Il buio dopo Binotto: il calice avvelenato lasciato alla Ferrari
Il progetto cominciava a dare buoni risultati ma si è interrotto a metà, dal punto di vista industriale è un errore. Il sostituto? media francesi puntano su Frederic Vasseur

Dodici ore per cambiare tutto. Dalle 21,30 di lunedì sera alle 9,45 di martedì mattina i due gioielli di casa Elkann hanno chiuso un’era. E come in tutte le rivoluzioni adesso ci sono più incognite che certezze, pur con storie, origini, dimissioni e prospettive comunque molto diverse. Se la Juventus sta sbandando sull’orlo di un precipizio, la Ferrari ha aperto la porta sul buio: non c’è nessun burrone davanti, ma il rischio di non trovare la strada giusta, quello sì. Andrea Agnelli ha lasciato quasi in lacrime, e non l’avrebbe mai fatto se gli eventi e qualche spintone dall’alto non lo avessero costretto.
Mattia Binotto, al di là delle parole di circostanza, deve aver tirato un bel sospiro di sollievo, come avrà fatto pure Elkann ricevendo la sua lettera. I rapporti tra loro erano troppo sfilacciati, e sin dall’inizio, quando John si era visto costretto a rinunciare a un suo uomo, Arrivabene, per fare spazio a questo ingegnere scapigliato con la sua cresta sempre in disordine, ereditato da Marchionne, che stravedeva per lui. A Maranello adesso sono tutti contenti. Beati loro.
Quel che lascia Binotto, però, è un progetto che cominciava a dare buoni risultati interrotto a metà, anzi, probabilmente, sul più bello. E dal punto di vista industriale è un errore, non si può definirlo altrimenti. Jean Todt, il team principal più vincente di Maranello, ci aveva messo 6 anni per arrivare al successo, e con una squadra che aveva comprato i migliori tecnici della F1, a cominciare da Newey. Horner alla Red Bull ne ha impiegati 7 e la supermacchina di quest’anno l’ha realizzata soltanto dopo aver razziato la Mercedes, portandole via decine e decine di ingegneri. E la stessa scuderia di Brakley è diventata la padrona della F1 dal momento in cui ha preso dalla Ferrari quel genio di Aldo Costa, facendone il suo direttore tecnico.
I migliori si prendono e poi si aspettano, non si lasciano andare via. E Binotto era il migliore. Un grande tecnico con un solo difetto: un brutto carattere. Lo sanno bene i giornalisti con cui litigava facilmente appena gli facevano domande scomode, e lo vedi anche da come lo trattano adesso, da Sky alla Gazzetta, più attenti alle sue colpe che ai suoi meriti. Attorno a lui poteva fare il vuoto e qualcuno se n’è andato via da Maranello per questo. D’altro canto basta vedere la sua carta d’identità per capire che dev’essere un tipo complicato: Mattia Binotto è un ingegnere di Reggio Emilia nato a Losanna, che è già un bell’ossimoro di suo. Degli emiliani ha la simpatia istintiva, espressa anche nella cadenza di quella terra, con la sua zeta sorda e i suoni nasali. Ma la scorza è tutta svizzera, abbastanza rigida. E’ stato un grande accentratore, e non solo perché ha occupato a pieno regime i due incarichi, quello di direttore tecnico e di responsabile della gestione sportiva, senza delegare mai niente a nessuno (pure quando non era presente ai gran premi c’era qualcuno che si azzardasse a ricoprire il suo ruolo di pierre).
E’ un grande lavoratore, di quelli che faso tuto mi, capace di faticare senza sosta per notti e giorni interi. Alla Ferrari ha creduto fortemente nella squadra, ma dei suoi collaboratori apprezzava più la fedeltà che il merito, facendo gruppo molte volte con delle cameratesche cene nei ristoranti. Se facevi parte della sua squadra non ti mollava mai, e questo spiegherebbe perché ha protetto fino all’assurdo l’indifendibile Inaki Rueda. E forse con Leclerc è successo l’opposto: non gli è sembrato abbastanza fedele, e comunque sicuramente meno di Sainz. In ogni caso questo è il suo peccato originale, non aver scelto la prima guida e non aver mai protetto come avrebbe dovuto il principino, una gestione inadeguata alla storia e al valore del marchio.
