanto abbia legato con l’ambiente, un particolare che sotto al cupolone conta tantissimo. A ottobre dovrebbe arrivare Paratici, e il vero mercato forse la nuova proprietà lo farà a gennaio. L’Atalanta non è più una sorpresa. Qualcuno si azzarda persino a metterla fra le candidate al titolo. Ci pare esagerato. E’ al livello della Roma, e come i giallorossi potrebbe ancora stupire in positivo, o in negativo.
L'enigma delle piccole
Dietro di loro c’è tutto il gruppone. Difficile fare una classifica. Il Verona ci pare indebolito, il Bologna sta cercando giovanissimi talenti, e non è una cosa semplice. Il Cagliari ha puntato parecchio sull’allenatore, una scelta che potrebbe rivelarsi molto azzeccata con il perdurare del Covid che impedisce a tutti, grandi e piccoli, di muovere soldi e compiere acquisti. Di Francesco è un tecnico moderno e ha fatto cose egregie a Sassuolo e a Roma, è uno Zeman che si guarda anche alle spalle pur vedendo come lui il calcio in verticale. Certo, se arrivasse Godin e tornasse soprattutto Nainggolan, le attese cambierebbero completamente.
Il caso Fiorentina
Poi c’è il capitolo Fiorentina. Rocco Commisso le spara ogni volta più grandi, ma poi alla resa dei conti è lì che cerca i pensionati con le stampelle disposti solo a venire a Firenze perché nessuno li vuole più. C’è riuscito con Ribery, e gli è andata buca con Thiago. Ha preso Bonaventura naturalmente a costo zero. Urla ai quattro venti che i soldi per lui non sono un problema, ma non li scuce fuori neanche con una pistola alla tempia. La Fiorentina gliel’hanno quasi regalata i Della Valle, che non ne potevano più. Lui fa la faccia truce due o tre volte, «chiamame Ruocco paisà», e gli incredibili tifosi viola sono gli unici che continuano a sperarci. Commisso i soldi in realtà i soldi li ha davvero, essendo il più ricco padrone della serie A, più dei cinesi, più degli Agnelli e di Friedkin, ma è venuto qui per farne altri, non per tirarli fuori. Il suo connazionale Pallotta, italoamericano come lui, aveva gli stessi propositi, ma poi lo stadio non si è fatto e alla fine ci ha pure rimesso. Rocco sembra più sveglio. Fa tante belle parole, e intanto il portafoglio l’ha cucito a doppio filo. Si tiene pure un allenatore bravo per la serie B, che gli costa quasi niente. Poi vada come vada. Andiamo a cominciare.