Vettel, un tedesco romantico alla Ferrari: nessun mondiale e qualche lacrima
Il vero tedesco della Rossa di Maranello è stato Schumacher. Vettel è stato pagato per vincere il Mondiale ma gli è sfuggito due volte, contro la Mercedes
Il vero tedesco della Ferrari è stato Schumacher. Sebastian Vettel è un tedesco romantico, di quelli innamorati dell’Italia, di quelli che piangono, che arrivano in ritardo agli appuntamenti, anche se devono incontrare Sergio Marchionne. Schumacher arrivava in anticipo. Nel mondiale del 1999, ultima gara decisiva in Giappone, 31 ottobre, Michael s’è rotto la gamba a Silverstone, è fuori dalla corsa e la sfida è solo tra Irvine e Hakkinen. Alle 10 del mattino i piloti sono attesi ai box. Irvine arriva alle 10 e un quarto, con la tuta rovesciata a metà, sui fianchi, stropicciandosi gli occhi stancamente. Schumacher è lì dalle 6 del mattino che lavora con i meccanici. Un vero tedesco fa così. Quel mondiale lo vinse Hakkinen per due punti. Poi cominciò l’era del crucco: cinque titoli di seguito.
Vettel non ne ha mai vinto uno sulla Rossa. Però, appena arrivato a Maranello parlava già l’italiano, mentre Schumi in tutti quegli anni che c’è rimasto ha imparato solo a dire «Ciao». Seb è uno che girava in calzini bianchi e braghe corte nella sala Vip dell’aeroporto di Montreal ascoltando Toto Cutugno a tutto volume. Già uno che va pazzo per Toto Cutugno nel 2015 dev’essere un tipo strano. Ma a lui piace quella canzone, «sono un italiano, un italiano vero». Seb ha questo di dolce: che non è un tedesco come gli altri, e non potrà mai essere un italiano come noi, anche se lo vorrebbe. Lui ama i nostri musei, certi paesaggi che sono belli come dei quadri, dipinti dai nostri vecchi lavorando la terra. Noi manco ce ne accorgiamo, non ce ne frega niente. Ci siamo troppo abituati. Vettel li guarda come un bambino.
E’ stato meno amato da noi di quanto lui ci abbia amato. Ma la Ferrari l’ha pagato per vincere il mondiale e a Seb è sfuggito due volte, contro il colosso della Mercedes. E una volta ci ha pianto. Gli altri si arrabbiano, lui ha quel modo fanciullesco di reagire. Gli rimproveravano di allenarsi poco e male e di essere un po’ troppo molliccio: così poco tedesco. Però, Alberto Antonini, ex capo ufficio stampa Ferrari ai tempi di Arrivabene, dal 2015 al 2018, ricorda che, dopo la prima vittoria in Ferrari, volle restare con i meccanici al box mentre smontavano, per dare una mano come faceva in Red Bull, e poi a cena nel loro albergo: «Uno dei ragazzi a un certo punto gli chiese, in italiano: ma tu, veramente, chi sei? E lui rispose nella nostra lingua: sono uno di voi».
Ha sempre dato l’impressione di voler essere quello che non poteva essere, un po’ per piacioneria e un po’ per amore. Alla fine quelli come lui hanno questo di diverso da noi: il romanticismo. Noi non possiamo più permettercelo, l’abbiamo perso nella nostra storia, quando tutti coloro che passavano dalle nostre parti, ci occupavano e ci toglievano il pane, ci comandavano e ci fucilavano. Il romanticismo è un lusso di chi sta bene. Seb era un campione del mondo, quando è arrivato in Ferrari nel 2015, quattro volte iridato con la Red Bull, e chiuderà la sua carriera come terzo nella classifica dei piloti più vincenti di Formula 1, alle spalle di Schumacher e Hamilton, dopo essere salito 53 volte sul gradino più alto del podio, due più di Prost. Uno così era qualcosa di più di un meccanico. Lui ci pasticciava. Schumi invece lo faceva per davvero, perché lo era stato. Vettel era solo innamorato. Per lui Maranello era la storia della velocità, era un mito. Ha scoperto sulle sue spalle che i miti cambiano, che ci sono gli uomini che sbagliano, anche qui, nel tempio dei sacerdoti, come quella volta che gli fecero perdere una gara montando una piastrina al contrario. Seb ci ha pianto sopra, perché ha sempre reagito come un bambino alle ingiustizie della vita.
Di sicuro ci è rimasto molto male a lasciare la Ferrari. Non sappiamo se ha pianto, ma qualche lacrima gli sarà venuta, non fosse solo perché ha dovuto andare via senza aver compiuto la sua missione, che era quella di vincere il titolo. Il romantico Seb ha dovuto svernare all’Aston Martin. Hanno deciso i tempi che cambiano: il suo posto ormai era quello di Leclerc. Nelle ultime curve della sua carriera ha preferito parlare di ambiente anziché di sottosterzo, e ha tenuto duro fino all’ultimo contro i social, che lui odia: «perché devo aprire facebook per raccontare i miei fatti privati a chi non conosco?». Ha ceduto solo alla fine, perché l’hanno convinto che era meglio annunciarlo su Instagram il suo ritiro. Poi basta. E adesso lasciatelo cantare, con una chitarra in mano.