Dopo la sconfitta, Conte al suo passo d'addio? Non basta un mercato super. E' lui che vuole mollare
Il serial winner per la prima volta non vince niente. Il Siviglia ha meritato. Ma anche l’Inter ha fatto una buona finale, disputando la gara che doveva e sapeva fare
Il giocatore più forte dell’Inter, Romelu Lukaku, ha regalato l’Europa League al Siviglia. Il calcio è fatto così. A 15 minuti dalla fine della partita sull’ennesimo calcio piazzato, Diego Carlos colpisce in rovesciata una palla che sta finendo fuori, quando il centravanti nerazzurro allunga il piede e la insacca alle spalle di Handanovic il 3 a 2 decisivo. Gli spagnoli conquistano così per la sesta volta la Coppa. Il serial winner Antonio Conte invece per la prima volta non vince niente. Il Siviglia ha meritato. Ma anche l’Inter ha fatto una buona finale, disputando la gara che doveva e sapeva fare, molto italianista, ma senza rinunciare a capovolgere il fronte e colpire gli avversari.
La differenza sta proprio qui, che gli spagnoli hanno giocato per occupare il campo, come comanda il calcio europeo, e l’Inter per trovare gli spazi, come si fa in Italia. Conte non ha niente da rimproverarsi. Ha perso l’Europa League come ha perso il campionato, per una inezia, un punto, un autogol, per quel destino avverso che ogni tanto si diverte a infierire sulle sue vittime. Se dovessimo scegliere, forse meritava più lo scudetto che la Coppa, viste le condizioni penose in cui è arrivata sul filo di lana la Juventus. E se davvero lui ha l’intenzione di salutare tutti, come ha lasciato intendere alla fine, sarà questo il suo più gran rammarico.
Certo è che l’allenatore dell’Inter questa partita la sentiva particolarmente per più di un motivo, perché l’aveva costruita da quella sfuriata dopo la vittoria con l’Atalanta, caricando giorno per giorno la squadra, stringendosi attorno a lei, isolandola da tutti. Probabilmente era sicuro di vincerla, come dimostra il suo nervosismo eccessivo nella lite con Banega, minacciandolo di risolvere la questione fuori dallo stadio dopo che lui l’aveva sfottuto mimando un parrucchino. Una vittoria gli sarebbe sicuramente servita sul tavolo della trattativa con la società.
La sconfitta cambia qualcosa? Se Zhang l’ha elogiato senza andar più in là di questo («Devo riconoscere che l’allenatore e il suo staff stanno facendo un grande lavoro. Ci riposeremo e poi useremo i prossimi giorni per programmare il futuro»), Beppe Marotta si è invece sbilanciato un po’ di più per la sua conferma: «I risultati vincenti sono il frutto del giusto affiatamento che c’è nella squadra, grazie soprattutto all’allenatore. Ha dato la giusta gioia di lavorare ed è il modo giusto per continuare nel solco di quanto fatto quest’anno». Ma forse non basta. Come avevamo sempre detto, non era la società, o qualcuno dentro la società, che voleva mandarlo via, ma era lui che aveva posto le sue condizioni. La parola definitiva arriverà a breve. Di sicuro la proprietà non è in grado di garantirgli la rivoluzione dirigenziale che lui pretende.
E magari lui l’ha capito: "Ci prenderemo un paio di giorni di vacanza e poi a mente fredda faremo una disamina di tutto e cercheremo di programmare la prossima stagione. Con o senza di me. Per me è stata una annata bellissima, ma molto faticosa, e ringrazierò sempre la proprietà che mi ha dato questa opportunità. Se devo dire una cosa ne è valsa la pena". E poi: "E’ stato un anno troppo tosto, io ho una famiglia a cui tengo molto e devo decidere chi conta di più. Qualcosa è successo, è inutile stare a girarci attorno, capitano delle cose e a tutto c’è un limite, ci sono risvolti della vita privata che non mi va bene se sono intaccati. Un altro anno così non lo faccio".
Vedremo. Lasciare alla vigilia di un ciclo vincente che hai contribuito a creare è quantomeno strano, se non assurdo. Allegri dovrà fargli un monumento prima o poi. A questa finale era arrivato in grande spolvero. Dopo il fallimento nella fase a gironi della Champions League, il cammino in Europa dell’Inter è stato oggettivamente straordinario, al di là degli avversari incontrati, non certo tutti di prima grandezza: cinque vittorie su cinque, con 13 gol fatti e due subiti. Ed è soprattutto quest’ultimo dato, quello delle reti realizzate e prese, a confortare critici e tifosi. Difesa blindata e attacco prolifico.
Conte e gli effetti del lockdown sulla squadra
Com’era successo all’avvio della stagione, un’estate fa, Antonio Conte ha avuto bisogno del suo canonico mese per rientrare nella testa dei giocatori e rimodellare la squadra secondo le sue volontà. Il covid e il lockdown avevano finito in parte per resettare il lavoro svolto nei mesi precedenti. E’ stato un po’ come se l’Inter avesse dovuto ricominciare da capo, e i risultati ne hanno pagato le conseguenze. Solo per questa ripresa stentata i nerazzurri hanno perso il campionato, chiudendo ad appena un punto (erano partiti da meno sei) da una irriconoscibile Juventus, giunta al suo capolinea probabilmente molto prima che Sarri la mandasse in confusione, e cioé quando l’anno scorso il tanto vituperato Allegri aveva dichiarato che bisognava dar via mezza squadra e ripartire da lì. Se il coronavirus ha dato una mazzata terribile ai conti già traballanti della squadra di Agnelli, le ha però salvato il nono scudetto di fila.
A questo punto, però, l’appuntamento per l’Inter è solo rimandato. Se ne sono accorti tutti. Anche da Nanchino. Non è un caso se, fino ad oggi, l’unica squadra che ha fatto un po’ di campagna acquisti e ha gettato le basi per aggiungere molto altro di importante sa stata l’Inter: di fronte all’immobilismo degli avversari - con la sola eccezione di Oshimen del Napoli -, la società nerazzurra ha chiuso per Sanchez, ha fatto il gran colpo di Hakimi, ha impacchettato Tonali, e ora è pronta a definire Emerson Palmieri e Kumbullà, sognando persino Kanté. Senza dimenticare che da qui alla fine di settembre a questi si aggiungerà una punta di sostanza per dare il cambio a Lukaku.
Oggettivamente, è un mercato di altissimo livello, fatto di acquisti mirati, molto funzionali, ma anche di prospettiva. Secondo noi, in una campagna così, c’è tutta la firma di Beppe Marotta, con nome e cognome sottolineati per bene. E allora uno ci dovrebbe spiegare perché mai il tecnico dovrebbe ancora lamentarsi. Se c’era un uomo dei conti che non apriva il cordone - Ausilio o chi per lui? -, tutti questi soldi spesi fanno pensare che sia stato bypassato oppure che qualcuno dalla Cina gli ha fatto capire che questa volta non era il caso. Evidentemente al fumantino Antonio tutto questo non basta. Se è così, lascerebbe lasciare tutto questo ben di Dio nelle mani proprio di Allegri, uno che come lavoro sta imparando a mettersi seduto e aspettare le sue dimissioni. Una pacchia.