[I ritratti] Simone incanta, Pippo fallisce ancora: la vita capovolta dei fratelli Inzaghi
Come giocatore Filippo ha vinto tutto, "Inzaghino" uno scudetto e tre Coppa Italia. Ma le gerarchie si sono ribaltate quando sono arrivati sulla panchina
Il destino incrociato dei fratelli Inzaghi è arrivato al bivio proprio nel giorno in cui hanno perso tutti e due, ma facendo vedere al mondo come possano essere così lontane due sconfitte. Se Simone ha perso «a testa alta», come sancisce la retorica dello sport, Filippo è stato umiliato, in casa, dalla penultima in classifica, dal risultato, da Joey Saputo, il suo presidente: «La squadra ha fatto pietà, chiedo scusa ai tifosi». Simone ha dominato per quasi 90 minuti la squadra più forte del campionato, l’ha schiacciata in area, l’ha attaccato sempre, ed è stato battuto ingiustamente, a detta di tutti, una volta tanto, anche degli avversari. Filippo, l'unica volta nella sua carriera da allenatore che ha provato a mettere il naso fuori dalla sua tana, perché questo era uno scontro salvezza che doveva vincere a tutti i costi, è stato letteralmente massacrato. Dopo la partita Simone ha parlato con la voce roca, «il calcio è crudele», ha detto. Dopo la partita Filippo non ha parlato, non ce l’ha fatta. Simone dice che l’ha sentito, che è «sicuro che si rialzerà».
Anche in questo si sono invertiti i ruoli: l’allenatore della Lazio è di due anni più giovane, eppure adesso parla come un fratello maggiore, dopo essere stato per tutta la vita quello minore, quello che non sarebbe mai arrivato come lui, quello che guardava alla tv l'altro che vinceva il campionato del mondo, che alzava le coppe dalle grandi orecchie, che segnava sempre, che giocava nella Juve e nel Milan e vinceva tutto lui. Nella vita capovolta dei fratelli Inzaghi, il più piccolo è stato convocato in Nazionale solo tre volte, da Dino Zoff, e una volta ha pure giocato insieme a Pippo, in un’amichevole contro la Spagna. Il più grande ha collezionato 57 presenze e una Coppa del Mondo a Berlino.
Tutto è cambiato da quando sono arrivati sulla panchina. Quel ragazzo che «dev’essere nato in fuorigioco», come disse Alex Ferguson di Filippo Inzaghi, fece un breve apprendistato con la Primavera e poi approdò subito in prima squadra, al posto di Seedorf, che aveva temporanemanete sostituito Allegri, perché in realtà era da subito lui il predestinato. Era il preferito di Barbara Berlusconi, che allora era dirigente del Milan.
Anche Simone allenava le giovanili nella Lazio. Ma lui ci restò 4 anni, e dovette vincere un bel po’ di tornei e coppe varie. A differenza di Filippo, ci arrivò per caso in prima squadra: sostituì per poche domeniche l’esonerato Pioli, poi fu spedito alla Salernitana. Solo che il prescelto Marcelo Bielsa, dopo un lungo tira e molla, non trovò l’accordo con Lotito e il vulcanico presidente dei biancocelesti chiamò in corsa il ragazzino di casa. Il primo campionato di Filippo è un fallimento: il Milan gioca da far schifo, tutto rintanato nella sua metà campo, come mai era successo nell’era Berlusconi. Il Cavaliere scende persino negli spogliatoi a catechizzare i suoi: «Noi dobbiamo giocare all’attacco, dobbiamo andare all’attacco!! Ripetetelo con me». Dietro di lui, il mister sorride a disagio. Un altro tecnico sarebbe stato esonerato subito senza tante parole. Ma Filippo è protetto da Barbara. E resta in sella sino alla fine della stagione. Simone invece fa un campionato straordinario: arriva quarto. E dando anche spettacolo. Uno è coccolato da Barbara. L’altro frustato da Lotito, beccato una volta a fargli la ramanzina: «Già te l’ho detto, decido io, non decidi te. Te lo sto dicendo in tutte le salse. Ti stai sempre a lamentare di tutto. Hai una squadra che vale 10 volte quelle che valgono le altre, te lo ha detto Tare e tu fai finta di non capire, Pensa a fare l’allenatore».
Solo che poi il fratello più grande lo cacciamo sempre via, e quello più piccolo se lo tengono stretto tutti, compreso Lotito. La cosa strana è che utilizzano tutt’e due lo stesso modulo, quel 3-5-2, che è un po’ la versione aggiornata del catenaccio di antica memoria. Solo che uno - Simone - se ne serve in funzione offensiva, per trovare spazi vuoti su cui lanciare i suoi uomini. L’altro - Filippo - soltanto per difendersi. Ed è lui stesso ad ammetterlo, spiegando il suo calcio: «A me non piace vender fumo. Cerco un calcio pratico che mi faccia vincere le partite».
Alla fine, il paradosso è che proprio dalla squadra dalla mentalità più spettacolare del campionato italiano sono venuti fuori i due allenatori più sparagnini della serie A, Gattuso e Inzaghi. Pensando soltanto a costruire la squadra per non prendere gol, quando poi bisogna attaccare si finisce come contro il Frosinone, che non si sa da che parte cominciare, perché non c’è nemmeno uno schema o un’idea di gioco, e si prendono 4 pappine senza farne nessuna. Simone è completamente diverso, e il risultato si vede. Contro la Juventus di Ronaldo e dei 7 scudetti consecutivi, non ha paura di scendere in campo a viso aperto pensando a vincere, e non a non prendere gol. Filippo dopo il Milan, retrocede in Lega Pro col Venezia. Simone invece cominciano a corteggiarlo in tanti. Assieme a Zidane è il candidato numero uno sulla panchina della Juve per il dopo Allegri. Lotito se ne prende merito: «Inzaghi è una mia invenzione. L’ho portato nelle giovanili e ora sta dando i suoi frutti».
Nonostante tutto, anche Filippo sembra avere un gran futuro. Ne è convinto Vincenzo Montella, altro ex allenatore del Milan, e suo rivale da centravanti negli anni d’oro: dice che è il carattere la sua forza. «Ancora oggi non riesco a spiegarmi come facesse a segnare tanti gol. Se scomponi il centravanti Inzaghi, trovi ben poco di interessante. Non aveva dribbling, non aveva tiro da fuori. Era più scarso rispetto a tanti bomber che hanno avuto la metà del suo successo. Però lui nel suo lavoro ci ha messo tenacia, convinzione, rabbia. La grinta ha pagato più del talento. E con le stesse armi diventerà anche un grande allenatore». Magari sì. Il giorno che comincerà a copiare un po' il fratello minore, a imaparare un po’ da lui, a seguire il flusso, legger meglio questa vita rovesciata e capire la lezione.