[il commento] Il miracolo di Grosjean e l'incubo infinito delle Ferrari
Il miracolo è quello che ci ha consegnato vivo il pilota, uscito illeso dalla fiamme torreggianti, saltando sopra le protezioni come se quella che stavamo vedendo fosse la scena di un film, e non della realtà.
Il miracolo c’è stato, ma non nell’ordine di arrivo. Quello è più o meno sempre uguale, in qualunque parte del mondo e a qualunque ora scendano in pista i bolidi della F1. Il miracolo è quello che ci ha consegnato vivo Roman Grosjean, uscito illeso dalla fiamme torreggianti, saltando sopra le protezioni come se quella che stavamo vedendo fosse la scena di un film, e non della realtà.
Eppure è vero: la sua macchina è esplosa in una vampata che ha sciolto la scocca e l’abitacolo in un tempo brevissimo, con le sue lingue di fuoco che si alzavano al cielo, e lì in mezzo è apparso all’improvviso Grosjean. Il pilota francese è uscito miracolosamente illeso da quella palla di fuoco scaturita dall’impatto contro il guardrail, grazie alla capsula di salvataggio in carbonio che lo protegge e alla sua prontezza di riflessi. Ci ha messo appena cinque secondi a venir fuori. Grosjean è stato poi portato in ambulanza al centro medico, dove gli hanno riscontrato qualche piccola ustione alle mani e alle caviglie, come ha segnalato un tweet del suo team, forse una o due frattura alle costole, «ma è cosciente e sta bene». Ed è proprio questo che l’ha salvato, il fatto di non aver perso conoscenza, che è una cosa che capita la maggior parte delle volte in incidenti del genere. Guardando quelle immagini terribili, resta come un senso di incredulità nel vederlo comunque camminare sulle gambe, mentre scavalca le fiamme per andare incontro al medico, il dottor Roberts, che si era coraggiosamente avvicinato alla macchina avvolta dalle lingue di fuoco.
L’incidente è successo praticamente quasi subito dopo il via: la Haas di Roman Grosjean ha toccato la Alpha Tauri di Kvyat, è andata in testa coda e ha sbattuto contro le protezioni, spezzandosi in due nel boato di un’esplosione. Dopo cinque secondi per fortuna, il casco e la tuta del pilota francese sono sbucati fra le fiamme. Poi ci sono volute quasi due ore per riprendere la gara. Hamilton s’è fatto i suoi bei 57 giri da solo, annoiandosi un po’ a rimirare i tabelloni e gli spalti vuoti, cercando nello specchietto retrovisore qualcuno che si avvicinasse. In crisi Bottas, retrocesso inopinatamente nelle retrovie, a battagliare avrebbe dovuto esserci Verstappen, che le ha tentate tutte, anche le tre soste, ma il divario è quello che è e non c’è niente da fare. E le Ferrari? La solita pena. E per i miracoli ripassare in un’altra vita. E che sarebbe stata una gara così l’avevano capito tutti, meno l’ineffabile Laurent Mekies, il direttore sportivo, che alla vigilia aveva tirato su il morale agli illusi: «Una qualificazione difficile, come del resto ci aspettavamo. Abbiamo privilegiato la gara nella gestione odierna degli pneumatici e contiamo che questa scelta porti i suoi frutti». Difatti: Leclerc decimo all’ultimo respiro, grazie al ritiro di Perez. E Vettel tredicesimo. Ma la verità più che i suoi dirigenti la raccontano i numeri. Che sono impietosi.
Un anno fa la Ferrari di Leclerc aveva conquistato la pole position sulla pista di Bahrein. E dietro di lui c’era Sebastian Vettel. In quella gara, che era all’inizio della scorsa stagione, la Mercedes non aveva ancora trovato il suo oro, trasformando una ottima vettura in un gioiello quasi imbattibile. La Ferrari lavorava sull’aerodinamica e volava su una pista dove avere carico e potenza - qualità di cui poteva vantarsi la Rossa dell’anno scorso - sono fondamentali. A distanza di un anno e mezzo il cronometro è il miglior giudice ed è un giudice implacabile. Facendo riferimento solo alle qualifiche, Hamilton ha migliorato la sua prestazione di 926 millesimi, e Bottas di 703. Vettel invece è andato più lento di 989 millesimi. E Leclerc addirittura di 1,299 millesimi, praticamente un secondo e tre decimi, sulla stessa pista e con le stesse gomme.
Il crollo di prestazioni del motore è evidente. In una F1 dove tutti migliorano, la Ferrari peggiora sistematicamente. L’anno scorso, sulle dieci macchine arrivate in Q3, ben cinque, una su due dunque, avevano il motore Ferrari. Quest’anno nessuna. Tutte le altre macchine hanno compiuto notevoli progressi: la Williams addirittura ha fatto un balzo in avanti due secondi e mezzo, la Racing Point di uno e mezzo. A Maranello dicono che devono lavorare e lavorare sempre di più, ma non servirà a niente, parliamoci chiaro. In queste condizioni, togliere un secondo a se stessi può voler dire solo due cose: un miracolo o cambiare completamente macchina. La seconda opzione è da scartare, perché il prossimo anno il regolamento obbliga a tenere le stesse vetture con piccoli accorgimenti. E per i miracoli lasciamo perdere.
Accontentiamoci di quello che abbiamo visto oggi. Grosjean che salta le fiamme come un supereroe. Ci vuole coraggio. E l’occhio buono del cielo.