Qui nasce il problema. L’hanno già detto tutti: la Ferrari avrebbe dovuto tenerlo come direttore tecnico e affidare la gestione sportiva a un altro. Impossibile. Perché questo potesse avvenire, avrebbero dovuto esserci dei rapporti molto più solidi con Elkann o Benedetto Vigna, l’ad di Maranello, in modo da convincerlo a fare un passo indietro. Ma con loro il feeling era a zero.
Adesso lui verrà sostituito da Simone Resta, uno di cui Binotto non credo proprio spendesse parole di grande elogio, visto che se andò all’Alfa proprio perchè i due non legavano molto. L’ex team principal della Rossa invece ha già la fila davanti alla porta. Fra tutte le offerte, dalla Mercedes all’Alpine, quella preferita è forse quella dell’Audi, che entrerà in F1 nel 2026, e gli darebbe la grande opportunità di ricominciare da zero, con enorme potere decisionale. Il problema più grande è proprio questo. La Ferrari non perde solo un tecnico di riconosciuta qualità, ma anche l’uomo che ha progettato la monoposto del prossimo anno e ne conosce tutti i segreti, il primo a poter rimediare ai suoi eventuali difetti. Un controsenso già pericoloso di per sé. Quasi sicuramente lo sostituirà Frederic Vasseur, dopo la serie di no ricevuti dalla Ferrari, da Andreas Seidl a Christian Horner, fino a Toto Wolff: «nessuno dei top osa avvicinarsi alla Ferrari», scrivono i tedeschi di Motor und Sport, «e questo la dice lunga sull’attuale stato della scuderia».
Sui media stranieri, è una bella sfilza di critiche. I britannici di The Race dicono che la vera minaccia di Maranello «è il fuoco amico», e la Bbc sottolinea che Binotto ha provato a scacciare dalla Scuderia quel clima «di paura e da caccia ai colpevoli» che la attanaglia da qualche anno. Il The Mirror ha aggiunto: «Prima di Binotto c’era un cultura del licenziamento e del cambiamento perseguita con allarmante regolarità». Gli unici che approvano questa scelta sono guarda caso i giornali francesi, che danno abbastanza prossimo lo sbarco di Vasseur, cioé dell’uomo più lontano e più diverso da Binotto che si possa immaginare. Frederic Vasseur può vantare il merito di allevare talenti, visto che da Hamilton a Russell e Leclerc, molti sono passati da lui. Però non ha di sicuro la capacità di lavoro del suo predecessore, avendo fra l’altro mille interessi da seguire, e al contrario dell’ingegnere italo svizzero è invece molto abile a tessere rapporti stretti con chi conta, come quelli che aveva con Marchionne e che ha adesso con Toto Wolff (testimone di nozze al suo matrimonio) e soprattutto con Carlos Tavares, il boss di Stellantis, nato a Lisbona ma francese d’adozione, diplomato alla Ecole Centrale Paris. In F1 è reduce da esperienze poco positive: dalla Renault è stato cacciato dopo un anno e all’Alfa Sauber non sta certo brillando per i risultati. A leggere il suo curriculum qualche dubbio dovrebbe venire. Difatti sta venendo, perché da Maranello hanno avvicinato negli ultimi giorni anche altri due candidati e nel suo comunicato la Ferrari ha preso tempo tutto il mese di dicembre prima di annunciare il nuovo team principal.
Dalla sua, Frederic Vasseur ha ancora la carta d’identità, francese come Charles Leclerc e il suo manager, Todt jr, come Laurent Mekies e David Sanchez, il capo degli aerodinamici. In questa colonia, probabilmente molto gradita a John, potrebbe starci a meraviglia. Occhio, però, a quello che annota Joe Saward, reporter inglese di Motorsport in F1, quando parla di «calice avvelenato» che attende il successore di Binotto alla Ferrari. Perché in due parole ha detto tutta la verità. Chi viene dovrà prepararsi ad affrontare qualche brutta magagna assieme alla stanchezza e alla delusione dei tifosi. E’ la cosa più normale che può succedere quando continui a non prendere i migliori.