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Thiago Motta non è Allegri. Ma se fosse lui il nuovo Lippi?

Qualsiasi paragone fra i due è praticamente impossibile. Se proprio vogliamo trovare un tecnico juventino da avvicinare a Thiago Motta, allora è più plausibile il nome di Marcello Lippi per l’intensità di gioco e il coraggio, trasmessi a una squadra, abituata a fare della prudenza il suo karma

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
(Ansa)
(Ansa)
Cosa c’entra Thiago Motta con Allegri? A dirla tutta, niente, ma proprio niente. Siccome però qualche firma famosa e opinionisti di grido hanno tirato in ballo il paragone più di una volta, anche se dopo Lipsia facevano finta di niente, tipo Di Canio su Sky, proviamo a ragionarci sopra. D’altro canto, l’ombra di Allegri sulla Juventus è come la nuvola di Fantozzi. Non manca mai. Va detto subito che molti di questi illustri commentatori sono gli stessi che si profusero in sperticate iperboli per descrivere Douglas Luiz, sostenendo che era arrivato «un giocatore decisivo» e «un vero fuoriclasse». Parole già sentite per Ramsey o altre meteore sparse. Il calcio è materia fluida, se ne disserta come al bar, tra un bicchiere e l’altro, magari qualcuno di troppo.

Douglas Luiz è una palla al piede

In realtà Douglas Luiz è una delle grandi palle al piede di questa Juventus e del suo mercato. Anche i grandi sbagliano: era capitato a Marotta - chi si ricorda Martinez o Elia? - e ora è successo a Giuntoli. Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, lo battezzò alla prima apparizione: troppo lento, è un punto debole della Juventus. Aveva ragione. Di sicuro pensa la stessa cosa anche Thiago Motta. Per questo lo sta bocciando, perché non corre, non fa bene le due fasi e non ci mette l’anima. Però, siccome è costato un botto, ci riprova ogni volta, sperando di cambiarlo. Con Allegri Douglas Luiz non avrebbe visto il campo neanche due minuti, ma per un solo motivo: non serve un centrocampista che non difende.

Thiago Motta cura meno la fase difensiva

Non che Thiago Motta curi meno la fase difensiva. Basta guardare i risultati del Bologna dell’anno scorso per capirlo. Nelle prime sei giornate, fece tre zero a zero, proprio come quest’anno con la Juve, e alla fine del campionato la difesa dei felsinei era la terza meno battuta, con dei numeri pressoché identici a quelli di Allegri: 54 gol segnati, 32 subiti (i bianconeri, 54 e 31). Il modo di arrivarci però era stato completamente diverso. Come testimonia non solo la spettacolare partita di Lipsia, quando toglie un difensore per mettere proprio Douglas Luiz (un cambio che avrebbe inorridito Allegri), ma la dichiarazione rilasciata dopo il pareggio con il Cagliari: «Abbiamo sbagliato a difendere il vantaggio, dovevamo continuare ad attaccare». Thiago Motta e Allegri hanno due sistemi di gioco completamente diversi, e pure due metodi di allenamento e preparazione atletica opposti. Li dividono i concetti e la scelta degli uomini per realizzarli. Il calcio di Max è un calcio antico, solido e cinico. Quello di Thiago trae origine dalle sue esperienze col Barcellona, anche se i riferimenti citati nella sua tesi di abilitazione al Master Uefa sono Joachim Low e Marcelo Bielsa.

Qualcosa in comune con Lippi c’è 

Alla fine, qualsiasi paragone fra i due è praticamente impossibile. Se proprio vogliamo trovare un tecnico juventino da avvicinare a Thiago Motta, allora è più plausibile il nome di Marcello Lippi. Un giornalista gliel’ha chiesto, in conferenza stampa, quando la Juve viaggiava sulle botte di tre a zero ad inizio campionato, se si rivedeva in Marcello Lippi, e lui aveva fatto segno di no con la testa prima ancora che finisse la domanda: «Lippi è un grande allenatore, ha fatto la storia di questo club e della Nazionale. Ma io non vedo nessun paragone, sono un’altra cosa». Eppure qualcosa c’è in comune, fra i due. L’intensità di gioco e il coraggio, ad esempio, trasmessi a una squadra, abituata a fare della prudenza il suo karma. Dopo una meritata sconfitta col Foggia di Zeman, due a zero e figuraccia, Lippi inaugurò l’era delle tre punte, Vialli-Ravanelli-Del Piero, che avrebbe cambiato la storia della Juve. Alla base di quella rivoluzione c’erano metodi di allenamento abbastanza innovativi, che consentivano alla Juve di correre più degli altri. Dal marine Ventrone a Simon Colinet, il preparatore di Thiago, qualcosa di simile c’è. Come c’è pure l’idea del gruppo. E del coraggio che ci vuole per riaffermare l’autostima. Certo, sono epoche completamente diverse e il calcio è profondamente cambiato da allora. E i paragoni alla fine sono tutti azzardati. Una sola cosa resta. Vinci se hai i giocatori più forti. Un tecnico conta fino a un cento punto. Con Bremer, il miglior difensore del campionato italiano, la Juve aveva subito zero gol, e appena è uscito ne ha presi tre. E se hai Mbappé e Bellingham, forse è tutto più facile. 
Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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