Vi spiego cosa perdono la Roma e il calcio italiano con l'addio di Daniele De Rossi
Il Capitano Futuro che è sempre stato un capitano, è l’ultima bandiera e forse anche qualcosa di più
"Danié caricaci ancora sulle spalle dove il tempo non esiste». Firmato: "Noi per la Roma". Daniele De Rossi era questo, il Capitano Futuro che è sempre stato un capitano, l’ultima bandiera e qualcosa di più. Il giorno che Danié ha annunciato l’addio, Kolarov ha detto che lui ha vissuto tante cose nella sua carriera, "ma uno come De Rossi nella mia vita non l’ho mai visto, un giocatore così appassionato e così legato alla sua squadra".
Gli striscioni
E allora forse non c’è niente da capire se fra gli striscioni che all’Eur hanno occupato gli spazi del sit in contro la società, fra gli insulti ai dirigenti e a Pallotta, c’era anche qualcuno che piangeva, perché i tifosi della Roma hanno un senso di appartenenza che forse un senso non ha, e non l’ha mai avuto per chi ha comprato questo marchio dall’altra parte dell’Oceano. Come scrive Tonino Cagnucci, il direttore del Romanista, "non c’è un senso. O se c’è, non è romanista. Non c’è niente di romanista in questa scelta. Cosa ci guadagna la Roma rispetto a quello che perde? Perde un simbolo. Perde un collante. Perde un pezzo di se stessa. Un pezzo di noi. Perde quel cazzo di tutto che io e nessuno riuscirò a scrivere adesso".
Addio bandiere
Nel calcio che cambia, nel calcio delle aziende e delle pay tv, delle partite da comprare seduti sulla poltrona del salotto, dei bilanci che fanno la storia e le classifiche, questa è l’ultima isola rimasta del passato, il calcio di Gigi Riva e di Antognoni, di quelli che dicevano no, di una speranza per ognuno di noi, quando eravamo un po’ tutti Leicester, e non c’erano miracoli ma solo poesie. Uno non è un tifoso della Roma perché vincere è l’unica cosa che conta. Lo è per amore. «A come Amore. Non A come Azienda», dice Cagnucci. Se la Juve abbandona Del Piero, e si separa da Allegri dopo 5 scudetti e 11 titoli vinti, perché quello che conta è solo la società, e se il Milan allontana Pirlo come se fosse uno qualsiasi, e Hamsik saluta Napoli inseguendo i soldi senza che nessuno gli chieda di restare, la Roma lascia il suo Capitano, Daniele De Rossi, senza neanche una parola. E’ solo un contratto non rinnovato.
Squadre come aziende
E nella decisione sicuramente ha pesato il lungo anno di agonia per l’addio di Francesco Totti, un’esperienza che i dirigenti hanno deciso comunque di non rivivere. Ma la Roma è un’altra cosa. E anche De Rossi. Francesco De Gregori ha detto che Daniele "è un patrimonio sportivo e morale. Il calcio è una favola e lui ne ha fatto parte da vero uomo!".
Ma si può spiegare questo a un’azienda che vive di bilanci e di conti, di registri con il dare l’avere, di risultati legati a un titolo, che è quello in Borsa però, non quello conquistato sul campo. Come lo spieghi a un’Azienda che in quella disfatta di Manchester, 7-1, la più brutta sconfitta europea dei giallorossi, sullo 0-5 per lo United, i tifosi della Roma cantavano l’inno? E sullo 0-6 proprio De Rossi si buttava in avanti per segnare il gol più bello della sua carriera, un no look che gelava Van der Sar, mica un gol qualsiasi, come se fosse la rete di una vittoria?
La protesta
Nei sit in per contestare la società, sotto la sede del club all’Eur, in fondo tutti gli striscioni e i cartelli ripetevano ossessivamente questo concetto. "Le bandiere non si ammainano..., Si difendono e si onorano. Dirigenza di cialtroni senza rispetto». L’As Roma è la nostra Leggenda. Solo gli indegni la chiamano Azienda". Questa volta non c’è neanche un allenatore a far da paravento, com’era successo per Totti con Spalletti. Claudio Ranieri, romano del Testaccio, non ha avuto nessuna indecisione a schierarsi con i tifosi: "A De Rossi andava detto in un altro modo, io da tecnico lo avrei tenuto. Lui ha già una testa da allenatore, mi auguro solo che col Parma ci sia una grande festa per salutarlo nel migliore dei modi".
I dirigenti contro
Pallotta, Baldini e gli altri questa volta sono rimasti da soli contro i tifosi. E contro Daniele De Rossi, che non è uno qualunque, che non si differenzia solo dal gruppo per l’uso dei congiuntivi, e per la sua storia, ma anche per la capacità unica di saper servire la sua passione con intelligenza. 36 anni a luglio, figlio di Alberto De Rossi, storico allenatore della Primavera e grande scopritore di talenti, un fedelissimo da sempre della società, è diventato il giocatore della Roma con il secondo maggior numero di presenze dopo Francesco Totti, due Coppe Italia e una Supercoppa in bacheca, sposato in seconde nozze con l’attrice Sarah Felberbaum, esordì 18 anni fa al 71’ al posto di Ivan Tomic in una partita di Champions League contro l’Anderlecht. "Non ero un ragazzino che credeva davvero potesse succedere tutto quello che poi mi è successo. Ci speravo, ho lavorato sodo per ottenerlo, ma non ci credevo molto. I primi anni ho anche giocato poco, non ero uno dei titolari, non ero una delle stelle o di quelli che potevano diventarlo, non ero il futuro capitano della Roma. Non ero per niente così".
Un vero Capitano
Poi invece è diventato tutto questo. E qualcosa di più. Perchè lui è quello che nella disastrosa partita contro la Svezia che ci ha tolti dal campionato del mondo per la prima volta dopo il 1958, quando Ventura gli dice di scaldarsi perché vuole farlo entrare in campo, sbotta come un vero Capitano: "Ma questa è una parita che dobbiamo vincere! Fai entrare Lorenzo, non me!". Lorenzo era Insigne. Ventura non fece entrare nessuno dei due. E non vinse la partita. Daniele De Rossi è quello che dice che lui ha un solo rimpianto, "quello di poter donare alla Roma una sola carriera". Eppure, un uomo così nel calcio business di oggi è fuori dal mondo, da questo mondo. E allora, come dice quello striscione, non resta che questo a Daniele, che caricare tutti sulle spalle e andare in un luogo lontano, dove il tempo non esiste, e si inseguono tutti quei sogni che non abbiamo saputo cercare.