Spogliatoio spaccato in 4 fazioni, il grande errore di De Laurentis quest’estate: cosa c’è davvero dietro la crisi del Napoli

Subito dopo le due sberle della Fiorentina, Aurelio De Laurentiis, bloccato a Roma da impegni di lavoro, ha chiamato Gattuso abbastanza inviperito - tanto per usare un eufemismo - e s’è sfogato: questa squadra non ha un gioco e non ha cuore, senza contare quel Luperto schierato terzino. Così non va. Piccolo problema. Se Ancelotti non si fosse accasato di corsa all’Everton, senza aspettare neanche due minuti per pensarci sopra, l’avrebbe già richiamato sulla panchina del Napoli. Ops. Ancelotti l’ha cacciato lui, perché aveva dimostrato di non aver polso, con quella storia del ritiro e i giocatori che non lo volevano e il mister che stava a metà strada, ma più dalla parte loro, prima dell’ammutinamento del 5 novembre.
Dopo la Fiorentina invece ci sono andati tutti in ritiro, a guardarsi in faccia a brutto muso e dirsene di ogni colore, Allan contro Mertens e Mertens contro Allan e tutti contro tutti. Adda passà a nuttata. Difatti: il mattino dopo sono tornati tutti a casa. Ops, di nuovo. Proprio come quella volta con Ancelotti. Ma Rino Gattuso non doveva essere il sergente di ferro che rimetteva al loro posto gli ombrosi ribelli dello spogliatoio più indisciplinato dell’era De Laurentiis, il Ringhio feroce che buttava all’aria una volta per tutte la musica e lo spartito di quel gentiluomo di Carletto? Adl l’aveva preso per quello, non c’è dubbio. Ma anche un sergente di ferro rischia di non combinare niente se la truppa non ha più fucili.
Perché in fondo il vero, grande errore di De Laurentiis è proprio questo, non aver dato retta ad Ancelotti quest’estate, quando gli diceva che bisognava assolutamente cambiare alcuni uomini, non aver capito che il ciclo forse era finito. Da lì è disceso tutto il resto. Il fatto è che Adl è di quelli che gli riesce difficile ammettere d’aver torto. E’ più facile che si arrabbi. E quando si arrabbia è di quelli capace di saltare sul primo motorino che passa e andarsene via in faccia alle telecamere mandando tutti al diavolo, come avvenne una volta alla Lega. E’ uno che bisogna stare attenti a non pestargli troppo i piedi, se no gli salta la mosca al naso, come ai tempi di Mazzarri, che esplose con i giornalisti che parlavano di crisi del Napoli: «E’ una stagione buttata nel cesso?!
Ma chi l’ha detto?! Ma chi si permette di dire queste idiozie?! Ma che cazzo avete vinto a Napoli? Avete vinto due scudetti e una coppa Italia? Una coppa Uefa? Sono più di vent’anni che non stavate rivivendo un certo periodo di protagonismo. Perchè io poi me ne posso pure andare, alla fine uno si rompe i coglioni e se ne va! E io me ne ritorno a fare cinema... Ma se io devo stare qua, bisogna che tutti quanti ci armonizziamo, e i tifosi per primi, per i quali io ho sempre detto che lavoro, perché per me i miei committenti più importanti sono loro. Però tutti quanti debbono stare con i piedi per terra. Perché a Napoli non funziona un cazzo. Non è che uno dice, "sai a Napoli funziona tutto, e poi c’è anche il calcio". No. A Napoli c’è solo il calcio, e allora ringraziate».
Un fumino così potete immaginare come se l’è presa il 5 novembre, quando i giocatori se ne sono infischiati bellamente delle sue direttive sul ritiro andandosene a casa a dormire con la moglie e la famiglia, come se lui fosse il portiere d’albergo che gli aveva assegnato le stanze. Siccome Ancelotti non voleva usare il bastone contro questi reprobi sfaccendati, ha pensato che l’unica cosa da fare era quella di cambiare il manico. Se la squadra giocava male e non vinceva, la colpa era di Ancelotti. E se i giocatori non obbedivano la colpa era di nuovo sua. Chi meglio di Ringhio Gattuso, il calabrese di ferro che in campo digrignava i denti contro tutti, anche contro i suoi, ed era sempre l’ultimo a mollare? Così l’allenatore del Milan è stato chiamato in ospedale: c’è un malato da sistemare a modo tuo. Figurarsi se Ringhio non ci ha provato. Certo che ci ha provato.
Ma lo spogliatoio del Napoli è un parlamento abbastanza riottoso di gruppi contrapposti, che come succede a Montecitorio non vanno nemmeno d’accordo al loro interno. Ce ne sono quattro. La prima è quella dei senatori: Callejon, Allan, Mertens, Koulibaly. La seconda degli stranieri che rivendicano il prolungamento del contratto: Milik, Maksimovic, Zielinski. Poi c’è il gruppo trasversale di quelli distratti dalle voci di mercato, come Fabian Ruiz e Koulibaly. Infine, c’è l’ultimo gruppo dei giovani e dei nuovi arrivati, che si sono trovati in mezzo a queste suddivisioni senza capirci niente e senza saper neanche che cosa fare: Meret, Di Lorenzo, Lozano, Elmas, Luperto. Stare nello stesso gruppo vorrebbe dire andare d’accordo. Ma non è detto.
Quando Gattuso, dopo la sconfitta con la Fiorentina, nell’albergo del ritiro ha messo di fronte tutti i giocatori perché si chiarissero fra di loro e si dicessero in faccia le cose che non vanno, la lite più accesa sarebbe proprio stata quella fra Allan e Mertens, cioè, due senatori. Il brasiliano ha cominciato ad accusare Mertens di tirarla troppo per le lunghe con il suo infortunio, di essere andato addirittura in Belgio a farsi visitare e che era l’ora di darci un taglio, e il belga gli ha risposto per le rime, chiedendogli quand’è che tornava a giocare davvero, visto che adesso faceva solo pena? Quando si dice gli amici.
Il giorno dopo però di nuovo tutti insieme a scappar via dal ritiro. E’ l’unica cosa dove il Napoli gioca ancora come squadra, dimenticando gli attriti e le polemiche: la fuga col rientro a casa. In campo, invece, si impegna solo se gli gira. Adesso il calendario gli ha preparato due belle polpette: Lazio di Coppa Italia, e l’odiata Juventus in campionato, domenica sera. Occhio però alle apparenze: la sola volta in cui non meritava di perdere e aveva giocato persino meglio dei rivali, era stata proprio contro la Lazio. Se punto sull’orgoglio, il Napoli si rianima. Solo per quello, però. Se andasse male con i biancocelesti di Inzaghi, c’è comunque pronta l’ultima disfida.
Ritiro sì ritiro no. Stavolta però sarà dura ribellarsi ancora a De Laurentiis, che la pazienza l’ha già persa da un pezzo, da quando ha cominciato a combinare questo pasticcio. Secondo noi, prima o poi li sbatte dentro e butta via le chiavi. Ne avrebbe di cose da dire a questi ribelli. «Io non faccio il mestiere di moralizzatore, ma certe volte me li guardo negli occhi e dico: fatte un altro tatuaggio sul pisello, se hai spazio».