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Calcio in quarantena: partite a porte chiuse per evitare il caos. Ma per i tifosi paganti è una beffa doppia

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Calcio in quarantena: partite a porte chiuse per evitare il caos. Ma per i tifosi paganti è una...

Mettere il pallone in quarantena non è così semplice, in un Paese che, come diceva Churchill, «fa la guerra come se fosse una partita di calcio e una partita di calcio come se fosse la guerra». Eppure il coronavirus ci sta riuscendo. L’ultima notizia è che persino il Friuli, dove fino adesso non è stato registrato nemmeno un contagio, avrebbe deciso di non far giocare Udinese Fiorentina. Dopo l’ultima giornata a metà con quattro rinvii (Atalanta-Sassuolo, Verona-Cagliari, Torino-Parma e Inter-Sampdoria), da qui in avanti è proprio un bel pasticcio.

E’ vero che le ordinanze emesse si limitano per ora a bloccare tutti gli eventi e le manifestazioni in programma nelle zone a rischio contagio per una settimana, ma il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha già fatto capire che molto probabilmente queste misure si protrarranno ancora. Per quanto tempo nessuno lo sa. Ma basta anche solo una settimana di più per mettere nei guai, e in guai seri, il nostro mondo del pallone.

Il fatto è che se si ferma il calcio non è solo un danno economico rilevante per le società. La soluzione che in queste ore si sta prospettando come la più possibile è quella delle partite a porte chiuse. Il danno economico resta, ma la stagione va avanti. Il caso più importante è quello di Juventus Inter, che oltre a essere il derby d’Italia è pure un match che potrebbe diventare decisivo nella corsa per l’assegnazione allo scudetto.

L’unica certezza è che non può essere rinviato, perché in questo caso i nerazzurri se dovessero andare avanti in Europa League - opzione non così sicura, considerata la facilità con cui Antonio Conte di solito esce dall’Europa - non avrebbero più un giorno libero in cui recuperarlo, visto che l’Uefa quest’anno vieta di giocare partite di campionato dopo il 24 maggio, in previsione degli Europei di giugno.

Disputare la sfida a porte chiuse significa per la Juventus una perdita secca di 5 milioni di euro, l’incasso cioé che entrerebbe nelle tasche dei bianconeri. Il presidente del Coni ha già espresso i suoi dubbi su questa possibilità, non senza aver sottolineato che comunque «lo sport in un momento così, non può andare per conto proprio. E’ giusto fermarsi e rispettare le decisioni dell’autorità. Sarebbe sbagliato e inelegante se fossero anticipate le mosse della politica».

Ma ha aggiunto poi che giocare a porte chiuse oltre al danno economico solleverebbe tutta una serie di problemi, a cominciare da quelli sull’ordine pubblico perché bisognerebbe distogliere ingenti forze di polizia impegnate nel controllo per la quarantena del coronavirus, senza considerare l’immagine negativa che offriremmo al mondo - sono previsti 500 milioni di telespettatori - disputando una partita così importante in uno stadio vuoto, in un silenzio quasi surreale.

Per questa soluzione spinge comunque il governo, che in un primo momento aveva pensato di emettere un decreto del Presidente del Consiglio per far giocare le partite a porte chiuse. Poi ha fatto parzialmente marcia indietro, ma solo perché secondo l’esecutivo basta la dispensa del Ministero della Salute che prevede la sospensione di tutti gli avvenimenti sportivi aperti al pubblico. L’Inter ha anche il problema della partita di Europa League che dovrebbe disputare giovedì contro il Ludogorets. I bulgari hanno chiesto rassicurazioni all’Uefa. E da Nyon sono stati molto chiari: si gioca senza se e senza ma. A porte chiuse a San Siro, o in un campo da designare (Udine, Firenze o Roma).

Quella della sfida giocata in un altro stadio fuori dalle zone a rischio contagio per il coronavirus sarebbe anche l’opzione B della Juventus. La Regione Piemonte dal canto suo ha emesso un’ordinanza che vieta le manifestazioni sportive fino a sabato 29 febbraio, lasciando ancora una residua speranza per il match contro l’Inter che dovrebbe disputarsi la domenica. Ma si tratta veramente di una speranza aggrappata a percentuali forse nemmeno superiori allo zero.

Una decisione verrà presa al vertice in via Allegri a Roma, con i delegati dei Ministeri dello Sport e della Salute e di Marotta e Lotito in rappresentanza delle società di Serie A. Anche se a questo punto il provvedimento sembra abbastanza scontato, visto che persino Andrea Agnelli intervenendo a «Tutti convocati» su Radio24 ha ammesso che questa è forse l’unica soluzione possibile: «E’ evidente che c’è il dialogo con tutti i soggetti portatori di interesse. Appoggeremo qualsiasi determinazione assunta nella salvaguardia della salute pubblica.

Se così disporranno gli enti, così faremo. L’interruzione del sistema sportivo è difficile, c’è un calendario intasato, anche perché si è iniziato il campionato tardi e si è deciso di non giocare durante la sosta natalizia». Inoltre, ha aggiunto, «è estremamente complicato spostare la partita altrove in campo neutro. In quest’ottica, ancorché dispiaccia per lo spettacolo, dobbiamo avere in mente la tutela della salute pubblica».

Quelli che subirebbero una beffa doppia, se come ormai sembra si deciderà per le porte chiuse, sono i tifosi che hanno già comprato il biglietto e soprattutto gli abbonati, perché il regolamento delle condizioni di vendita non prevede il diritto al rimborso. Proprio per questo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha già avviato un procedimento nei confronti di nove club, fra cui anche la Juventus in via del tutto preventiva.

Alla fine, dunque, si dovrebbe andare verso questa scelta. Anche il campionato italiano entra in quarantena. A porte chiuse, sprangato nelle sue case, senza il suo pubblico. Quanto durerà? Il timore - fondato - è che non bastino 15 giorni. Ma tranquilli. Se è vero come è vero che da noi il calcio si gioca più fuori dai campi che dentro agli stadi, il coronavirus non potrà farci niente. Troveremo il modo per litigare, insultarci, sbraitare e accusare gli arbitri, come se avessimo pagato il nostro biglietto e fossimo tutti lì dentro a far da giudici e maestri, in una normale domenica italiana.

 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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