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Il buio oltre la siepe, ecco perché la Ferrari ha sbagliato a mandar via Binotto

Negli sport di squadra quello che conta più di tutto è il progetto, una parola abusata fin che si vuole, ma determinante. E l’unica certezza che si legge nelle scelte molto spesso sconclusionate della Ferrari è proprio questa

La Ferrari e Binotto (Ansa)
La Ferrari e Binotto (Ansa)
di Pierangelo Sapegno

Ora che la rivoluzione a Maranello sta per essere compiuta, i tifosi possono star tranquilli. Per tornare sul tetto del mondo, mettetevi comodi in poltrona e cominciate ad aspettare qualche anno, se tutto va bene. Via Binotto, dentro Vasseur. E poi? Restano al loro posto l’inutile Laurent Mekies e il catastrofico Inaki Rueda. Tornerà a casa nella veste di direttore tecnico Simone Resta, che aveva abbandonato le familiari mura per incompatibilità di carattere - mettiamola così - con il team principal dimissionario. Che tutto questo non sia foriero di buone novelle per il futuro, lo dice la logica.

Negli sport di squadra quello che conta più di tutto è il progetto, una parola abusata fin che si vuole, ma determinante. E l’unica certezza che si legge nelle scelte molto spesso sconclusionate della Ferrari è proprio questa, la mancanza assoluta di un progetto, «il buio oltre la siepe», come aveva subito commentato formulapassion.it, uno dei siti più apprezzati sul mondo complicato della f1. D’altro canto come si potrebbe interpretare diversamente la decisione di liberarsi dell’uomo che stava finendo di realizzare la macchina in rampa di lancio per la sfida alla RedBull del prossimo campionato del mondo? O si pensa che quella vettura sia sbagliata o non si capisce niente, opzioni entrambe da non scartare a priori. Ma chi lavora in questo mondo complicato sa benissimo che non funziona così. Christian Horner per portare la RedBull a dominare ci ha messo la prima volta quattro anni e la seconda addirittura sette, lo stesso tempo che ha impiegato Jean Todt per pianificare la Ferrari più forte di sempre, perché i successi non è che cadono dall’albero come pere mature, ma bisogna costruirli. Todt era un grandissimo manager che lavorava 15 ore al giorno e spesso dormiva persino in azienda, uno che ha costruito tassello dopo tassello uno zoccolo duro di persone attorno alla spina dorsale del team, formata da lui, Brawn e Schumacher. Quello era un progetto. E i progetti hanno bisogno del loro tempo.

Alla Ferrari, la nuova dirigenza sembra che il tempo non sia in grado di darlo a nessuno. Prima ancora, comunque, la questione più importante è quella degli uomini. Bisogna saperli scegliere. E come insegna il caso Binotto, chi non è in grado di valutare i suoi manager, è difficile che li scelga bene. E ci sarà un motivo, se prima di arrivare a Frédéric Vasseur, la Ferrari s’è beccata in faccia una bella sequela di rifiuti, da Andreas Seidl a Christian Horner. E’ proprio l’idea che dà, di un posto pieno di pressioni e senza un progetto, che spaventa tutti. Tanto per cominciare, dopo il siluramento di Binotto, mascherato dalle sue dimissioni, la Ferrari è giù uscita dal lotto delle favorite del prossimo mondiale. La rivale della RedBull sarà la Mercedes. Lo dice Helmut Marko, l’uomo ombra di Milton Keynes, consulente e consigliere della scuderia austriaca, spiegando che mandare bia il team manager è stato un errore: «Non capisco il cambiamento, considero Binotto un ottimo tecnico e politico. Era semplicemente sopraffatto dal suo compito. Sarebbe bastato dotarlo di un direttore sportivo che lo affiancasse in pista e con la strategia. L’arrivo di un uomo nuovo, che ha tanti altri incarichi, lo vedo come un indebolimento per la Ferrari».

Vasseur e la gatta da pelare

Frédéric Vasseur si trova dunque una bella gatta da pelare, con un atout da giocarsi subito però, perché se le cose non andranno bene potrà sempre dire che quella macchina l’aveva fatta uno che se ne è andato via e che lui non c’entra niente. Poi bisognerà vedere se l’ad Benedetto Vigna avrà voglia di riservargli lo stesso trattamento con cui liquidava il suo predecessore quando provava a difendere il suo lavoro: «Il secondo posto è il primo dei perdenti». Vasseur ha spalle larghe e parla francese, una lingua che va di moda nella galassia Stellantis, vanta ottimi rapporti con Carlos Tavares e pure con Toto Wolff. Ha 54 anni, s’è laureato in aeronautica e ingegneria presso la stessa scuola privata da cui è uscito anche il direttore sportivo di Maranello, Laurent Mekies, e nel suo curriculum c’è un trascorso di talent scout con alcuni dei piloti che vanno per la maggiore adesso, da Hamilton a Leclerc, oltre a due esperienze non proprio entusiasmanti (anzi...) in F1, alla Renault e alla Sauber. Fra le altre cose, è il fondatore di Spark Racing Technology, azienda nata nel 2012 come fornitore unico dei telai per il campionato di Formula E, la F1 delle auto elettriche, un affare che immaginiamo dovrà abbandonare facendo il team principal a tempo pieno per la Ferrari.

I problemi

S’è già messo al lavoro in anticipo e cerca casa a Maranello. Dovrà affrontare alcuni problemi che nemmeno Binotto è riuscito a risolvere, primo fra tutti quello delle strategie in pista, che sono a volte davvero incredibili, e non possono essere solo errori di comprensione, ma dimostrano invece che c’è qualcosa di radicalmente sbagliato in quella catena di lavoro. Certo, il problema non è solo lì. In Ferrari, da qualche tempo si trovano sempre dei capri espiatori, ma non si sono mai fatto un esame di coscienza all’interno della dirigenza, ai piani alti. Ha ragione Mark Hughes, prima firma di Motor Sport Magazine: «Fino a quando la cultura al di sopra della squadra non cambierà, le cose rimarranno sempre così e succederà sempre la stessa cosa. L’unico che è riuscito a durare è stato Jean Todt, insieme a Ross Brawn, e guardate cosa è successo, sono diventati il team più grande della storia della F1 fino a quel momento». Ma il manager francese aveva la piena fiducia di Montezemolo, che gli aveva in pratica affidato la missione e il compito di ergersi al di sopra della squadra e di crearne una lui. Adesso ai piani alti c’è qualcuno a Maranello che ci capisce davvero di F1?

24 dicembre 2022
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