Dal rapporto con i giocatori alle tensioni con Agnelli: vi spiego perché tra Sarri e la Juve non è scoccata la scintilla
Il suo gioco, per adesso, si vede solo a sprazzi. Uno studioso del calcio, un intellettuale così poco juventino, niente giacca e cravatta, innamorato più del bel gioco che del risultato

A guardarlo mentre parla, con la sua immancabile tuta nera, senza smettere un attimo di grattarsi il naso, come se questo tic lo aiutasse a trovare le parole, lo sguardo fisso su uno spartito immaginario e il sorriso stentato che fa capolino ogni tanto, in fondo sembrerebbe sempre lo stesso Maurizio Sarri che affrontava stancamente i giornalisti dopo le partite del Napoli, dell’Empoli o del Chelsea. Eppure adesso c’è qualcosa di diverso, in questo suo tono monocorde, nella maniera che ha di stornare la vista dai giornalisti che lo interrogano, in questo suo forzoso parlare, come se ogni volta si trovasse a disagio in un ruolo che non riconosce ancora.
I riti sono rimasti tutti: la sua tuta nera sotto la giaccavento, con il lodo rosso dell’Adidas davanti e le strisce bianche sulle maniche, la sigaretta che spezza prima di ogni partita buttandone via la cartina e il tabacco per conservare solo il filtro, che mordicchia nervoso girandolo tra i denti con il pollice e l’indice mentre osserva le azioni di gioco, e pure l’orologio Panerai da subacqueo al polso che sbircia a controllare il tempo che resta. Ma a guardarlo bene, in tutto questo, è la complicità che manca, quella che lo faceva scherzare con i giornalisti di Napoli, lo faceva ridere e arrabbiare: «Forse dovremmo mettere le maglie a righe perché ci diano dei rigori». La verità è che Sarri e la Juve sono una coppia senza amore.
Nel calcio ci sta, non è un peccato. Maurizio Sarri, napoletano di Faella, provincia di Arezzo, è solo un professionista che lavora a Torino. Come Antonio Conte a Milano, un altro che non aveva certo mai rilasciato attestati d’amore per i colori nerazzurri, prima di sedersi su quella panchina. Ma Conte all’Inter ha imposto subito i suoi metodi e il suo gioco, ha dettato le regole, ha suggerito il mercato, e - soprattutto - ha conquistato tutti i tifosi, pure avendo ottenuto dei risultati per ora leggermente inferiori (secondi in campionato ed eliminati dalla Champions).
Sarri tutto questo non l’ha avuto. Il suo gioco, per adesso, si vede solo a sprazzi, anche se quando capita, come contro l’Udinese, sono gioie per gli occhi e reti a gogò. Peccato che non succeda quasi mai. Sui suoi allenamenti, Dagospia scrive che Giorgio Chiellini quest’estate «si lamentò a nome della squadra dei suoi metodi a forza di birilli, non in linea con le abitudini di una squadra che negli ultimi anni ha instaurato una dittatura calcistica in Italia», e che l’assenza per la polmonite nelle prime partite della stagione sarebbe stata in realtà «la classica malattia diplomatica usata come scudo da un offesissimo Sarri».
Detto, a onor del vero, che queste voci sono state smentite dalla società, resta comunque la sensazione che il professionista Sarri verrà giudicato solo in base ai risultati e che niente gli verrà perdonato. Le due sconfitte con la Lazio non sono state ancora digerite, nonostante il titolo di campione d’inverno e la vittoria in carrozza contro l’Udinese, e i tifosi continuano a mugugnare. Il fatto è che quando manca la complicità, manca anche la fiducia. Se l’amore è qualcosa di cui non possiamo fare a meno, come dice il cardinale Gutierrez in New Pope, la verità è che Sarri e la Juventus per ora sono obbligati a farne senza, perché la scintilla non è mai scattata.
Certo, a Torino, nell’ultima era della Juventus, quella da Del Piero in poi, solo due allenatori sono stati veramente amati: Lippi e Conte. Il primo è ormai un vecchio saggio, e il secondo ha rotto definitivamente i ponti quando abbandonò la barca in piena estate 2014. Nessuno dei due tornerà mai più su quella panchina. Gli altri sono stati maltrattati, come Ancelotti, o sopportati fra mille critiche, come Allegri, che però adesso sotto l’effetto Sarri sta scoprendo di aver lasciato un mucchio di vestali che cominciano a rimpiangerlo. Il Max però aveva un grande asso nella manica: un rapporto strettissimo, di grande stima e amicizia, con il presidente, Andrea Agnelli, che gli permetteva anche di non subire troppo i capricci di uno spogliatoio difficile come quello della Juventus, pieno di campioni e di prime donne.
Anche Sarri ha i suoi sponsor: Paratici e Nedved, che conminciarono a contattarlo quando lui ancora allenava il Napoli e che hanno continuato a farlo durante tutta la sua trasferta londinese al Chelsea. Solo che Paratici e Nedved sono prigionieri dei risultati proprio come lui: se sbaglia Sarri, rischiano anche loro. L’uomo in tuta fino adesso può rivendicare i suoi numeri, il passaggio del turno in Champions con 5 vittorie e la classifica in campionato: «Abbiamno fatto 48 punti, che in prospettiva sono 96, avendo cambiato modulo dui gioco e con tutti gli infortuni che abbianmo avuto. Credo che c’è da essere soddisfatti».
Sotto la cenere, c’è però il rapporto con i giocatori. Paulo Dybala sembra il più in forma di tutti, ma è anche il più sostituito di tutti, e l’ultima volta se l’è presa pubblicamente a male: ha giocato solo 5 partite intere su 26 (nessuna di queste in Champions League), 8 volte è entrato dalla panchina e 13 volte è stato richiamato in panchina. E la critica non è molto d’accordo con l’allenatore. Poi c’è Ronaldo: l’unica volta che è stato sostituito contro il Milan, ha reagito andando subito negli spogliatori e lasciando lo stadio al Novantesimo.
Il problema è che Sarri non è né un seduttore né un dittatore. E’ un tipo chiuso, umbratile, molto determinato, uno che faceva il dirigente di Banca e che ha lasciato tutto in nome della passione per allenare il Tegoleto tra i dilettanti, un genialoide a modo suo, con un caratteraccio da toscano vero. Gonzalo Higuain, che lo adora, ha confessato al Telegraph di aver imparato molto da ogni allenatore, «ma non ho dubbi che Sarri sia quello che ha tirato fuori il meglio di me. Non molla mai, è testardo, e anch’io lo sono e a volte ci siamo scontrati. Con lui ho fatto la miglior stagione della mia carriera. Diceva che sono un animale da gol. Ma il problema è che lo diceva agli altri. Non a me».
In fondo, in questa dichiarazione d’amore di Higuain, c’è molto di "Mister 33", come lo chiamavano quando allenava la Sansovino, perchè 33 erano i numeri degli schemi che provava in allenamento: un tipo che tira diritto per la sua strada, niente ruffiano e molto polemico, non troppo propenso al dialogo e al complimento. Uno studioso del calcio, un intellettuale così poco juventino, niente giacca e cravatta, innamorato più del bel gioco che del risultato. Anche se per ora se l’e cavata con i risultati e meno con il bel gioco. Ma questo è Sarri: «La Juve mi ha cambiato? Mia moglie dice che sono sempre la stessa testa da cazzo di prima».