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Spagna e Inghilterra, la finale della gioventù di talento

In campo due squadre che giocano per vincere: una più prudente, l’Inghilterra, l’altra meno. Ma tutt’e due consapevoli che nelle proprie bocche di fuoco sta la loro forza

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Foto Ansa
Foto Ansa

Inghilterra o Spagna. Se si guarda ai talenti che scenderanno in campo è la finale più giusta. Nessuna nazionale può vantarne così tanti come queste due, neanche la Francia, che con il passare degli anni sta perdendo i suoi grandi uno alla volta, senza riuscire a trovare ancora i giusti ricambi allo stesso livello. Ma questi Europei, con le finaliste di Berlino, ci hanno detto pure molte altre cose. Che nel calcio moderno, con la sua intensità e la sua velocità, ci stanno meglio i giovani, se sono bravi. Inghilterra e Spagna (soprattutto) ne hanno una bella batteria.

Due squadre che giocano per vincere

Nico Williams, Yamal, Pedri, Rodri da una parte, e dall’altra Bellingham, Kobbie Mainoo, Saka e Palmer, senza dimenticare il ventiquattrenne Foden. Si sfidano due squadre che giocano per vincere. Una più prudente, l’Inghilterra, l’altra meno. Ma tutt’e due consapevoli che nelle proprie bocche di fuoco sta la loro forza. Il 352, il modulo preferito in Italia, perché garantisce maggior copertura, era sparito già dalle semifinali, mentre la difesa a tre annovera ancora molti estimatori, Gareth Southgate compreso. Gli esterni di fascia offensivi sono gli uomini che si sono messi più in mostra (Nico Williams, Saka, Yamal, volendo anche Foden). Hanno tutti tecnica e classe, ma soprattutto i due requisiti più richiesti: fiato e velocità. Andremo sempre più di corsa, pure sui campi di calcio. E’ questo il futuro che ci aspetta.

Pronostico difficile

Come ogni finale anche questa è un po’ un terno al lotto. Si sfidano, come abbiamo sempre detto, la più bella del torneo e la più fortunata. Alla fine del loro percorso è difficile capire chi ne ha di più. La Spagna ha giocato una volta i supplementari, l’Inghilterra due, cavandosela per il rotto della cuffia, ma per come è scesa in campo durante tutto il torneo prima della semifinale con l’Olanda, senza mai dannarsi troppo l’anima, con una certa aria di sussieguo, forse è lei quella che ha più energie. Poi, sinceramente, con tutta la fortuna che ha avuto per arrivare a Berlino (i gol agli ultimi secondi, i rigori) sarebbe una beffa assurda perdere la finale. A meno che il fato non cambo idea e decida di premiare finalmente la più bella del reame. Cioè, la Spagna.

Due Ct selezionatori

L’altra cosa che accomuna Inghilterra e Spagna è che sulle loro panchine non siedono due allenatori affermati da prendere nelle squadre di club, ma due tecnici che hanno fatto la loro gavetta nelle rispettive federazioni, con una missione comune: quella dei giovani. Che poi i giovani bisogna averli: se non ci sono non servono a niente quelli comne De La Fuente e Southgate. In molte cose i due si assomigliano, sono due ex difensori, entrambi pacati e signorili il giusto. La differenza è che in patria De La Fuente lo lasciano in pace, Southgate no. Quando dopo il pareggio con la Danimarca è andato verso la curva per ringraziare i tifosi, è stato accolto da una pioggia di lattine e bottiglie vuote e da una sequela di insulti molto poco amichevole. Un giornale pochi giorni fa aveva pubblicato una vignetta di Southgate che cercava di mettere la sua firma a caratteri maiuscoli con la scritta che diceva, You don’t know wath you’re doing, non sai che cosa stai facendo. Che poi è questa l’accusa più comune che gli fanno. Di avere dei grandi talenti in squadra, ma nessuna idea per farli giocare insieme. In realtà i meriti di Southgate sono altri. E comunque lui i suoi giovani talenti li convoca e li fa giocare. Come dimostra la sua storia. Dopo i disastri dell’Euopeo 2008 e dei mondiali 2010, l’Inghilterra decise di investire una grossa cifra su una radicale rivoluzione della scuola calcio e sul movimento giovanile, alla ricerca di nuovi talenti (quello che dovrebbe fare l’Italia, magari se ci fosse qualcun’altro al posto di Gravina) e affidò proprio a Southgate l’incarico di coordinatore del vivaio, spostandolo poi nel 2013 alla guida dell’Under 21. Perché proprio lui? Perché Mister Gareth è uno che ha studiato e ha conseguito pure un certificato per un «Programma di formazione giovanile della società di istruzione superiore e professionale dei calciatori». Ecco, Southgate si è occupato sempre di giovani, e dà loro fiducia, sapendo bene che non basta il talento per diventare grandi: questo è il suo merito. Non sarà un grande tecnico, però è un buon selezionatore. La sua fortuna è la Premier e il materiale infinito che offre. E lui, a onor del vero, non ha mai avuto remore a lanciare i talenti più giovani, anche a costo di sacrificare qualcuno dei suoi uomini, come ha fatto con Kobbie Mainoo al posto di Alexander-Arnold, che era un difensore piazzato a centrocampo per far da argine e rassicurare così la prudenza di Mister Gareth. Mainoo è tutta un’altra cosa, ma è il collante perfetto fra difesa e attacco.

A chi andraà il Pallone d’Oro?

Dopo la partita con l’Olanda, gli insulti in patria sono cessati. E se torna a casa con la coppa, il titolo di Sir non glielo leva più nessuno. Da pippa a baronetto. Ma non è l’unico titolo che mette in palio la finale di Berlino. C’è anche quello del pallone d’oro. Grande favorito il re Bellingham. Ma occhio alle sorprese. Tipo una vittoria della Spagna con un altro gol di Yamal. E allora ballerebbe anche il trono del re.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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