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[L'analisi] Delusione rossa, Vettel: “Perché la macchina va così piano?”. Dai box: “Non lo sappiamo”

Peggio di così non poteva cominciare. Non è tanto la doppietta Mercedes all’Albert Park di Melbourne a preoccupare. Quello che colpisce è il modo in cui si è realizzato il trionfo di Bottas ed Hamilton

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Box Ferrari (Ansa)
Valtteri Bottas sulla Mercedes AMG GP (Ansa)

Peggio di così francamente non poteva cominciare. Non è tanto la doppietta Mercedes all’Albert Park di Melbourne a preoccupare la Ferrari, perché in fondo dopo il dominio delle prove libere il pronostico era già scontato. Quello che colpisce è il modo in cui si è realizzato il trionfo di Valtteri Bottas e Lewis Hamilton, primo e secondo a gerarchie invertite, e si è concretizzata la sconfitta delle rosse, fuori persino dal podio, superate da un brillante Max Verstappen, e con distacchi abissali. Sebastian Vettel è arrivato quarto a 57 secondi da Bottas, che è già un bruttissimo segnale. Ma quel che è peggio è che non ha mai avuto il passo per lottare per il podio: dopo un avvio appena sufficiente, la nuova SF90, annunciata da una intervista di Mattia Binotto piena di promesse - «Apriamo un ciclo» -, ha via via perso prestazione e velocità massima, subendo anche un sorpasso all’esterno della Red Bull di Verstappen, in una pista dove i sorpassi avrebbero dovurto essere quasi impossibili. Il primo a non capirci niente di quello che stava succedendo è stato proprio Vettel. A un certo punto il pilota tedesco ha chiamato l’ingegnere ai box: «Ma perché la macchina va così piano?». Gli hanno risposto: «Non lo sappiamo».

Bottas sul podio (Ansa)

Alla fine della gara, poi, con i giornalisti ha cercato di minimizzare: «Ovviamente non sono contento di questo week end. Ma non è che siamo andati così male. Il fatto che io sia andato troppo piano è dovuto alle gomme». Nella seconda parte di gara il tedesco aveva scelto le gomme medie, che lo avrebbero penalizzato, visto che Charles Leclerc, arrivato quinto sulle dure, andava parecchio più veloce e gli è rimasto dietro solo per ordine di scuderia. Ma le cose probabilmente sono un po’ diverse: semplicemente, la perdita di prestazione e velocità durante la gara della SF90 rivela un calo di potenza della sua power unit. La sensazione è che le noie riguardassero il turbo, lo stesso componente che aveva già fatto i capricci nei test di Barcellona quest’inverno, quando però la Ferrari sembrava girare all’altezza, se non meglio, delle Frecce d’argento, e il team principal Mattia Binotto si doveva dar da fare a smorzare gli entusiasmi puntando il dito sulla tenuta della macchina: «Dobbiamo lavorare su quello». Ma a Melbourne la rossa non è stata nemmeno veloce. Arrivare staccati quasi di un minuto è davvero preoccupante. Per trovare un esordio tanto negativo della Ferrari bisogna risalire all’era Alonso, che nel 2014 si piazzò proprio quarto, come Vettel, nel Gran Premio d’Australia. Quello era il primo anno del’era ibrida che ha fatto la fortuna della Mercedes. Ma per trovare un distacco così pesante in una prima gara del Mondiale come quello rimediato da Bottas, bisogna tornare indietro di oltre vent’anni (escludendo i doppi ritiri del 2008 e 2009), al 1998 e alla doppietta McLaren Mercedes di Hakkinen e Coulthard, quando Eddie Irvine subì persino l’umiliazione del doppiaggio.

Valtteri Bottas sulla Mercedes AMG GP (Ansa)

Dall’altra parte la Mercedes ha dominato tutte e tre le sessoni di prove libere, ha fatto la doppietta in qualifica e in gara e si è aggiudicata il giro più veloce, che da quest’anno vale un punto. Solo che anche loro non si aspettavano un trionfo così netto e così facile. Appena chiuse le qualifiche, Lewis Hamilton aveva espresso tutto il suo stupore, dopo aver rifilato sette decimi alle arrancanti Ferrari dietro di lui: «ovviamente pensavamo che saremmo stati più vicini, non ci aspettavamo questa situazione dopo i test». La verità è che non se lo aspettava nessuno. In fondo l’immagine più emblematica di questo Gran Premio all’Albert Park di Melbourne sta tutta nel giro 43, quando Vallteri Bottas sta volando via inseguito da Lewis Hamilton, e la Ferrari è come se scivolasse indietro con la sua velocità rallentata, sta in quella domanda di Vettel, «perché vado così lento?», e nella risposta dai box, «Non lo sappiamo». Senza ritmo, senza risposte, senza soluzioni. «Non avevo la possibilità di lottare, potevo solo arrivare alla fine. Non so quale sia stato il problema», ha confessato Vettel, scappando dai giornalisti. Sembra sparita la macchina dominante vista ai test e il tempo per recuperare è poco, solo due settimane, per ritrovare in vista del Baharain la forma perduta. Ma com’è stato possibile che dopo gli otto giorni di test a Barcellona, quando la SF90 sembrava eccezionale, Vettel si sia ritrovato fra le mani quasi una monoposto sconosciuita, senza più potenza, maneggevolezza e costanza? «Dovremo capire», dice alla fine, molto sinceramente, Mattia Binotto: «La gara di oggi riflette la situazione delle qualifiche. Abbiamo raccolto molti dati per identificare le cose su cui lavorare. Ma una cosa è sicura. Questo non è il potenziale giusto della nostra macchina. In questa pista non siamo riusciti a sfruttarlo, sin dall’inizio, dai giorni delle prove. Dobbiamo tornare a casa con grande umiltà e metterci sotto a testa bassa. Non credo che ci sia un singolo problema, ma tanti aspetti che bisogna valutare con attenzione». Piuttosto che piangere, non ci resta che lavorare. E speriamo bene.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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